Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  marzo 02 Lunedì calendario

IL CALCIO VERSO IL CRACK, 1,7 MILIARDI DI DEBITI. IL PARMA È SOLO L’INIZIO

La Serie A è lo specchio del Paese: debiti enormi e zero utili. Come lo Stato, il campionato, ogni anno, spende più di quello che incassa: a fronte di 1,6 miliardi di ricavi, ce ne sono 1,7 di debiti netti e 3 di debiti lordi. Gli utili sono pari a zero e le perdite annue arrivano a 100 milioni di euro. Paradigma di un sistema che fatica a sostenersi da solo è il Parma che rischia di abbassare la saracinesca fra pochi giorni. Poi ci sono le due big milanesi legate agli investitori d’Oriente che, dopo l’Inter, ora posano gli occhi sul Milan.
Siamo di fronte a un movimento rassegnato a lasciar partire i propri campioni: per far quadrare i bilanci si rinuncia allo spettacolo. Facendo finta di ignorare l’eccessiva e dannosa dipendenza dalle televisioni, pronte a chiudere i cordoni della borsa qualora l’audience calasse. Il caso più eclatante è quello del club gialloblù, che rischia il fallimento: l’udienza è fissata il 19 marzo. Eppure non è stato un crac improvviso. Il bilancio chiuso al 30 giugno 2014 ha evidenziato una perdita di 13,7 milioni (superiore a un terzo del capitale sociale).
L’indebitamento lordo del Parma è cresciuto in modo spaventoso negli ultimi anni: era di 16,1 milioni nel 2006-07, è salito a 197,4 nel 2013-14. La Federcalcio ha negato la licenza Uefa ma ha permesso al club di iscriversi al campionato: la crisi finanziaria
della società ha reso subito impossibile pagare gli stipendi, ad eccezione di luglio. La proprietà aveva garantito la continuità aziendale solo fino al 31 dicembre 2014, e il bilancio 2013 era stato chiuso con una perdita contenuta (3,2 milioni) solo per la cessione del marchio che aveva generato una plusvalenza di 22,7 milioni.

I bilanci
Lo scudetto dei conti va al Napoli, che al 30 giugno 2014 - ultimo bilancio disponibile - ha chiuso con un utile di 20,2 milioni, migliorando il risultato del precedente esercizio (+12,2 milioni): effetto del ritorno in Champions e della maxi-cessione di Cavani al Psg. Il club di De Laurentiis ha registrato plusvalenze per 69,3 milioni. Altra società virtuosa è la Lazio che ha chiuso con un utile di 7,1 milioni, grazie alle ricche plusvalenze (22,9 milioni) e alla cessione di Hernanes all’Inter. In attivo anche la Fiorentina (+1,4 milioni, 33,4 milioni di plusvalenze), che aveva ceduto Jovetic e Ljajic. L’Inter (+33 milioni nel bilancio del club, -102,4 milioni nel consolidato) ha creato Inter Media and Communications, una newco in cui ha conferito i contratti di sponsorizzazione, i crediti dei diritti tv, le attività di gestione del marchio (già ceduto a Inter Brand srl), incassando ricche plusvalenze. In attivo anche Hellas Verona (+5,3 milioni, con la cessione del marchio) e Genoa (in sostanziale pareggio, con la cessione del ramo d’azienda e dello sfruttamento del brand). La Juventus ha perso 6,7 milioni, dato non drammatico perché il club sta riducendo il passivo (era -15,9 milioni nel 2012/13). Il Milan al 31 dicembre 2013 ha fatto registrare un rosso di 22,5 milioni (-15,7 nel consolidato), l’As Roma Spa ha chiuso con un passivo di 38,6 milioni al 30 giugno 2014. Sugli incassi totali della A, il fatturato netto (diritti tv, biglietteria, sponsor e contratti commerciali) è pari all’80%. Il restante 20 arriva dalle plusvalenze da calciomercato, una zona d’ombra che è stata oggetto d’indagine dei magistrati. Anche quando sono reali, i dati riguardano la cessione di campioni all’estero: per far quadrare i conti, la Serie A è costretta a rinunciare ogni anno ai suoi migliori giocatori.

Nel mirino Uefa
La Roma, insieme all’Inter, è nel mirino dell’Uefa: 7 club sotto indagine per violazione del fair play finanziario (gli altri sono Monaco, Besiktas, Krasnodar, Liverpool e Sporting Lisbona), in settimana possibili le sanzioni: dalla multa all’esclusione dalle coppe. I due club italiani hanno presentato un piano di rientro, rischiano il blocco dei premi Uefa ma sperano di cavarsela con una piccola sanzione.

