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 2015  febbraio 15 Domenica calendario

RICORDATI, LA MORTE NON HA L’ULTIMA PAROLA

«Ricordati, la morte non ha l’ultima parola, hai capito?». Poi, uno scatto, le guance diventano rosse, qualcosa che cade dalla giacca e l’immancabile sorriso, la voce si alza di molti decibel, e ripete: «Ricordati, la morte non ha l’ultima parola». Ho davanti agli occhi la faccia allegra di Paolo Giuntella, un «fratello maggiore» che non c’è più, e la forza di quei saluti imperativi che riempiono di vita la morte e ti rimangono addosso mentre sono in una chiesa gremita a Cinisello Balsamo, tra tanti giovani che cantano e un parroco che sa parlare al cuore dei suoi fedeli, per dare l’ultimo saluto a Fabio Cantadori, Rudy per tutti, un sorriso che non si dimentica, molto più di un tecnico di Radio 24, il capitano della squadra di «Tutti convocati» e tanto altro, stroncato da un infarto a poco più di quarant’anni.
Sono lì, mi guardo intorno, mi accorgo di quanto sia grande il vuoto lasciato da Rudy e quanto grande sia l’affetto che lo circonda, scavo negli occhi persi di tanti, mi emoziono e risento la voce di Paolo, abbattuto da un male incurabile poco meno di sette anni fa, che mi ripete a modo suo «ricordati, la morte non ha l’ultima parola», e mi viene voglia di gridarlo, vorrei che tutti lo ripetessero, insieme, a voce alta, vorrei che quella frase entrasse dentro ognuno di noi e tutti sentissero la forza di verità della fede, il dono più bello, la fortuna più grande. Sono in mezzo a una lunga fila di braccia alzate che si tengono per mano, la recita del Padre Nostro, i canti della messa, e mi ritrovo quasi senza accorgermene tra i tavoli e le cucine delle osterie romane che piacevano tanto a Paolo, il più laico dei cattolici che abbia mai incontrato e l’amico di cui più sento la mancanza, rivedo il suo vespone bianco, quel modo unico di mettere insieme confusamente Dossetti, La Pira e il sax, il trasporto con cui parlava di Laura e dei figli e l’affetto per gli amici trentini e congolesi, la voglia di vivere e di raccontare la vita spente senza un motivo.
Sono momenti brutti per Radio 24, qualche giorno prima dell’improvvisa scomparsa di Rudy, se ne è andato stroncato da un male fulmineo e feroce Fabrizio Guidi, l’uomo che ne ha guidato dalla nascita la macchina operativa e impostato le sfide più innovative, un rifugio per tutti, la forza di tenere insieme l’impossibile, qualità e costi, sempre a voce bassa, senza disturbare nessuno, la gioia scritta sulla fronte di «combattere» silenziosamente per la sua radio e per i suoi ragazzi. Ricordo la smorfia e quel sorriso a denti stretti che mi butta in faccia quando ho appena finito di fare l’elenco di tutte le cose nuove che abbiamo deciso di varare e chiudo dicendo: «Ovviamente i costi scendono, devono scendere, perché dobbiamo fare l’utile oltre che la qualità». Un giorno entra nella mia stanza e dice: «Tutto a posto, i costi scendono». Domando: «Come hai fatto?». Risposta: «Non lo so, ma scendono».
Al ritorno da Cinisello Balsamo al giornale, in via Monte Rosa a Milano, c’è Laura, la moglie di Fabrizio, le raccontiamo di Rudy e dell’emozione che ci è rimasta dentro: «Quanti ragazzi Laura, quanti canti belli». Si vede che è scossa, come dire che sta succedendo, poi parliamo di Fabrizio e dice: «Ha lavorato fino all’ultimo, lo sapete, ma quanto è stato brutto vederlo soffrire, quanto è brutta questa morte». Lascio Laura e penso che di là, in Paradiso, nell’altra vita, il sorriso più indisciplinato sarà di certo quello di Paolo, lo vedo che vuole insegnare la musica a Rudy e a fare di conto a Fabrizio, lui che sui numeri non ci ha mai capito nulla, e lo sento tuonare fin quaggiù: «Avevo ragione io, la morte non ha l’ultima parola». Avendo il privilegio della fede, dico tutto bene, mi viene però di fare una preghiera che arrivi fin lassù: si può fare qualcosa perché ad andarsene prima non siano sempre i migliori?