Leonardo Coen, il Fatto Quotidiano 1/3/2015, 1 marzo 2015
L’OLIGARCA, IL BLOGGER, IL GIOCATORE: QUEL CHE RESTA DEGLI ANTI-PUTIN
Facile morire d’opposizione, a Mosca. Ancor più facile diventare “traditori della patria” perché si rinnega la guerra e si desidera la pace, perché si condanna la corruzione sempre più dilagante, perché si spiega che la crisi economica nasce da lontano, figlia della petrolcrazia e dell’aggressiva politica estera. Facile dire che Nemtsov “non contava nulla”, era solo “un normale cittadino”, allora perché un commando di killer gli ha sparato 7 colpi di Makarov? Nemtsov stava ultimando un nuovo pamphlet sulle malefatte dei russi in Ucraina e in Crimea, dopo quello sui soldi rubati delle Olimpiadi di Soci in cui accusò platealmente – dati alla mano – gli amici di Putin di avere sottratto qualcosa come 23 miliardi di dollari. E forse questo suo investigare gli è costato la vita.
Ora i grandi nemici di Putin sono rimasti in tre: due dei quali esuli, un terzo che entra ed esce di prigione. Lo scacchista Garry Kasparov ha deciso di lasciare la Russia, per evitare il peggio. Non una fuga, ma una scelta di vita. “In Russia la democrazia è stata uccisa, come tanti di coloro che hanno tentato di proteggerla, per questo me ne vado via“. Ma continua a puntare il dito contro il potere corrotto e assoluto che domina il suo Paese e contro la “tirannia” del presidente Putin, come lui continua a ricordare, appena si affronta l’argomento.
Destino assai diverso quello di Mikhail Khodorkovskij, un tempo a capo della società Yukos Oil ed ex uomo più ricco di Russia e tenuto in carceri di massima sicurezza per dieci anni. Pure lui vive in esilio, dalle parti di Zurigo. Putin lo ha graziato, in cambio di una sua non ingerenza negli affari della politica russa. Ma Khodorkovskij vuole incarnare il ruolo dell’imprenditore moderno e democratico, gira il mondo, racconta la sua esperienza, suscita riflessioni, incontra dissidenti. Il Cremlino ha ancora paura della sua capacità di parlare della corruzione e del “nichilismo del petrol-Stato in stile Kgb che Putin ha messo in piedi a partire dalla sua ascesa al potere”, come spiega Kasparov.
Il terzo uomo è l’avvocato blogger Alexei Navalny: giovane, grande affabulatore, idolo delle nuove generazioni che hanno affollato le manifestazioni del 2011 e del 2012, quando arrivarono a contarsi in centomila, con un Putin in campagna elettorale che stranamente lo lasciava infiammare le folle. Proprio ieri un tribunale ha confermato la prigione – dalla quale uscirà il 6 marzo – per aver “violato la quiete pubblica”: Navalny era stato sorpreso in metropolitana mentre distribuiva i volantini che annunciavano la Marcia di Primavera prevista oggi e annullata, dopo l’assassinio di Nemtsov. Non aveva rispettato l’ordine di restarsene agli arresti domiciliari.
È il bersaglio preferito di Putin, un irriducibile che ha messo in piedi una squadra di esperti finanziari e giuristi per incastrare i grandi evasori, per individuare i ladri di Stato, per rivelare gli arricchimenti illeciti dei nuovi nababbi, rintracciando le loro proprietà in ogni angolo della terra. Con un gran seguito nei social network. In verità l’arcipelago opposizione russa è assai variegato , spesso inconciliabile. Eduard Limonov, il più noto e stravagante, ha il trip del patriottismo e cova un vecchio rancore nei confronti di Nemtsov, colpevole di non averlo assecondato quando voleva andare all’assalto del Cremlino e Boris gli aveva detto: no, non voglio far scorrere il sangue. Ieri ha detto la sua a proposito dell’agguato sul ponte di pietra Zamoskvoretsky: “Cherchez la femme ! Boris passeggiava con una modella ucraina di 23 anni, Anna Durizkaja, il suo ex ha sparato a Nemtsov per gelosia”.
Una cosa è certa, nella Russia che si sta trasformando sempre più in uno stato di polizia, via via che un oppositore diventa troppo scomodo, ecco che si provvede a eliminare il problema. Così fecero con Anna Politkovskaja, ricorrendo a sicari ceceni. Così agirono a Londra contro Aleksandr Litvinenko, ordendo un complotto – in puro stile Kgb – utilizzando una sostanza velenosa lenta e inesorabile, il polonio 210. E’ lungo, lunghissimo l’elenco delle vittime che osarono criticare il regime e i clan del potere... ed è contro questa piovra che avviluppa con i suoi tentacoli la Russia che è finito Nemtsov. Hanno sparato a lui per ricordare agli altri come lui che il potere, e chi per esso, combatte con durezza, con grossolanità, con violenza. E con la morte, se necessario. La strategia dell’omicidio di Nemtsov è chiara, spiega Ilya Yashin, uno dei suoi più stretti collaboratori: “Sono sicuro che gli assassini vogliano seminare il terrore tra la gente: soprattutto tra coloro che hanno punti di vista diversi da quelli delle autorità di governo. Forse riusciranno a spaventare qualcuno, ma la maggioranza delle persone che sostenevano Nemtsov e condividevano le sue posizioni continueranno a battersi per completare il suo lavoro”. Come l’ex premier Mikhail Kassianov, uno dei leader più autorevoli dell’opposizione, deciso più che mai ad assumersi l’eredità politica dell’amico Boris: “Nel XXI secolo – ha sintetizzato – un capo dell’opposizione è stato ucciso sotto i muri del Cremlino. Questo supera ogni immaginazione”. La parola d’ordine del Cremlino è chiara: sorvegliare e punire. Chi non ci sta, se ne vada pure via. Talvolta, all’altro mondo.