Roberto Napoletano, Il Sole 24 Ore 22/2/2015, 22 febbraio 2015
IL PULMINO DI MICHELE E IL POPOLO DELLE COLLINE LANGAROLE
«Ha avuto una grande intuizione, ha mandato un pulmino tra le colline langarole e ha detto a tutti: continuate a fare l’orto e a coltivare la terra il pomeriggio e nel weekend, ma venite qui da me la mattina a fare la cioccolata migliore del mondo». Sono nel Duomo di Alba prima della messa d’addio a Michele Ferrero, forse il più innovativo e il più schivo tra i capitani di uno specialissimo capitalismo familiare italiano, l’uomo che è riuscito a convincere i tedeschi che la nutella è tedesca e i francesi che la nutella è francese, e ho avuto la fortuna di ritrovarmi a fianco un medico, Francesco Morabito, che guida da un bel po’ l’azienda sanitaria locale di Alba («mi sono trasformato in un burocrate ma resto un medico») e mi spiega, con poche battute, chi era davvero il “signor Michele” e come ha fatto a mettere insieme intuito, genio, fabbrica e welfare, giovani e anziani, in una “terra grama” popolata da contadini poveri.
«Direttore, lo vede quel carabiniere, sta lì fermo in piedi a fianco dell’altare da due giorni, non so come fa, veglia sul signor Michele e la sua presenza immobile, soddisfatta, è il tributo più evidente a un uomo che ha liberato il Sud del Nord dalla “malora fenogliana”. Ha visto in quanti sono fuori nella piazza? Guardi dietro l’altare, sono i sindaci delle Langhe e del Roero e ci sono tutti, mi creda che la Ferrero qui entra nelle case e non ti abbandona nemmeno quando vai in pensione perché così voleva il signor Michele, lui ha costruito la fabbrica per l’uomo in modo pragmatico, e si è preoccupato anche del dopo perché gli anziani della Ferrero devono stare bene, devono avere il welfare che meritano, solo così questa terra riuscirà a preservare il suo capitale più importante» è un fiume in piena il direttore della Asl, Morabito, lui sa o mostra di sapere che senza il signor Michele questo territorio poteva diventare un grande acquitrino, e ha voglia di raccontarti tutto a voce bassa ma con i fatti e scandendo bene le parole. È come se ti volesse dire che qui l’utopia olivettiana è diventata realtà perché non alimentava un sogno ma custodiva il desiderio pragmatico di fare incontrare fabbrica e territorio, la genuinità e la qualità dei prodotti della terra e i suoi contadini poveri, la certezza che l’ingegno italiano aveva da dire la sua nel mondo ma lo avrebbe potuto fare se avesse avuto dietro di sé la forza delle donne e degli uomini delle colline langarole, la capacità di fare innovazione, il senso di rivincita e la determinazione cocciuta che si ha solo quando si parte dallo scalino più basso.
Ascolto, mi colpisce il trasporto che accompagna il racconto, mi rimane impressa un’altra frase: «Prima del pulmino di Michele da queste colline il sogno più ambizioso era quello di andare a lavorare alla Fiat a Torino e, alla fine, tutto qui si sarebbe spento, invece grazie alla Ferrero, Alba è diventata la capitale del mangiar bene, con la sua cioccolata, ma anche i suoi vini, i suoi formaggi, nocciole e tartufo». Mi sembra che esageri un po’, dopo tutto siamo in chiesa, ma le intenzioni sono davvero buone e si sforza di parlare piano, in modo rispettoso dell’ambiente. A un certo punto, si leva una voce molto più forte: «Prima di dare inizio alla santa messa, vi chiedo di recitare con me il santo rosario esattamente come faceva ogni sera il signor Michele collegandosi, con i suoi mezzi, direttamente con il santuario di Lourdes». La conversazione con il medico volge al termine, prima il rosario poi inizia la messa d’addio a Michele, il figlio Giovanni non trova una lettera del padre del ’57 che vuole leggere, si emoziona e ci regala, con poche parole improvvisate, il ricordo più bello di un uomo integerrimo e, soprattutto, la forza del rapporto che lo lega a un padre così speciale. Faccio istintivamente un balzo all’indietro e rivedo con amarezza gli occhi al cielo di Pietro, l’altro figlio di Michele che non c’è più, mentre converso con lui in un’aula della Luiss a Roma di capitalismo familiare italiano molti anni fa, e ne risento le parole: «C’è chi sostiene che in Italia ci sia solo il Monte Bianco, penso a quanto sosteneva Cuccia e la sua Mediobanca, ma quando sono ad Alba non vedo il Monte Bianco, bensì delle montagne bellissime. Soprattutto, vedo colline tutto intorno. Devo dire che questo tipo di paesaggio variegato mi piace moltissimo. Non è detto che ci debba essere necessariamente una vetta, ritengo che ci siano tantissime belle realtà che potranno crescere ancora e svilupparsi». Esco dal Duomo e mi perdo, è uscito il sole che ha aperto uno squarcio nel velo grigio della mattinata, mi guardo intorno e mi rendo conto che il medico e Pietro hanno ragione, le donne e gli uomini delle colline langarole mi dicono che la provincia italiana è sana e non ci deluderà.