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 2015  marzo 06 Venerdì calendario

MEGLIO DELLA TERRA


Viviamo nel migliore dei mondi possibili? È quanto pensava il matematico tedesco Gottfried Leibniz, il quale nel 1710 scrisse che il nostro pianeta, pur con tutti i suoi difetti, deve essere il più idoneo che si possa immaginare. L’affermazione di Leibniz fu derisa da molti che la ritenevano un sogno privo di scientificità, in prima fila Voltaire nella sua opera maggiore, Candido. Eppure oggi Leibniz potrebbe trovarsi in sintonia con almeno un gruppo di scienziati: gli astronomi che per decenni hanno considerato la Terra come riferimento nella ricerca di pianeti al di fuori del sistema solare.
Poiché noi terrestri a oggi conosciamo un solo mondo che ospiti organismi viventi – il nostro – sembra ragionevole usare la Terra come modello nella ricerca di vita su altri pianeti, in particolare nelle regioni di Marte più simili alla Terra o su Europa, satellite di Giove che ha acqua allo stato liquido. Oggi però le scoperte di pianeti potenzialmente abitabili attorno a stelle diverse dal Sole – esopianeti, per brevità – sfidano questo approccio geocentrico.
Negli ultimi vent’anni sono stati scoperti oltre 1800 esopianeti, e semplici considerazioni statistiche indicano che nella nostra galassia ne debbano esistere almeno 100 miliardi. Di quelli finora individuati, pochi sono simili alla Terra. Anzi, gli esopianeti esibiscono una diversità enorme, con immense variazioni di orbita, grandezza e composizione, e le stelle attorno a cui orbitano sono altrettanto differenti tra loro, in parecchi casi significativamente più piccole e più deboli del Sole. Le caratteristiche diversificate di questi esopianeti, a parere mio e di altri, suggeriscono che la Terra potrebbe non essere il massimo dell’abitabilità. Anzi, alcuni esopianeti, molto diversi dal nostro, potrebbero avere probabilità molto più elevate di sviluppare e mantenere biosfere stabili. Questi «mondi superabitabili» potrebbero essere gli obiettivi ottimali nella ricerca di vita extraterrestre ed extrasolare.

Un pianeta imperfetto
Ovviamente il nostro pianeta ha un buon numero di caratteristiche che, a un primo sguardo, appaiono ideali per la vita. La Terra orbita attorno a una stella tranquilla, di mezza età, la cui luminosità costante da miliardi di anni ha offerto agli esseri viventi tempo in abbondanza per svilupparsi ed evolvere. Ha ospitali oceani di acqua allo stato liquido, soprattutto in virtù della sua collocazione nella «zona abitabile» del Sole, una regione ristretta in cui la luce della nostra stella non è né troppo intensa né troppo debole. A distanze inferiori dal Sole l’acqua evaporerebbe, mentre a distanze superiori diventerebbe ghiaccio. Anche la grandezza della Terra è favorevole alla vita: sufficiente perché il suo campo gravitazionale riesca a mantenere un’atmosfera relativamente densa, ma non tanto da trattenere una coltre opaca e soffocante di gas. Diametro e composizione rocciosa della Terra sono all’origine anche di altri fattori favorevoli all’abitabilità, come la tettonica delle zolle, che ha un ruolo di regolazione climatica, e il campo magnetico che protegge la biosfera dai danni provocati dalla radiazione cosmica.
Eppure, quanto più gli scienziati approfondiscono lo studio dell’abitabilità del nostro pianeta, tanto meno ideale esso appare. Oggi l’abitabilità varia molto da una regione all’altra della Terra, tanto che vaste parti della sua superficie sono relativamente povere di vita: si pensi ai deserti aridi, all’oceano aperto, dove le sostanze nutritive scarseggiano, e alle gelide regioni polari. L’abitabilità della Terra varia anche nel tempo. Consideriamo per esempio che, durante gran parte del Carbonifero, tra circa 350 e 300 milioni di anni fa, l’atmosfera terrestre era più calda, più umida e molto più ricca in ossigeno rispetto a oggi. Nei mari prosperavano crostacei, pesci e coralli costruttori di grandi barriere, immense foreste coprivano i continenti e insetti e altri animali terrestri raggiungevano dimensioni gigantesche. Probabilmente la Terra del Carbonifero era in grado di sostenere una quantità di biomassa significativamente maggiore dell’attuale, e questo implica che oggi la sua abitabilità possa essere considerata inferiore rispetto ad alcuni periodi del lontano passato.
