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 2015  marzo 01 Domenica calendario

OMICIDI E SILENZI, PENTIMENTO E BUGIE LA MORTE (IN CELLA) DEL BOIA DELLE CARCERI

Il «boia delle carceri» (uno dei suoi tre soprannomi) è morto in prigione e altrimenti non poteva essere. Non soltanto perché il camorrista Pasquale Barra da Ottaviano, 25 mila abitanti in provincia di Napoli, nella cintura vesuviana, era un ergastolano per gli omicidi, così numerosi che nemmeno esiste un numero preciso: tra i 65 e i 70. Barra, in galera, si è affiliato, ha scalato le gerarchie criminali, ha ammazzato e «cantato». Ha collaborato con la giustizia e raccontato anche verità che tali non erano, basti pensare alle accuse contro il giornalista Enzo Tortora. E allora, magari, le immagini dal penitenziario di Ferrara dove venerdì, a 72 anni, Barra si è spento per un malore (le immagini d’un affezionato lettore del quotidiano cattolico «Avvenire), potrebbero essere state una recita. L’ultima. Nella vana speranza di raccomandarsi l’anima nera.
Un vecchio ispettore della Squadra mobile di Napoli dice che non lo piangeranno. Lontani i familiari, scomparsi i soci di malavita. In carcere non andava a trovarlo nessuno. In cella, se gli facevano il caffè, non era certo per deferenza nei confronti d’un boss quanto per pietà verso un signore malandato, inseguito dai problemi cardiaci. Eppure al Ros, il Raggruppamento operativo speciale dei carabinieri, un ufficiale che ha lavorato in Campania ricorda che «’o animale» (il suo secondo soprannome) è stato insieme un sicario infallibile e un uomo di «spessore» criminale. Dopodiché, non si sa se più usato oppure poco abile nei propri calcoli, il «boia delle carceri» rimarrà un killer. Un killer famoso, protagonista di agguati «unici» che hanno richiamato sia scrittori che registi; un killer che sconfinava oltre la bestialità di un omicidio per calarsi nella dimensione del cannibalismo. Ad esempio con Francis Turatello, «re» della malavita milanese, contrapposto a Renato Vallanzasca, ucciso — eccoci di nuovo — in un carcere, quello sardo di Badu ‘e Carros. Il 1980, il cortile del penitenziario e Pasquale Barra che trucidò Turatello con una quarantina di coltellate prima di sventrarlo.
La storia scivolosa e traditrice dei collaboratori di giustizia, che spesso parlano per un salvacondotto e raramente per reale pentimento, non ha «ufficializzato» la totale responsabilità dell’«animale». Secondo altri che in seguito hanno dialogato con la giustizia, potrebbe non esser stato Barra, o almeno potrebbe non aver avuto un ruolo decisivo, o ancora potrebbe non esser stato aiutato «solo» da Vincenzo Andraous, un assassino che oggi fa il poeta e gira per comunità.
Il penitenziario di Ferrara è piccolo, ha una capienza di 300 detenuti. Scarsa la presenza di figure note: scomparso Barra, non resta che una delle «bestie di Satana». Nel carcere ci sono attività sportive (calcio, pallavolo, corsa) e creative (scrittura, teatro). L’«animale» non partecipava a niente. Se ne stava fermo in branda. Alternava la televisione allo sfoglio di «Avvenire». Non dava noie, non inoltrava richieste, non litigava, non aizzava gli altri detenuti. Se lo lasciavano in pace, era meglio; se lo importunavano, taceva. Alto, negli ultimi tempi per colpa della scarsa mobilità aveva messo su pancia. In precedenti circostanze avrebbe fatto di tutto per dimagrire. La cosa ormai non gli dava pensiero: lo affaticavano i quattro passi dentro la cella.
Barra aveva cominciato come tanti. Rapine, aggressioni. E come tanti l’avevano catturato e spedito nel carcere di Poggioreale. Lì si era inchinato alla Nco, la nuova camorra organizzata, struttura fondata da Raffaele Cutolo per «ristabilire» in Campania il dominio campano contro la mafia siciliana e i clan dei «marsigliesi». Non ha avuto una lunga vita, la Nco. Un contributo fondamentale l’ha dato Barra, che con le dichiarazioni ha mandato in galera quasi novecento persone. Pensare che di Cutolo, l’«animale» diventò braccio destro e braccio armato, punto di riferimento, interlocutore privilegiato. E pensare che, laddove Barra raccontò che fu proprio Cutolo a ordinargli di eliminare Turatello, il fondatore della Nuova camorra organizzata negò ogni responsabilità. Naturalmente scaricando Barra. E anzi progettando di disfarsene. Turatello nacque in Veneto da padre ignoto che secondo fonti era Franck Coppola, mafioso, trafficante di droga, figura ingombrante per gli intensi rapporti con le alte sfere istituzionali e politiche. La morte di Turatello fu un «errore strategico». Cutolo provò a giocarsi la carta del colpo di testa di un incontrollabile, impazzito Pasquale Barra in cerca di chissà quali vendette personali. Fu l’inizio della fine. Il «boia delle carceri» riuscì sì a evitare la vendetta votandosi alla collaborazione, ma nella discesa si tirò dietro chiunque. Fu in prossimità del ventesimo interrogatorio che Barra fece improvvisamente il nome di Tortora, «reo» di appartenere alla Nco e di muovere quantità di stupefacenti. Non passò molto che Barra ritrattò la versione, con quell’italiano che intanto migliorava. Entrato in galera analfabeta, «’o animale», il «boia delle carceri», aveva faticosamente iniziato a leggere. E si era guadagnato il terzo soprannome: lo «studente».