I debiti
Il Parma non è l’unico club di A schiacciato dai debiti. Alla luce dei bilanci disponibili (2013/14 o 2013 per i club che si avvalgono del consolidato), il debito lordo delle squadre di Serie A ammontava a 3,3 miliardi, in deciso aumento sul 2012/13 (2,9 miliardi). Cifra che comprende i debiti, i fondi rischi e Tfr, i ratei e risconti passivi. Il debito netto ammonta a circa 1,7 miliardi, in aumento rispetto alla stagione precedente (1,5 miliardi), ma spesso tra gli attivi circolanti ci sono crediti che mai verranno riscossi. Il fatturato netto della Serie A ammonta a 1,6 miliardi. Osserva Luca Marotta, revisore contabile di bilanci calcistici: “Il rapporto fra passività e fatturato netto della Serie A 2013/14 è pari a 1,982. Questo significa in teoria che serve il fatturato di due anni per restituire la liquidità equivalente al capitale di terzi investito in un esercizio. Maggiore è questo indice, più importante diventa il continuo supporto finanziario della proprietà. Il club col più alto valore è il Genoa, con 5,6. Nel Parma era 4,2 e i problemi sono emersi quando è venuto meno il supporto degli azionisti”.

Le luci dell’est
L’Inter è già indonesiana, il Milan è nei sogni di thailandesi e cinesi, che sul piatto sono pronti e mettere un miliardo di euro: una cifra a cui la famiglia Berlusconi difficilmente potrà dire di no. Da Bangkok, la cordata con a capo Bee Taechaubol, si dice pronta a chiudere il conto con le banche (il Milan ha debiti per oltre 250 milioni) e a investire per riportare la squadra sul tetto d’Europa. Dalla Cina, il colosso Wanda, che gestisce diritti televisivi, ha smentito di poter chiudere l’affare a queste cifre: “Valutazione irrealistica”, secondo l’azienda che ha rilevato il 20% dell’Atletico Madrid per 45 milioni, e Infront per 1,05 miliardi. In un sistema incapace di camminare con le proprie gambe, dove lo spettacolo latita e i conti proprio non tornano, l’unica salvezza arriva dai cavalieri bianchi d’oriente ancora attratti dalla forza del made in Italy.

Schiavi delle tv
Nell’ultima stagione la Serie A ha fatturato 1,6 miliardi, al netto dei ricavi dal calciomercato. In questa voce, lo scudetto va alla Juventus (279,3 milioni), davanti a Milan (246), Napoli (165), Inter (154), Roma (128). Il Milan detiene il primato di ricavi commerciali (78 milioni). Ma il telecomando del calcio italiano è in mano ai network. Sul fatturato dei club, i diritti televisivi incidono per il 59%, gli sponsor e i contratti commerciali per il 19%, i biglietti per l’11% (altri ricavi generici ammontano all’11%). Un circolo vizioso: le società non confezionano un prodotto autonomo per poi rivenderlo, ma traggono dai contratti tv i fondi per allestire una stagione. In alcuni casi, come il Parma, le stagioni presenti si finanziano impegnando i futuri ricavi della cessione di diritti.

All’estero
Come funziona all’estero? Nel modello inglese, le tv incidono per il 51%, ma la Premier League ha appena ceduto il triennio 2016-19 per 5,136 miliardi di sterline, circa 7 miliardi di euro, con un aumento del 70%. Alla Serie A, in base all’ultimo contratto, andranno “solo” 1.003 milioni a stagione. E in Inghilterra i ricavi da gare (21%) e da sponsor (27%) insieme garantiscono l’altra metà dei ricavi. Nel modello tedesco, le tv incidono solo per il 29%, la fetta commerciale è del 42% e la biglietteria vale il 23%. In Spagna le entrate sono più bilanciate: 43% dalle tv, 26% dalle partite, 25% da sponsor e attività commerciali.
L’incapacità di incrementare le altre voci del fatturato è il freno principale alla crescita del movimento. La Juventus, prima squadra italiana ad avere l’impianto di proprietà (seguita da Udinese e Sassuolo), dallo Stadium riceve solo il 16% dei ricavi. “Il punto debole – dice Dario Righetti, partner Deloitte – è la dipendenza dai diritti tv. All’estero hanno investito nella gestione degli stadi e del merchandising, creando un clima positivo che adesso permette alle leghe di rinegoziare contratti tv ancora più ricchi”. Laconico il commento dell’ad del Milan, Adriano Galliani: “Tra un anno l’ultima delle squadre inglesi prenderà dai diritti tv più di una grande italiana”.

Costi e rischi
Dice Marotta: «Se in un’azienda si produce di più spremendo il personale, nel calcio ogni crescita della produzione viene assorbita da premi e spese per i dipendenti». In Italia i costi del personale (calciatori e tesserati) arrivano al 71% dei ricavi, lasciando solo il 29% a copertura delle spese vive e dei costi finanziari: uno sbilanciamento che continua ad alimentare le spirale debitoria nella quale versano le squadre italiane. Ecco perché una fuga delle tv metterebbe a rischio l’intero sistema. Basterebbe anche una minore attenzione o un’asta al ribasso. Certo, l’ultima asta sui diritti tv che Infront, con furbizia e abilità, è riuscita gestire ottimizzando i ricavi tra Sky e Mediaset ha spostato il problema più in la di qualche anno. Ma i dubbi restano.