Piergiorgio Odifreddi, Le Scienze 3/2015, 5 marzo 2015
IL TRENO DEI DESIDERI
Le avventure di Alice nel paese delle meraviglie iniziano con un’interminabile caduta libera nella tana del Coniglio, e la bambina si domanda curiosa se raggiungerà il centro della Terra, o addirittura quegli «Antipotici» che stanno dall’altra parte. Se la domanda, tutt’altro che insensata, l’aveva già posta Plutarco, la risposta, tutt’altro che ovvia, l’aveva già data Galileo Galilei nel Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo.
Da un punto di vista puramente dinamico, e ignorando attriti e rotazione (per esempio, supponendo che il buco colleghi i due poli), Alice cadrebbe con accelerazione decrescente e velocità crescente fino al centro della Terra, dove raggiungerebbe accelerazione zero. Continuando poi a cadere con velocità decrescente fino agli antipodi, li raggiungerebbe a velocità zero. E una volta dall’altra parte riprenderebbe a cadere «all’insù», con un moto oscillatorio che la farebbe salire e scendere in eterno, come se fosse attaccata a un elastico. In presenza di attrito l’oscillazione sarebbe invece smorzata, e prima o poi Alice si fermerebbe al centro della Terra.
Alle intuizioni qualitative di Galileo, i Principia di Newton aggiunsero la possibilità di un trattamento quantitativo della questione. Per poter calcolare il moto di un corpo in caduta libera dentro la Terra, che supponiamo per semplicità sferica, bisogna conoscere l’accelerazione a cui il corpo è soggetto. Per la legge di gravitazione, sulla superficie della Terra l’accelerazione è pari a g = GM/R², dove M eR sono la massa e il raggio terrestre, e G la costante di gravitazione universale. Dentro la Terra, a una distanza r dal centro, l’accelerazione è invece pari a Gm/r², dove m è la massa del nucleo interno di raggio r: una delle scoperte di Newton, infatti, fu che l’azione della parte esterna sul corpo si annulla.
Supponendo che la densità della Terra sia costante, i rapporti fra le due masse sono proporzionali ai loro volumi, e dunque ai cubi dei rispettivi raggi: cioè, la massa del nucleo interno m è pari a Mr³/R³, e l’accelerazione a distanza r dal centro è uguale a gr/R.
E poiché sia g che R sono costanti, l’accelerazione è proporzionale alla distanza r: siamo quindi in presenza di un moto armonico, in cui il corpo oscilla periodicamente fra gli estremi con un periodo pari a 2π√R/g.
L’oscillazione era appunto già stata intuita da Galileo, ma con gli strumenti introdotti da Newton possiamo calcolarne la durata. Usando come valore dell’accelerazione di gravità i famosi 9,8 metri al secondo quadrato, e come valore del raggio terrestre una media di 6380 chilometri, il tempo impiegato per andare da un polo è pari a metà del periodo: cioè, circa 2535 secondi, o 42 minuti e 15 secondi. Tempo sbalorditivamente corto, trascorso a una media di circa 18.200 chilometri all’ora, con una punta massima al centro di circa 28.500 chilometri all’ora: che, non a caso, è anche la velocità orbitale di un corpo in orbita radente alla superficie terrestre.
Come aveva già intuito Galileo, lo stesso tempo viene impiegato per muoversi in scivolata libera e senza attriti lungo un tunnel rettilineo che parte da un qualunque punto della superficie terrestre e arriva in un qualunque altro punto, indipendentemente dalla sua lunghezza: sia la forza attrattiva sia la distanza percorsa diminuiscono infatti in ciascun punto dello stesso fattore (il coseno dell’angolo tra la direzione del tunnel e la verticale per il centro).
Si può dunque sfruttare la cosa per risolvere definitivamente problema dei trasporti: invece di costruire ferrovie sulla superficie terrestre, basta traforare la Terra di gallerie rettilinee e farle percorrere da treni non sospinti da costosi motori, ma tirati dalla gratuita gravità.
Nel 1893 Lewis Carroll ne parlò scherzosamente nella seconda parte del romanzo Silvia e Bruno, attribuendo l’invenzione del treno gravitazionale a uno dei protagonisti, il professore tedesco Mein Herr. Ma nel 1966 il fisico statunitense Paul Cooper propose seriamente la cosa sull’«American Journal of Physics». La notizia fu immediatamente ripresa dal settimanale «Time» e sollevò un’accesa discussione sui media scientifici, apparentemente ignari del fatto che già Galileo e Newton avevano risolto l’esercizio di fisica, e che Carroll l’aveva da tempo situato nell’ambito che gli competeva: quello della letteratura fantastica.