Roberto Napoletano, Il Sole 24 Ore 15/2/2015, 15 febbraio 2015
RICORDATI, LA MORTE NON HA L’ULTIMA PAROLA
«Ricordati, la morte non ha l’ultima parola, hai capito?». Poi, uno scatto, le guance diventano rosse, qualcosa che cade dalla giacca e l’immancabile sorriso, la voce si alza di molti decibel, e ripete: «Ricordati, la morte non ha l’ultima parola». Ho davanti agli occhi la faccia allegra di Paolo Giuntella, un «fratello maggiore» che non c’è più, e la forza di quei saluti imperativi che riempiono di vita la morte e ti rimangono addosso mentre sono in una chiesa gremita a Cinisello Balsamo, tra tanti giovani che cantano e un parroco che sa parlare al cuore dei suoi fedeli, per dare l’ultimo saluto a Fabio Cantadori, Rudy per tutti, un sorriso che non si dimentica, molto più di un tecnico di Radio 24, il capitano della squadra di «Tutti convocati» e tanto altro, stroncato da un infarto a poco più di quarant’anni.
Sono lì, mi guardo intorno, mi accorgo di quanto sia grande il vuoto lasciato da Rudy e quanto grande sia l’affetto che lo circonda, scavo negli occhi persi di tanti, mi emoziono e risento la voce di Paolo, abbattuto da un male incurabile poco meno di sette anni fa, che mi ripete a modo suo «ricordati, la morte non ha l’ultima parola», e mi viene voglia di gridarlo, vorrei che tutti lo ripetessero, insieme, a voce alta, vorrei che quella frase entrasse dentro ognuno di noi e tutti sentissero la forza di verità della fede, il dono più bello, la fortuna più grande. Sono in mezzo a una lunga fila di braccia alzate che si tengono per mano, la recita del Padre Nostro, i canti della messa, e mi ritrovo quasi senza accorgermene tra i tavoli e le cucine delle osterie romane che piacevano tanto a Paolo, il più laico dei cattolici che abbia mai incontrato e l’amico di cui più sento la mancanza, rivedo il suo vespone bianco, quel modo unico di mettere insieme confusamente Dossetti, La Pira e il sax, il trasporto con cui parlava di Laura e dei figli e l’affetto per gli amici trentini e congolesi, la voglia di vivere e di raccontare la vita spente senza un motivo.
Sono momenti brutti per Radio 24, qualche giorno prima dell’improvvisa scomparsa di Rudy, se ne è andato stroncato da un male fulmineo e feroce Fabrizio Guidi, l’uomo che ne ha guidato dalla nascita la macchina operativa e impostato le sfide più innovative, un rifugio per tutti, la forza di tenere insieme l’impossibile, qualità e costi, sempre a voce bassa, senza disturbare nessuno, la gioia scritta sulla fronte di «combattere» silenziosamente per la sua radio e per i suoi ragazzi. Ricordo la smorfia e quel sorriso a denti stretti che mi butta in faccia quando ho appena finito di fare l’elenco di tutte le cose nuove che abbiamo deciso di varare e chiudo dicendo: «Ovviamente i costi scendono, devono scendere, perché dobbiamo fare l’utile oltre che la qualità». Un giorno entra nella mia stanza e dice: «Tutto a posto, i costi scendono». Domando: «Come hai fatto?». Risposta: «Non lo so, ma scendono».
Al ritorno da Cinisello Balsamo al giornale, in via Monte Rosa a Milano, c’è Laura, la moglie di Fabrizio, le raccontiamo di Rudy e dell’emozione che ci è rimasta dentro: «Quanti ragazzi Laura, quanti canti belli». Si vede che è scossa, come dire che sta succedendo, poi parliamo di Fabrizio e dice: «Ha lavorato fino all’ultimo, lo sapete, ma quanto è stato brutto vederlo soffrire, quanto è brutta questa morte». Lascio Laura e penso che di là, in Paradiso, nell’altra vita, il sorriso più indisciplinato sarà di certo quello di Paolo, lo vedo che vuole insegnare la musica a Rudy e a fare di conto a Fabrizio, lui che sui numeri non ci ha mai capito nulla, e lo sento tuonare fin quaggiù: «Avevo ragione io, la morte non ha l’ultima parola». Avendo il privilegio della fede, dico tutto bene, mi viene però di fare una preghiera che arrivi fin lassù: si può fare qualcosa perché ad andarsene prima non siano sempre i migliori?