Oltre a ciò, sappiamo con certezza che in futuro la Terra diventerà assai meno ospitale. Fra circa 5 miliardi di anni il Sole avrà esaurito la maggior parte del proprio combustibile, rappresentato dall’idrogeno, e nel nucleo avrà inizio la fusione dell’elio, che genera più energia; questo cambiamento farà sì che il Sole si rigonfi e diventi una «gigante rossa», incenerendo la Terra.
Prima che questo accada, tuttavia, la vita sulla Terra si sarà già estinta. A causa del progressivo consumo dell’idrogeno, la temperatura del nucleo solare salirà gradualmente, provocando un conseguente aumento della luminosità totale della nostra stella, nella misura di circa il dieci per cento ogni miliardo di anni. Un simile cambiamento implica che la zona abitabile che circonda il Sole non sia statica, ma dinamica: nel tempo si allontanerà sempre più dalla nostra stella via via più luminosa, lasciando indietro la Terra. A peggiorare la situazione, secondo recenti calcoli la Terra non si troverebbe nel centro della zona abitabile, ma vicina al suo margine interno, e quindi già prossima alla minaccia di un surriscaldamento.
Come conseguenza, entro mezzo miliardo di anni circa il Sole sarà diventato abbastanza luminoso da provocare un riscaldamento estremamente intenso della Terra, al punto da minacciare la sopravvivenza degli organismi pluricellulari complessi. Fra circa 1,75 miliardi di anni la crescente luminosità della nostra stella renderà la Terra così calda da far evaporare gli oceani, sterminando gli ultimi esseri viventi di tipo più semplice ancora presenti sulla superficie. Di fatto, la Terra ha ormai superato la fase di abitabilità ottimale e la biosfera sta avvicinandosi al tramonto. Tutto considerato, sembra ragionevole affermare che al momento il nostro pianeta sia solo marginalmente abitabile.

In cerca di un mondo superabitabile
Nel 2012, durante le mie ricerche sulla potenziale abitabilità dei satelliti massicci orbitanti attorno a pianeti giganti gassosi, iniziai a riflettere sulle possibili caratteristiche di un mondo più ospitale per la vita. Nel sistema solare il satellite più grande è Ganimede, che orbita attorno a Giove e ha una massa pari solo al 2,5 per cento di quella terrestre, insufficiente a consentirgli di conservare un’atmosfera simile a quella della Terra. Mi resi conto però che ci sono meccanismi plausibili che potrebbero portare alla formazione di satelliti con una massa prossima a quella terrestre in altri sistemi planetari, potenzialmente attorno a pianeti giganti collocati entro la zona abitabile della loro stella: questi satelliti potrebbero avere un’atmosfera non diversa da quella del nostro pianeta.
Questi «esosatelliti» massicci potrebbero essere superabitabili in virtù della ricca varietà di fonti energetiche a disposizione di una potenziale biosfera. Al contrario della vita sulla Terra, che è alimentata prevalentemente dalla luce solare, la biosfera di un esosatellite superabitabile potrebbe anche sfruttare l’energia della luce riflessa e del calore emesso dal vicino pianeta gigante, o addirittura quella del campo gravitazionale del pianeta stesso. Nel corso dell’orbita attorno al pianeta gigante, le forze mareali possono causare deformazioni ripetute della crosta del satellite, generando attrito che ne provoca il riscaldamento dall’interno. A questo processo di riscaldamento marcale è probabilmente dovuta la formazione degli oceani che si ritiene esistano sotto la superficie di Europa ed Encelado, rispettivamente satelliti di Giove e di Saturno. Detto questo, però, la diversità energetica potrebbe essere un’arma a doppio taglio per un esosatellite massiccio, perché un lieve squilibrio nella disponibilità delle fonti energetiche potrebbe farlo precipitare verso l’inabitabilità.
