Francesco Merlo, GQ 3/2015, 3 marzo 2015
ÉTOILE IN PUNTA DI PIEDI
[Roberto Bolle]
La verità? «La racconto con il corpo». Con le parole è come espugnare una fortezza: «Mi difendo». Sei bravissimo a non dire nulla. «E un talento?».
E un talento da dizionario di Flaubert. Per esempio, io dico New York e lui: «Energia». Io dico pubblico e lui: «Emozione». Teatro alla Scala: «Casa». Cibo: «Adoro il sushi». Droga: «Mai». Sigarette: «Una volta, non ci ho riprovato». Politica: «Alla larga». Arte: «L’Italia non investe abbastanza nei suoi tesori». Amore? «Affari miei».
Del suo gemello Maurizio, che tre anni fa a Parigi morì di infarto, Roberto non ha invece parlato mai, neppure quel brutto giorno. Ma ballando, lui che ha la tendenza a elevarsi e ad allungarsi, batteva i piedi e si rannicchiava, non più fluttuando in alto ma schiacciandosi in basso: «La danza non è l’esibizione di movimenti aggraziati e di splendidi corpi».
Ma si può davvero decifrare il corpo? «Certo che sì». Potremmo provare un’altra volta, allora: io dico New York e lui oscilla, gira in cerchio, si espande. Io dico droga e lui sferza, si torce, scivola e accarezza l’aria. Qualcosa si capisce guardandolo danzare, ma per tradurlo ci vorrebbe Rudolf Laban, quello che spiegava l’amore con tre passetti indietro e un salto in alto: insegnava a “guardare” con le mani, con i piedi e con il torace.
Tuttavia, «anche con le parole si può danzare», ammette Bolle. Dunque gli racconto che il sindaco di Borgosesia ha vietato i baci in pubblico tra persone dello stesso sesso: «Davvero? Ma non ha vietato anche la stretta di mano?». Il sindaco di Trino Vercellese, il paese dove Roberto è cresciuto, ha reagito cosi: “Venite tutti a baciarvi a Trino”. «E bello che sia così aperto. A Trino la cosa più ariosa che ricordo è la centrale nucleare». Allora sei di sinistra? «Sui diritti civili sicuramente sì».
Qualche anno fa Numéro Magazine – Homme, che non fa gossip o volgarità, pubblicò il coming out di Roberto che smentì. Ma non con un secco: «Non è vero». Firmò un lungo comunicato che sembrava ispirato dal Garante della privacy: «Come è ormai risaputo, non amo parlare della mia vita privata. Non rilascio mai dichiarazioni sulla mia sessualità e su quella di terzi e non credo che questo faccia parte dei “doveri sociali” degli artisti...».
L’ossessione della privacy, gli dico, spesso accende il pettegolezzo invece di spegnerlo. «Nessuno ferma il gossip, ma se non lo combatti ti travolge». I paparazzi che ti hanno fotografato a Pantelleria con un amico ti avrebbero fotografato anche con un’amica: «Nascondersi per farsi trovare? Non è il mio genere». Quanto sei alto? «1,87. Lo so: non mi bastano un cappellino e un paio di occhiali, soprattutto a Milano. A New York è più facile».
Quanto pesi? «70 chili». Ti alleni come un atleta, fai nuoto, immersioni: hai cambiato il modello italiano di bellezza. Rodolfo Valentino era 1,74 e si credeva alto. «Ma quello era un seduttore di mestiere».
L’ho invitato a pranzo e sono le 13.30, ma all’Armani/Bamboo Bar chiede solo acqua: «Quando mangio di più, poi faccio fatica in scena». Fiorello dice che togli il grasso al prosciutto. «Ti sembro uno che mangia patatine?». Mai? «Può capitare, ma sono quel che sono perché vivo con disciplina, ordine e rigore: l’opposto dell’artista pazzo». La sua danza, però, suscita turbamenti pazzi: lo chiamano “Effetto Bolle”. La costumista Roberta Guidi di Bagno sostiene che «è molto più difficile vestire Roberto che svestirlo».
Ti fai fotografare in pose sexy, hai ballato nudo in Giselle: «Sempre al servizio dell’arte, e per tutti. La bellezza della danza non è di genere». E mi mostrano, Roberto e Pamela l’elegante signora che custodisce la sua immagine con l’efficacia dell’angelo tanti articoli. A partire da quello di Debra Craine su The Times. Racconta che «...i veri protagonisti della danza non sono più le ballerine, ma i ballerini: “There’s never been a better time to be a male dancer”». Significa che il più grande ballerino del mondo non ha alcun interesse a raccontare d’esser maschio come Clint Eastwood, femmina come Sharon Stone oppure omosessuale come Elton John: tutti devono desiderarlo. L’omosessualità non gli conviene: «Lo stereotipo che vuole i ballerini tutti omosessuali è una sciocchezza proprio da caverna preistorica».
