Giovanni Orsina, La Stampa 1/3/2015, 1 marzo 2015
LA SCALATA È APPENA COMINCIATA
Guardate quel che ha fatto Renzi. Ha individuato uno spazio politico vuoto - ha capito che il Paese era «scalabile», per usare le sue stesse parole. E senza dubbi, senza esitazioni, senza chiedere permesso né mostrare rispetto per niente e nessuno, lo ha occupato. Nel farlo si è dimostrato arrogante, presuntuoso, prepotente? Altroché. Questa pè la politica: astenersi beneducati, cerimoniosi, cardiopatici e intellettuali perplessi.
Ora guardate quel che sta facendo Salvini. L’operazione è la stessa, con una sola, cruciale differenza: là dove per Renzi abbiamo scritto «Paese», per l’altro Matteo bisogna leggere «centrodestra». Alla manifestazione romana di ieri il leader leghista ha tuonato soprattutto contro il premier - fin dalla scritta che portava sulla maglietta. Tuttavia, il suo vero obiettivo non è affatto Renzi. O per lo meno non lo è ancora.
Al contrario: Renzi è il suo punto d’appoggio. Proponendosi come il suo principale - meglio: il suo unico - oppositore, ossia facendo forza su di lui, Salvini sta cercando di egemonizzare l’intera area che si trova a destra del centro. Milioni di voti.
E non solo: pure se ideologicamente si colloca senz’altro a destra, la «nuova» Lega - proclamandosi post-ideologica, rivolgendosi a tutti i frustrati e gli scontenti, dichiarando di voler lavorare su punti programmatici specifici - nutre l’ambizione di raccogliere consensi, se non proprio a sinistra, quanto meno anche fra i tanti non collocati e genericamente «antipolitici».
Nell’immediato, non c’è ombra di dubbio, l’operazione sta avendo successo. Ha successo, innanzitutto, proprio perché i toni sono esasperati, le parole d’ordine semplici, le proposte tagliate con la scure: condizioni essenziali, queste, per guadagnare più terreno possibile nel più breve tempo. Molte delle soluzioni ipotizzate, sia detto per inciso, sono pure irrealistiche e incoerenti. Ma a questo gli elettori, abituati da tempo alle iperboli e contraddizioni della politica, fanno meno caso. E poi Salvini ha successo perché non ha antagonisti - a meno di non pensare che i suoi concorrenti per il ruolo di «anti-Renzi» siano Pierluigi Bersani o Maurizio Landini. Il Nuovo centrodestra è al governo, e di Berlusconi da ultimo si parla più per le operazioni aziendali che per quelle politiche. Ma è difficile immaginare che gli elettori conservatori siano disposti, non dico a morire, ma nemmeno ad alzarsi dal letto e uscire di casa col certificato elettorale la domenica mattina, per consentire a Mondadori di comprar Rizzoli o a Ei Towers Rai Way.
Nel medio e lungo periodo, invece, che ne sarà della Lega e dell’intera destra italiana? Innanzitutto: occupare una piazza romana un pomeriggio per manifestare le proprie ambizioni politiche nazionali è una cosa, riuscire a far dimenticare all’elettorato del Mezzogiorno trent’anni di polemiche antimeridionali è un’altra. Il che non vuol dire che sia impossibile - ma non sarà facile. In secondo luogo, dipenderà moltissimo sia dalla situazione economica, sia dai risultati elettorali e politici che sapranno raccogliere i movimenti anti-europeisti negli altri Paesi dell’Unione. Che Tsipras sia dovuto «tornare alla realtà», come ha detto il cancelliere Merkel, per la Lega non è una buona notizia.
Dipenderà infine da come Salvini saprà modificare le proprie posizioni col mutare delle circostanze. Non è impossibile che la sua strategia preveda un «secondo tempo»: una volta conquistata l’egemonia a destra con una strategia di comunicazione aggressiva e radicale, ammesso naturalmente che riesca a conquistarla, il leader leghista potrebbe virare verso il centro, moderare gli accenti e - a quel punto sì - puntare davvero contro Renzi. Anche in questo caso, però, vale quel che s’è detto sopra: sono operazioni non impossibili, ma neppure facilissime. E non è nemmeno detto che un leader bravo nel maneggiare i toni aspri sia altrettanto efficace con quelli più morbidi.
Due ultime osservazioni, strettamente legate agli eventi di ieri. Com’è noto, oltre a quella di Salvini s’è svolta anche una manifestazione antileghista e antirazzista, con tanto di attori e scrittori al seguito. Bene: è possibile a un liberal democratico come chi scrive sottolineare il terribile sentore di cantina, di residuo d’un tempo remoto, di vuota e ritualistica ripetizione identitaria che emana da questi - del tutto legittimi, ci mancherebbe - esercizi di «vigilanza antifascista»? In secondo luogo. È ben comprensibile che Salvini la sua manifestazione l’abbia voluta fare a Roma, e che di conseguenza pure la contromanifestazione si sia svolta nella Capitale. E grossi disordini e violenze, per fortuna, non ce ne sono stati. Ai romani però non dispiacerebbe affatto se al prossimo giro tutto questo si svolgesse, che so, a Rieti. E se qualche volta, soltanto qualche volta, Roma - una città fragile, inefficiente, sporca, e da ultimo gravata pure dalla sgradevole sensazione d’essere un bersaglio mal difeso - potesse essere risparmiata.