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 2015  marzo 03 Martedì calendario

COSA MANCA PER USCIRE DALLA CRISI

Mancano ormai solo tre settimane all’inizio della primavera astronomica; sarà anche l’inizio della primavera economica? La risposta è ancora incerta ma una cosa può essere tranquillamente detta sin da ora: siamo più prossimi a una ripresa generalizzata dell’economia, di quanto non siamo mai stati negli ultimi sette anni.
Da diversi trimestri scrutiamo con ansia e speranza i «fili d’erba» della ripresa, spuntati in mezzo al gelo della crisi nell’ormai lontano autunno del 2013. Nel corso del 2014 l’economia italiana nel suo complesso ha smesso di cadere, ha tamponato le emorragie tornando a una «crescita zero». Si tratta sicuramente di poca cosa ma è comunque un segno che qualcosa si muove in senso positivo. Abbiamo vissuto più di speranza che di ripresa vera, anche se dal lato delle esportazioni si segnalavano nuovi successi: nel 2014 l’Italia ha esportato quasi un milione di bottiglie di spumante al giorno, superando le esportazioni dello champagne francese. Non era mai successo. Basta questo per brindare? Certo che no, ma è di buon augurio.
Nelle tabelle delle statistiche economiche italiane i «segni più», fino a circa sei mesi fa confinati a un terzo circa dei settori produttivi, hanno cominciato a moltiplicarsi mentre i «segni meno» si riducevano.
Poi il miglioramento ha cominciato a estendersi: fatturati, ordini e vendite di molti settori industriali, aspettative delle imprese e delle famiglie, domande di mutui e acquisti di automobili mandano tutti segnali promettenti anche se non ancora esaltanti.
Ieri il presidente Mattarella è volato a Berlino dove il suo collega tedesco Gauck si è detto «favorevolmente colpito» dai progressi italiani. Mentre i due capi di stato stavano parlando, sono uscite le cifre ufficiali relative all’occupazione di gennaio: 131 mila occupati in più del gennaio 2014. «Bene ma non basta», «twitta» il Presidente del Consiglio. A sua volta il ministro del Lavoro dichiara che nel 2015 sono possibili 150 mila posti di lavoro in più. «Bene, ma non basta», direbbero sicuramente moltissimi italiani. Bene soprattutto se l’occupazione, che non può aumentare subito in quantità, aumenterà in qualità con la riduzione del precariato e il miglioramento delle prospettive.
In realtà è preferibile una ripresa che parte in maniera relativamente lenta e poi prosegue e accelera a una ripresa che si traduce in un fuoco di paglia di 2-3 trimestri. Prima deve riprendersi la domanda interna, che può basarsi sugli 80 euro al mese di «bonus» percepiti da dieci milioni di famiglie e probabilmente serviti nei primi mesi a pagare debiti, come ipotizza il ministro dell’Economia. A questi denari bisogna aggiungere almeno 20-30 euro al mese per la riduzione del prezzo dei carburanti che si porta dietro anche quella di alcune bollette.
Basta tutto questo per far ripartire il vecchio barcone dell’economia italiana? Ancora no. Per essere sicuri che l’economia italiana possa tenere il mare agitato in cui è costretta a navigare manca ancora una condizione importante, la ripresa dell’industria delle costruzioni che dal 2010 al 2014 ha visto il proprio valore aggiunto crollare di oltre il 30 per cento, contro la riduzione del 10 per cento del resto dell’industria. Qui «ripresa» non significa soltanto, o soprattutto, nuove case: dovrebbero partire soprattutto le ristrutturazioni con milioni di piccoli cantieri assai prima dei grandi progetti.
Dalla crisi esce così un’economia diversa, nella quale l’importanza relativa dei settori è variata fortemente. Quattro caratteristiche saltano agli occhi: la struttura del commercio è profondamente mutata (e cambierà ancora per l’aumento delle vendite via Internet), nell’industria si affermano nuovi settori, come gli attrezzi sportivi e gli apparecchi medicali, nell’agroalimentare c’è una maggiore presenza di prodotti di qualità, che hanno «sfondato» in molti Paesi esteri. La quarta è negativa e arriverà molto presto a livello politico: gli squilibri tra le varie parti del Paese sono aumentati anziché attenuarsi.
Ce la faremo? Si è tentati di rispondere di sì, incrociando le dita.