Finora non sono stati individuati con certezza esosatelliti, abitabili o meno, anche se prima o poi qualcuno potrebbe essere identificato negli archivi di dati raccolti da osservatori come il telescopio spaziale Kepler della NASA. Per il momento, esistenza e possibile abitabilità di questi corpi restano a livello di congettura.
Viceversa, alcuni pianeti superabitabili potrebbero essere già presenti nel nostro catalogo di esopianeti certi e da confermare. I primi esopianeti scoperti a metà degli anni novanta erano tutti giganti gassosi di massa simile a quella di Giove e con orbite troppo vicine alla loro stella per poter ospitare forme di vita. Tuttavia, grazie all’affinamento nel tempo delle tecniche per l’individuazione di pianeti, gli astronomi hanno iniziato a scoprire corpi planetari progressivamente più piccoli e con orbite più ampie e clementi. La maggior parte dei pianeti identificati negli ultimi anni è costituita dalle cosiddette super-Terre: mondi generalmente più grandi del nostro, fino a dieci masse terrestri e di raggio compreso fra quello della Terra e quello di Nettuno. Si è scoperto che simili pianeti sono comuni in altri sistemi stellari, sebbene nel nostro non esista alcun esempio confrontabile: in questo senso, anzi, il sistema solare appare atipico.
Molte delle super-Terre più massicce e di raggio più grande hanno verosimilmente un’atmosfera densa e pesante che le rende più simili a mini-Nettuni che a versioni extra-large della Terra. Ma è probabile che alcune fra le più piccole, con raggio pari a non più del doppio di quello terrestre, abbiano una composizione prevalentemente rocciosa e ricca in ferro, simile a quella della Terra, e potrebbero avere abbondante acqua liquida sulla superficie se la loro orbita ricadesse nella zona abitabile della stella. Oggi sappiamo che un buon numero di potenziali super-Terre rocciose orbita attorno a stelle denominate nane M e nane K, che sono più piccole, meno luminose e molto più longeve del Sole. Anche grazie alla lunga vita delle loro piccole stelle, queste Terre extra-large sono oggi i migliori candidati a pianeti superabitabili, come ho dimostrato in lavori recenti basati su modelli messi a punto in collaborazione con John Armstrong, fisico della Weber State University.

I vantaggi della longevità
Abbiamo iniziato il nostro lavoro con la premessa che una stella di vita molto lunga sia l’ingrediente basilare per la superabitabilità; in effetti, è improbabile che una biosfera planetaria possa sopravvivere alla fine della propria stella. Il Sole ha un’età di 4,6 miliardi di anni, ed è quindi arrivato circa a metà della sua esistenza, stimata in 10 miliardi di anni. Se fosse leggermente più piccolo, però, sarebbe una nana K di vita molto più lunga. Le stelle di questa classe hanno una ridotta quantità di combustibile per la fusione nucleare rispetto alle stelle massicce, ma ne fanno un uso molto più efficiente, prolungando così la propria esistenza. Le nane K di mezza età che osserviamo oggi sono più vecchie di miliardi di anni rispetto al Sole e splenderanno ancora miliardi di anni dopo che quest’ultimo si sarà estinto. Le potenziali biosfere esistenti sui loro pianeti avranno quindi molto più tempo a disposizione per evolvere e diversificarsi.
Una nana K appare un po’ più rossa del Sole perché la sua emissione luminosa è più spostata verso l’infrarosso, ma l’intervallo spettrale potrebbe comunque permettere la fotosintesi sulla superficie di un pianeta. Le nane M sono ancora più piccole e parsimoniose, e possono splendere ininterrottamente per centinaia di miliardi di anni, ma la loro emissione è così debole che la zona abitabile che le circonda deve essere estremamente vicina, al punto da poter esporre eventuali pianeti a intensi brillamenti stellari e ad altri fenomeni pericolosi. Essendo più longeve del Sole, ma non insidiosamente deboli, le nane K sembrano associate alle condizioni ottimali per la superabitabilità.
Oggi alcune di queste stelle di lunga vita potrebbero ospitare super-Terre rocciose la cui età è di alcuni miliardi di anni più grande rispetto a quella del sistema solare. La genesi della vita in questi sistemi planetari potrebbe essere molto più antica della nascita del Sole e forse gli organismi viventi che li popolano avevano già miliardi di anni di evoluzione alle spalle quando la prima biomolecola comparve nel brodo primordiale sulla giovane Terra. Sono affascinato dalla possibilità che una biosfera su questi antichi mondi possa aver modificato il proprio ambiente globale per migliorarne l’abitabilità, come del resto ha fatto la vita sulla Terra.
