Marcello De Cecco, Affari & Finanza 2/3/2015, 2 marzo 2015
DOLLARO-YUAN, IL DERBY DELLE MONETE
Negli ultimi dieci anni, il dollaro non è mai stato così alto nei confronti delle principali monete. L’ascesa è stata rapida, se a metà dell’anno scorso si ponevano domande sulla eccessiva forza dell’euro, domande che oggi non hanno più senso dopo una svalutazione che ha rimesso il vento nelle vele degli esportatori europei. La caduta dell’euro è dipesa dall’aggravarsi della crisi ucraina ma uguale e forse maggiore impatto ha avuto prima l’attesa e poi la certezza dell’inizio di una vigorosa politica di quantitative easing da parte della Bce, che sembra abbia preso il testimone dalla Fed e si è impegnata a immettere sui mercati 60 miliardi al mese per almeno un paio di anni. Allo stesso tempo, la Fed ha decretato la fine del suo qe e ha fatto capire di star pensando a una stretta dei tassi di interesse nel secondo semestre.
Il crollo del petrolio, promosso dall’Arabia Saudita in concomitanza con il balzo del dollaro, se ha giovato e gioverà ai grandi consumatori, come l’India e l’Europa, ha colpito duramente chi di petrolio vive, in particolare la Russia. Il rublo scende più o meno nella stessa misura in cui scende il petrolio. Lo stesso vale per il disastrato Venezuela. La rupia indiana dovrebbe invece avvantaggiarsi del declino del prezzo del petrolio, ma questa variabile è stata soffocata dal balzo del dollaro. In generale, poche monete hanno seguito quella americana nella sua ascesa. Potrebbe essere un andamento, quello delle valute allineate al dollaro, asimmetrico, con una separazione di destini quando il dollaro sale e invece un ritorno al legame quando esso scende. Prima della Unione monetaria europea, era una strategia di politica valutaria della Banca d’Italia e delle altre banche dei paesi periferici europei di cui si lamenta la scomparsa dai giorni di Maastricht.
Il governatore della Reserve Bank of India, Raguram Rajan, che è stato un eccellente economista dell’Università di Chicago, tornato in patria per raddrizzare la barca della politica monetaria indiana, ha di recente deprecato con parole molto forti e chiare la politica del quantitative easing della Fed, mettendo in luce uno dei problemi che più affliggono in particolare i paesi asiatici per la forza del dollaro. Approfittando dei tassi di interesse bassissimi indotti dal QE della Fed, infatti, le imprese private e i governi, in particolare, ma non solo, dei paesi asiatici, hanno preso a prestito quantità enormi di dollari, mediante l’emissione di obbligazioni collocate sul mercato americano.
Questo movimento è divenuto una valanga nel 2014, quando si è fatta probabile la stretta della Fed. I debitori, in specie asiatici, si sono affollati a vendere i loro titoli a Wall Street per approfittare dei tassi ancora bassi. Ma non hanno fatto molto caso, né sembra l’abbiano notato quelli che hanno sottoscritto le loro emissioni, al dollaro in ascesa, che rende più problematica la restituzione dei prestiti e perciò più basso il valore dei loro titoli.
Ora, nell’attesa di un inasprimento monetario americano, i debitori e creditori in dollari possono solo sperare che il passaggio di testimone dalla Fed alla Bca faccia da calmiere ai tassi e alle condizioni creditizie. Ma le cose non sono così semplici: il mercato dei titoli privati europeo è una frazione molto piccola di quello americano e anche quello dei titoli pubblici non è altrettanto facilmente penetrabile dalla periferia. Non è perciò scontato che il passaggio di testimone tra le due banche centrali comporti condizioni immutate sul mercato finanziario internazionale, con una fonte di carry trade che sostituisce a un’altra, senza problemi per i debitori. Ha ragione quindi Rajan a preoccuparsi, antivedendo il ripetersi di difficoltà e fallimenti del tipo di quelli sperimentati nel corso della crisi asiatica della fine degli anni novanta del novecento.
I protagonisti sono sempre quelli, a partire dalla Russia, che ha già visto il crollo della moneta per il rimpatrio accelerato dei prestiti che aveva ricevuto dai mercati internazionali. Le enormi riserve di valuta accumulate in anni recenti, quando il petrolio continuava a salire, ammorbidiscono la caduta evitando gli effetti più traumatici. Così come accade per l’Arabia Saudita e per la Norvegia, altri grandi produttori colpiti dal crollo del prezzo. Ma anche le riserve più grandiose si esauriscono e la velocità della loro diminuzione è seguita dalla speculazione internazionale con interesse, fomentando strategie pericolose.
Da questo quadro è rimasta finora fuori la Cina. Lo scopo è mettere nel giusto rilievo il ruolo di quello che sta diventando il vero centro dell’economia mondiale. Lo si vede bene nell’attuale ciclo del dollaro. Le autorità cinesi hanno attutito con misure di rilancio della domanda interna gli effetti della crisi sulle esportazioni, ma ai primi segni di ripresa della economia americana hanno iniziato a svolgere un’azione decisa per modificare la struttura dell’economia cinese, innanzitutto permettendo la fine del boom dell’acciaio indotto dalla politica di costruzione anticiclica di infrastrutture.
La nuova fase cinese, che ha compreso un’azione contro l’eccessivo proliferare del credito parabancario, mostra la centralità della economia cinese. Crollate le quotazioni sui mercati delle principali materie prime a causa del cambio di direzione della economia cinese, sono infatti entrati in crisi profonda i paesi che negli anni precedenti si erano arricchiti esportando materie prime in Cina. Effetti marcati si sono così visti in paesi come Brasile, Argentina, Australia, esportatori di metalli e prodotti agricoli, ma anche sui paesi africani dove i cinesi hanno fomentato la crescita di miniere e enormi aziende agricole. La Cina ha operato in una prospettiva di lungo periodo, volta alla sostituzione del dollaro al centro del sistema monetario e finanziario internazionale. Dalla Cina è partita l’iniziativa volta a creare istituzioni alternative alla Banca Mondiale e al Fmi. Sono i cinesi ad avere, con la loro Export and Import Bank, prestato in due anni 670 miliardi di dollari a tassi convenienti, eclissando tutti i prestiti, garanzie e assicurazioni fornite dalla Eximbank americana negli 80 anni precedenti.
Con prudenza, ma con determinazione, i cinesi stanno mettendo lo yuan al posto del dollaro nei ruoli di moneta di transazione e di riserva. La Cina è al primo posto nel commercio internazionale e questo l’aiuta molto, insieme alla notoria potenza finanziaria dei famosi oligarchi cinesi emigrati, che operano da Taiwan, dalla Malesia, dall’Indonesia e da Singapore, a creare e a far crescere il mercato titoli in Renmimbi, sul quale si sono emessi 450 miliardi di obbligazioni nei primi otto mesi del 2014, contro i 376 miliardi dell’intero 2013.