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 2015  marzo 01 Domenica calendario

VISITA DI GENTILONI: «L’ACCORDO RAFFORZEREBBE IL RUOLO COSTRUTTIVO DI TEHERAN NELLE CRISI»

TEHERAN Una positiva conclusione dei negoziati sul nucleare iraniano «è nell’interesse della comunità internazionale», sarebbe «un successo per l’Europa, un passo importante per gli Stati Uniti» e avrebbe notevoli ricadute politiche ed economiche in particolare per l’Italia. Un accordo che limiti e ponga sotto controllo le attività nucleari di Teheran, in cambio della progressiva eliminazione delle sanzioni, rafforzerebbe infatti «il ruolo costruttivo dell’Iran» nella soluzione delle crisi regionali, consentendogli di assumersi responsabilità di primo piano nella lotta al terrorismo islamico e alla minaccia dell’Isis. Di più, l’intesa nucleare, con la fine dell’embargo, avrebbe anche l’effetto di ampliare le relazioni economiche tra Roma e Teheran, aprendo nuove prospettive alle nostre imprese.
Lo ha spiegato ieri il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, nella prima giornata della sua visita nella capitale persiana. Negli incontri con il capo della diplomazia sciita, Mohammad Javad Zarif e il leader del Parlamento, Ali Ardashir Larijani, cui seguirà oggi quello con il presidente della Repubblica, Hassan Rouhani, il responsabile della Farnesina ha rinnovato loro l’invito a fare ogni sforzo perché il round di trattative che si apre a Ginevra il 5 marzo, vada a buon fine.
Il viaggio di Gentiloni, il secondo di un ministro degli Esteri italiano dopo quello di Emma Bonino nel dicembre 2013, conferma la corsia preferenziale su cui viaggiano i rapporti tra Roma e Teheran. Rouhani e Zarif, i volti del nuovo corso inaugurato nell’estate di due anni fa, hanno sempre riconosciuto e sottolineato il ruolo decisivo svolto dall’Italia nella ripresa del dialogo occidentale con la Repubblica islamica.
La prospettiva di un accordo generale sul nucleare iraniano entro la fine di marzo, indicata come obiettivo lo scorso novembre a Vienna, non è più irrealistica. Come ha detto Zarif, i negoziati sono entrati in una fase «sensibile». La recente ripresa delle trattative tra Teheran e i Paesi del gruppo 5+1 (Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia più la Germania) ha registrato sviluppi positivi, ma «restano alcuni contrasti». Questi riguardano gli aspetti tecnici, in primo luogo il cosiddetto breakout time, cioè il tempo necessario all’Iran per disporre di uranio arricchito sufficiente a costruire una bomba atomica, che gli Usa vorrebbero come minimo di un anno. Ma riguardano anche le sanzioni, che, lo ha ripetuto ieri Zarif, «sono state applicate ingiustamente e dovrebbero subito essere messe da parte», mentre gli occidentali vogliono smantellarle gradualmente, di pari passo con l’applicazione degli accordi.
Ma oltre agli ostacoli negoziali, sulla strada dell’intesa ci sono anche quelli politici. Contro ogni tipo di compromesso che assicuri a Teheran anche la più piccola attività nucleare, si scaglierà la prossima settimana davanti al Congresso degli Stati Uniti il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, in un discorso tanto atteso dalla maggioranza repubblicana, quanto subìto con palese fastidio dalla Casa Bianca. Ieri, rispondendo a una domanda, Zarif si è detto certo che gli sforzi di Netanyahu saranno «vani e non potranno impedire un’intesa». Il ministro iraniano ha accusato il premier d’Israele di «prevenire la pace, agitando paure e diffondendo menzogne propagandistiche».
Molto spazio nei colloqui di Gentiloni con i dirigenti sciiti è stato dedicato alla lotta contro l’Isis. Sia Zarif che Larjiani hanno espresso al nostro ministro forte allarme per alcuni sviluppi della situazione in Afghanistan, dove si registrerebbero defezioni dalle fila di Al Qaeda e talebani di numerosi terroristi e mercenari, che starebbero ingrossando le milizie del Califfato, allettati dalle generose retribuzioni. Il capo della Farnesina ha riferito della situazione in Libia, dove ha confermato che «l’Italia in questa fase è contraria a interventi esterni, sostiene in pieno la mediazione dell’Onu, ma c’è urgenza di arrivare a dei risultati». Senza un governo di riconciliazione nazionale, così Gentiloni, che parta dall’esperienza di Tobruk e coinvolga anche altre rappresentanze, non si arriverà a una situazione di sicurezza.