Un esempio eloquente è il «grande evento di ossigenazione» di 2,4 miliardi di anni fa, quando rilevanti quantità di ossigeno iniziarono ad accumularsi nell’atmosfera terrestre. Emesso probabilmente dalle alghe che popolavano gli oceani, l’ossigeno determinò l’evoluzione di forme di metabolismo più energetiche, che permisero la comparsa di organismi di taglia maggiore, più longevi e più attivi. Fu un passo avanti fondamentale nel percorso che portò gli esseri viventi a lasciare gradualmente gli oceani e a colonizzare i continenti. Se anche le biosfere aliene fossero in grado di esercitare analoghi effetti di miglioramento ambientale, potremmo attenderci che l’abitabilità dei pianeti orbitanti attorno a stelle di lunga vita aumenti in qualche misura con il passare del tempo.
Per essere superabitabili, gli esopianeti di stelle piccole e longeve dovrebbero avere una massa maggiore di quella della Terra. Questa «taglia in più» potrebbe scongiurare due probabili disastri che incombono sui pianeti rocciosi nel corso dell’invecchiamento. Se la Terra fosse situata nella zona abitabile di una piccola nana K, il suo interno si raffredderebbe molto prima della morte della stella, inibendo l’abitabilità. Il calore interno di un pianeta è all’origine delle eruzioni vulcaniche e della tettonica delle zolle, processi che riciclano e mantengono a livello più o meno costante un importante gas serra, l’anidride carbonica. In assenza di questi processi, il livello di CO₂ si ridurrebbe progressivamente perché il gas, solubile nell’acqua piovana, verrebbe sottratto all’atmosfera e sequestrato nelle rocce. A un certo punto l’effetto serra globale, che dipende dalla CO₂, si interromperebbe, aumentando la probabilità che un pianeta simile alla Terra si trasformi in una «palla di neve» inabitabile con il congelamento di tutta l’acqua superficiale.
Prima ancora del possibile blocco della mitigazione climatica associata all’effetto serra, il raffreddamento dell’interno di un antico pianeta roccioso provocherebbe il collasso del campo magnetico protettivo. La Terra è schermata da un campo magnetico generato dalla rotazione del nucleo convettivo di ferro fuso, che agisce come una dinamo. Il nucleo rimane liquido grazie al calore residuo della formazione del pianeta, oltre che al decadimento di isotopi radioattivi. Quando la riserva di calore interno di un pianeta si esaurisce, il nucleo si solidifica, la dinamo smette di funzionare e il campo magnetico scompare, permettendo alla radiazione cosmica e a quella generata dai brillamenti stellari di erodere l’alta atmosfera e raggiungere la superficie. Dunque, si può prevedere che nel tempo gli antichi pianeti simili alla Terra perdano nello spazio una parte rilevante di atmosfera e che livelli più elevati di radiazioni dannose possano minacciare la vita sulla superficie.
Le super-Terre rocciose grandi fino al doppio del nostro pianeta dovrebbero invecchiare meglio della Terra, conservando molto più a lungo il calore interno grazie alla massa significativamente maggiore. Ma i pianeti più grandi di 3-5 masse terrestri potrebbero avere dimensioni eccessive per la tettonica delle zolle, dato che pressione e viscosità nel loro mantello sarebbero così elevate da inibire il necessario flusso di calore verso l’esterno. Un pianeta roccioso di massa doppia di quella terrestre dovrebbe avere comunque una tettonica delle zolle ed essere in grado di conservare cicli geologici e campo magnetico per diversi miliardi di anni in più di quanto potrà fare la Terra. Un simile pianeta avrebbe anche un diametro del 25 per cento maggiore rispetto a quello della Terra, e quindi gli esseri viventi disporrebbero di una superficie abitabile più estesa, di circa il 56 per cento.

