Rosie Kinchin, D, la Repubblica 28/2/2015, 28 febbraio 2015
ANNE HA IL GENE PER GLI AFFARI
Come mai le persone favolosamente ricche sono così spesso favolosamente taccagne? Verrebbe da pensare che Anne Wojcicki, con i suoi 30 miliardi di dollari in banca, possa essere una con la smania di ostentare la propria ricchezza, magari procurandosi uno stuolo di tigri da sfoggiare come cagnolini e con l’unica preoccupazione di accumulare denaro.
Invece l’ex moglie del co-fondatore di Google, Sergey Brin, è una vera spilorcia. Odia quando al ristorante si ordina da bere, perché «è con le bevande e i dessert che fanno tutti i ricavi». E alla mensa aziendale, per ottimizzare l’offerta gratuita di succo di carota, ne trangugia quantità spropositate: «Al bar lo paghi così caro... Sentivo il dovere di berne il più possibile. Per un anno ne ho mandato giù quasi un litro al giorno. Ero diventata arancione», afferma con orgoglio. Seduta al tavolo di fronte a me, Anne Wojcicki ha un aspetto decisamente normale: è minuta, ben curata, sfoggia la tipica abbronzatura californiana ed emana una luminosità da yoga. Se gli stivali dalla suola rosso-Louboutin e l’anello di diamanti lasciano supporre una sobria agiatezza, è solo la presenza delle due ansimanti pierre che l’affiancano a tradire la sua appartenenza all’aristocrazia della Silicon Valley. Era da tanto che desideravo incontrare Wojcicki (si pronuncia “wogitski”), in parte perché ha commercializzato negli Usa dei kit economici per analizzare il Dna – per chiunque soffra anche solo vagamente di ipocondria si tratta di una notizia entusiasmante, io purtroppo mesi fa ho inviato un campione di saliva alla sua compagnia, 23andMe, dimenticando però di etichettarlo, così del mio Dna si sono perse le tracce – ma anche perché è stata al centro della separazione più chiacchierata della Silicon Valley.
Nel 2013 Sergey Brin, suo marito e padre dei suoi due figli nonché creatore innovativo a cui dobbiamo i Google Glass e le auto senza conducente, la lasciò per Amanda Rosenberg, una dipendente di 15 anni più giovane. I due formavano una delle coppie più potenti dell’universo tech e la loro separazione è stata passata al microscopio. Sino a oggi Wojcicki ha mantenuto il silenzio e l’unico indizio che qualcosa è cambiato è l’assenza della fede nuziale.
Anne Wojcicki è per due giorni in Gran Bretagna, dove 23andMe, la società da lei cofondata nel 2006, é stata lanciata a fine 2014. Dietro il pagamento di 125 sterline (e 99 dollari in Usa, ndr), offre l’opportunità di sputare in una provetta, spedirla a un laboratorio in America e scoprire se si è geneticamente predisposti a contrarre varie patologie (sono oltre un centinaio), dalla calvizie all’Alzheimer. Informazioni che possono aiutare a vivere meglio e più a lungo, ma potrebbero anche rivelare di cosa moriremo.
È una prospettiva che può apparire terrificante: «A Silicon Valley sono tutti ossessionati dall’idea di evitare la morte», dice Wojcicki con tono brusco. «Nel mio caso però sono stata spinta da due considerazioni: credo che il genoma umano rappresenti la scoperta più affascinante della nostra era, e che la genetica sia destinata a rivoluzionare la medicina e rendere le cure molto più efficaci». Il suo obiettivo è quello di permettere alle persone di esercitare più controllo sulla propria salute e facilitare il passaggio da una sanità basata sul modello diagnostico a una centrata sulla prevenzione. È lo stesso atteggiamento che ha indotto Angelina Jolie a sottoporsi al test per la mutazione potenzialmente letale del gene BRCA1, e ad adottare le famose contromisure. Wojcicki è una creatura della California: indossa tenute da yoga, va al lavoro in bici e pratica la meditazione. A un certo punto, la sorprendo a fissare con espressione accigliata il mio muffin alla mela. Si aspetta che i suoi dipendenti seguano i precetti della compagnia, e per questo ha messo a loro disposizione uno chef che «prepara piatti salutari a base di prodotti bio e a chilometro zero» e lezioni quotidiane di pilates e yoga che «quasi tutti seguono». Racconta di aver smesso di bere «perché sono geneticamente ad alto rischio di tumore al seno», patologia che alcuni studi collegano al consumo di alcool. Quando le domando cosa le piace mangiare, ci riflette e risponde: «Amo l’insalata».