Già nel 2009, commentando L’Aida di Franco Zeffirelli, Paolo Isotta scrisse che l’unica cosa memorabile erano le natiche «liberamente periziabili di Roberto Bolle» che «per miracolo mettevano d’accordo tutti i sessi e ceti e categorie in sala». Dice Bolle: «La volgarità in genere mi viene risparmiata. Credo di essermi meritato rispetto». Quanti maschi c’erano nella scuola di danza della Scala? «Quando sono entrato, a 12 anni, eravamo in due».
Alla fine dunque prende senso anche l’ossessione per la privacy, che non rimanda a J.D. Salinger bensì alla provincia del Piemonte: «Sono nato a Casale Monferrato ma ci siamo trasferiti a Trino, dove mio padre ha aperto un’autocarrozzeria». Ci hai mai lavorato? «Oggi se ne occupa mio fratello Paolo. Quand’ero piccolo ci andavo». Volevi fare il meccanico? «Ho voluto sempre e solo danzare».
Sembra l’illustrazione della tenacia del Monferrato, la caparbietà e il distacco gentile ma guardingo: «Per favore non scrivere che abbiamo casa anche in Liguria, a Loano». Perché? «Magari mia madre si ritrova un fotografo dietro la porta». Anche quella di New York deve restare segreta? «Meglio non parlarne». Dov’è? «Vicino a Central Park». E tua madre che s’arrabbia? «Sì, ma non lo scrivere. Lei arriva a negare di essere mia mamma». E tuo padre? «Mio padre no, a lui fa piacere». E litigano ? «Discutono. Ma promettimi...».
Dopo un po’ diventa difficile fargli domande. A meno di non restare nella favola che gli è stata cucita addosso, una soap opera che sembra la trama di un balletto: c’era una volta è il racconto preferito di Roberto – il ragazzetto che ballava in casa guardando in televisione le ballerine di Fantastico. Poi: «La mamma mi manda alla scuola di Vercelli e quindi alla Scala, che è il solo posto del mondo dove potrei nascondermi senza mai essere trovato».
Ammette: «Sono stato allevato per danzare». Mi racconta le scuole serali, il liceo scientifico in via Marsala: «Mi sentivo solo». Libri ? «Il conformista di Moravia, Il nome della rosa di Umberto Eco... Ho frequentato Lettere per un anno».
Dice: «Tutti cercano in me la cattiveria nascosta». Ma esiste davvero? «E chi lo sa». Quando ti scagliasti contro Carla Fracci, che non dava spazio ai giovani, sembravi cattivissimo. Eppure la tua maestra, Anna Maria Prina, ti dava pugni sul braccio per farti diventare aggressivo. «E vero». Hai coltivato il modello compiaciuto del buonissimo-bellissimo, che sembra un ossimoro. «Tu pensi che i ballerini siano tutti diavoli?».
Come andò davvero con Rudolf Nureyev, al di là dell’emozione? «Avevo quindici anni e mi incontrò alla Scala... Mi propose il ruolo di Tadzio in Morte a Venezia».Tadzio, il sogno irraggiungibile di Aschenbach, la bellezza innocente che uccide. «La Scala non mi diede il permesso». Chi disse no? «La signora Prina». Perché ti scelse? «Mi vedeva nel ruolo». Immagino che tu fossi già bravissimo, ma non c’era anche dell’altro, un po’ di morbosità? «Sì. C’era anche dell’altro». Non credi che un po’ del suo famoso “maledettismo” ti avrebbe contagiato? «Penso di sì». Ti dispiacque? «Allora ne ho sofferto moltissimo, ma oggi sono contento di non averlo fatto».
Il suo corpo è un’impresa inventata dalla mamma e gestita dalla sorella Emanuela: chi decide? «Siamo due testardi. Ma decido io». Il 26 marzo compi 40 anni, ballerai sino a 60? «Il corpo non mi seguirebbe». Organizzi spettacoli, è appena uscito un libro fotografico... «Mi piacerebbe dirigere una scuola e un teatro». E il cinema? «Sto girando un film su Milano. Sarà pronto in tempo per Venezia». Sarai il regista? «Uno dei registi. Gli altri dovrebbero essere Elio Capotondi, Soldini... ma è meglio non scriverlo».
Francesco Merlo