La vita su una super-Terra superabitabile
Che aspetto potrebbe avere un pianeta superabitabile? La gravità superficiale relativamente intensa di una super-Terra di medie dimensioni tenderebbe ad aumentare di poco densità dell’atmosfera e velocità di erosione delle catene montuose. In altri termini, il pianeta avrebbe un’aria un po’ più pesante e una superficie più piatta rispetto alla Terra. Se ci fossero oceani, la conformazione pianeggiante della superficie porterebbe l’acqua ad accumularsi in un gran numero di mari poco profondi disseminati di catene insulari anziché in grandi bacini abissali alternati a pochi continenti di grandi dimensioni. Poiché negli oceani terrestri la massima biodiversità si osserva nelle acque basse delle piattaforme continentali, un simile «mondo arcipelago» potrebbe essere assai vantaggioso per la vita. Inoltre l’evoluzione potrebbe svolgersi più velocemente negli ecosistemi insulari isolati, incrementando potenzialmente la biodiversità.
Essendo privo di vasti continenti, un mondo arcipelago offrirebbe agli organismi che vivono sulla terraferma una superficie emersa meno estesa rispetto a un mondo continentale, il che potrebbe ridurre l’abitabilità globale. Questa conclusione non è però scontata, soprattutto perché le aree centrali di un continente, essendo distanti dall’aria oceanica umida e temperata, avrebbero buone probabilità di essere desertiche. Inoltre la superficie abitabile di un pianeta può essere drasticamente influenzata dall’orientazione del suo asse di rotazione rispetto al piano dell’orbita attorno alla stella.
L’inclinazione dell’asse terrestre, per esempio, è di circa 23,4 gradi, genera cambiamenti stagionali e modera le differenze di temperatura, potenzialmente estreme, tra calde regioni equatoriali e più fredde zone polari. Rispetto alla Terra, un mondo arcipelago con un’inclinazione assiale favorevole potrebbe avere una fascia equatoriale relativamente calda e allo stesso tempo zone polari tiepide e prive di ghiacci; in virtù del diametro maggiore e della più ampia area superficiale globale, le terre emerse abitabili di un simile pianeta potrebbero avere un’estensione anche maggiore rispetto a un mondo identico, ma con vasti continenti.
Nel complesso, queste considerazioni sulle caratteristiche importanti per l’abitabilità indicano che un mondo superabitabile dovrebbe essere poco più grande della Terra e orbitare attorno a una stella poco più piccola e debole del Sole. Questa conclusione, se è corretta, implica prospettive entusiasmanti perché, su distanze interstellari, le super-Terre in orbita attorno a stelle piccole sono molto più facili da individuare e studiare rispetto a gemelli del sistema Terra-Sole. Finora le statistiche delle indagini effettuate in cerca di esopianeti indicano che nella nostra galassia le super-Terre in orbita attorno a stelle piccole sono più abbondanti degli analoghi del sistema Terra-Sole. Sembra dunque che gli astronomi dispongano di un numero più grande di luoghi affascinanti dove cercare la vita rispetto a quanto ritenuto in passato.
A questo proposito va citata una delle scoperte più interessanti di Kepler, annunciata ad aprile 2014: il pianeta Kepler-186f. Ha un diametro maggiore dell’11 per cento rispetto a quello terrestre, una composizione probabilmente rocciosa e orbita nella zona abitabile della sua stella, una nana M. La sua età probabile è di alcuni miliardi di anni, forse superiore a quella della Terra. Trovandosi a una distanza di 500 anni luce, è al di fuori dalla portata delle osservazioni attuali e del prossimo futuro, che potrebbero fornire ulteriori elementi per valutarne l’abitabilità, ma, per quanto ne sappiamo, potrebbe essere un mondo arcipelago superabitabile.
Possibili mondi superabitabili in orbita attorno a piccole stelle più prossime a noi potrebbero essere individuati a breve termine da vari progetti di ricerca, soprattutto dalla missione PLATO dell’Agenzia spaziale europea, il cui lancio è programmato pei il 2024. Questi sistemi vicini potrebbero anche diventare obiettivi del James Webb Space Telescope, che secondo le previsioni verrà lanciato nel 2018 c cercherà indizi della presenza di vita nell’atmosfera di un piccolo numero di mondi potenzialmente superabitabili. Se avremo fortuna, potremo presto indicare un punto del cielo dove esiste un mondo più perfetto del nostro.