Wojcicki non è un’imprenditrice improvvisata. Dopo gli studi di Biologia a Yale ha lavorato dieci anni a Wall Street come analista. Nel 2013 è stata nominata dalla rivista Fast-Company «amministratore delegato più audace d’America» e ha raccolto oltre 126 milioni di dollari per 23andMe.
Un passo importante, perché Wojcicki ha un piano: la costruzione di un’enorme banca dati con informazioni genetiche da mettere a disposizione della ricerca. Ritiene che un simile progetto le permetterebbe di aiutare il prossimo con più efficacia che donando grossi assegni per beneficenza.
Spiega: «I dati che ci riguardano sono la cosa più preziosa che abbiamo». E per lei naturalmente lo sono a maggior ragione: le case farmaceutiche, gli ospedali e i governi pagheranno profumatamente per accedere a questo bendidio. 23andMe ha già testato il Dna di 650mila individui, che nell’80% dei casi hanno acconsentito a mettere i propri dati a disposizione degli scienziati. L’impresa può diventare il Google del Dna.
Diffìcile immaginarsi Wojcicki a Wall Street. Figlia di due professori di Stanford, lei ha il piglio di una donna destinata ad altro. Studiare medicina e fare le ore piccole «per mappare il sistema immunitario» le é piaciuto molto, ma alla fine, scoraggiata dall’atteggiamento gretto e campanilistico della ricerca scientifica, si è innamorata dell’idea di mettere i pazienti nella condizione di controllare da sé la propria salute. «Mia madre aveva un fratellino che a 18 mesi inghiotti una confezione intera di aspirine. Lo portarono di corsa in tre ospedali diversi, ma tutti lo rispedirono a casa e lui morì», dice. «Mia madre, per reazione, non lasciò mai che nessuno decidesse per lei».
La vera domanda, naturalmente, è: se fosse geneticamente predisposta a sviluppare l’Alzheimer vorrebbe saperlo? «È una scelta personale», dice. «Il bello della genetica è che è solo uno dei tanti aspetti. Tutti riceviamo alla nascita dei geni, ma c’è anche una componente ambientale enorme. È su quella che possiamo intervenire».
Lei lo sa bene. Per una bizzarra coincidenza, infatti, proprio mentre Wojcicki stava lanciando 23andMe, alla madre di Brin fu diagnosticato il morbo di Parkinson. Malgrado i medici insistessero che non ci fosse bisogno di testare anche Sergey, Anne chiese ugualmente agli scienziati di 23andMe di aggiungere quella mutazione alla lista di quelle da verificare. Mesi dopo, mentre riguardava i risultati delle analisi, «mi accorsi che la mamma di Brin possedeva due copie di quella mutazione genetica». E capì che Sergey Brin e suo fratello dovevano averla ereditata. Questa mutazione del gene LRRK2 è associata a una maggiore probabilità di contrarre il Parkinson. La scoperta ha permesso a Sergey di modificare il suo stile di vita: «Ha iniziato a bere caffè e a fare più esercizio fisico», racconta. Due fattori che secondo alcuni studi possono ridurre il rischio. Si è pure detto che la rivelazione avrebbe scatenato in Brin una “crisi emotiva” poi sfociata nel rapporto con Rosenberg.
Wojcicki aveva conosciuto il suo futuro marito quando lui e il suo amico Larry Page presero in affitto il garage di sua sorella Susan a 1.700 dollari al mese, per farne la base del loro motore di ricerca. «Sergey viveva praticamente a casa di mia sorella, impossibile evitarlo», spiega con un sorriso. «Lavavi i piatti e intanto lo vedevi intento a scrivere programmi». Le sorelle si divertivano a “torturare” i due inquilini. «Avevano scritto su una lavagna “Quartier generale mondiale di Google”, e mia sorella di nascosto glielo cancellava». Alla fine Susan divenne la sedicesima dipendente di Google e Wojcicki divenne la moglie di Sergey.
«Abbiamo storie molto simili: siamo entrambi ebrei originari dell’Europa dell’Est», dice Ann. In comune però avevano anche il «senso dell’avventura» e – paradossalmente, per una delle coppie più ricche d’America – la predilezione per tutto ciò che è a buon mercato. «Ho ritrovato una lettera a un amico di Sergey, quando era in Europa, in cui si lamenta del costo delle grucce per abiti». Le loro nozze sono state celebrate alle Bahamas: lei in costume da bagno bianco, lui con uno nero. Quando le chiedo del loro rapporto oggi, lei sembra come afflosciarsi. «Siamo ancora sposati», dice, «ma è il matrimonio in generale che è difficile». Parliamo di altro, ma dopo qualche attimo lei mi interrompe: «Riguardo all’ultima domanda, vorrei aggiungere che i miei genitori mi hanno insegnato a cercare sempre un risvolto positivo. Ecco perché il mio istruttore di yoga mi chiama “principessa tutto-è-possibile”».
Si stima che Brin e Wojcicki abbiano un patrimonio comune sui 30 miliardi di dollari. Nella casa di Palo Alto lei si avvale di una «tata fantastica», di un altro chef (quando le chiedo se sa cucinare scoppia in una risata: «Meglio che non mi cimenti»), di personale di sorveglianza e di un ufficio che si occupa di filantropia. I due lo scorso anno si sono piazzati al nono posto tra le famiglie Usa per donazioni e sono stati definiti «i Bill e Melinda Gates della Generazione X». A parte la charity, però, Wojcicki detesta spendere. «Mia madre era molto, molto spilorcia. Quando mi capita qualcosa di gratis ho l’impressione di dover fare il pieno».
Nel suo primo anno a Wall Street guadagnava 40mila dollari e ne metteva da parte mille al mese. Il fine settimana, per divertirsi saliva sulla metropolitana «perché era gratis e trovavo entusiasmante scoprire ciò che mi circondava». La sua espressione si fa quasi nostalgica. Forse vivere con pochi soldi le manca? «Costantemente. C’era qualcosa di divertente e folle in quello stile di vita. Avere pochi mezzi rende molto più creativi». Adesso si concede due lussi: «Prendo multe a tutto spiano. Ho fatto i conti: anche se ho il 50% delle possibilità di prendere una multa, considerando il tempo che risparmio è una spesa accettabile». L’altro lusso è lasciare sempre l’auto nel parcheggio di sosta breve all’aeroporto. «Mi interessa solo arrivare a casa. Vale la pena di spendere qualche centinaio di dollari in più».
A dispetto dei suoi contatti impeccabili (il direttore operativo di Facebook Sheryl Sandberg, é sua amica, sua sorella Susan é Ceo di YouTube), 23andMe ha incontrato resistenze in Usa e anche in Europa suscita un certo scetticismo: si teme che le informazioni mediche possano finire in mano alle assicurazioni. Lei mi rivolge un sorriso di sufficienza: «Per quanto il tuo genoma possa essere grazioso, di sicuro preferirei avere i tuoi estremi bancari». La sua compagnia conserva le informazioni genetiche e personali all’interno di banche dati, e benché il rischio esista, dice, «siamo realisti: credete che un’assicurazione possa mettersi a trafugare genomi? Mi sembra un po’ fantascientifico». Ha ragione. Ma c’è forse qualche aspetto della sua storia che non lo è?
(The Sunday Times /News Syndication.Trad. di Marzia Porta)