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 2015  marzo 01 Domenica calendario

IL VAFFA DAY DEL LEADER (IN MAGLIA NERA) L’OBIETTIVO È  IL PARTITO DEL MALCONTENTO

ROMA Il mai visto, ieri si è visto. Le bandiere con il Sole delle alpi sventolano fianco a fianco del Tricolore, i vessilli della Serenissima si intrecciano a quelli dei Fratelli d’Italia e a quelli, tanti, di Noi con Salvini, che esiste soltanto nel Mezzogiorno.
Potrà essere stato un «vaffan... day» in salsa verde-nera. Potrà essere stata, come sostiene Osvaldo Napoli di Forza Italia, una manifestazione di slogan piu che «di politica fatta di ragioni e ragionevolezza». Resta il fatto che la «discesa» nella Capitale di Matteo Salvini è un fatto politico con cui fare i conti, la nascita di un vero populismo italiano. E Salvini sembra essere riuscito bene nell’impresa difficile di far dimenticare la sanguigna vena anti meridionale che nella Lega non è affatto mancata. In ambienti renziani, il fatto che il nuovo soggetto non sia da sottovalutare pare essere percepito.
Lo sdoganamento al centro e al sud Italia del partito che sembrava il meno «esportabile», ieri ha assunto plastica evidenza nel lungo corteo di Casa Pound che discendeva dal Pincio e andava a fondersi con il resto della manifestazione. Solo «roba di destra»? Chissà. Ma, come dice il militante romano Francesco Alfano con t-shirt «Grazie a Dio sono italiano», «ciò che chiamano populismo e’ solo malcontento» e se Salvini «sarà quello che riesce a mettere insieme tutta la destra, va benissimo».
Quanto al berlusconismo, il sentimento è scritto sul grande striscione listato a lutto con tanto di croce: «Berlusconi politicamente defunto». Al di là dello striscione, al di là delle alleanze con Forza Italia a ieri ancora possibili, la scommessa di Salvini è che nell’Italia di oggi («Quanto sono belle le bandiere di questo sventurato paese...») la destra moderata ha avuto la sua occasione e l’ha mancata. Non perché c’è Renzi, ma «perché gli artigiani, gli imprenditori, i professionisti e i lavoratori vessati dallo Stato non sono più moderati».
E così, lui, non rinuncia a nulla del repertorio della destra ruspante e di popolo, nemmeno al «chi non salta è comunista». E pazienza se nel remoto Parlamento del Nord, lui fosse il capo dei «comunisti padani». Il fatto è che Salvini ne è perfettamente consapevole. Non è pancia, in realtà, ma strategia perseguita con mestiere. A partire dalla t-shirt, nera, che indossa: «Io sto con Stacchio», il benzinaio che ha ucciso uno dei suoi rapinatori. Quando parla di foibe e prende posizioni sull’Islam simili a quelle di Oriana Fallaci, l’elettorato che vuole riunire è, lui ritiene, maggioritario: «I giornalisti — spiega — mi chiedono con quali partiti ci alleeremo. Io non mi pongo il problema. Cerco l’alleanza con i 60 milioni di italiani che oggi magari non vogliono più andare a votare». Dunque, «mettiamoci tutti insieme e prenderemo il 51 per cento. A Matteo Renzi toccherà di andare a lavorare, magari nell’azienda di famiglia».
È la lezione di Marine Le Pen, che in Francia sta raccogliendo intorno a sé tutti i movimenti, anche locali e apparentemente disparati, nemici di Hollande. Solo opposizione con poche indicazioni su future scelte di governo? Al di là del no euro, al di là del no all’immigrazione, l’unica indicazione nitida e’ quella sulla flat tax al 15%, portata all’orizzonte ideologico dei salviniani dal Partito Italia nuova (Pin) di Armando Siri.
Eppure, il leader della Lega dovrà ben presto fare i conti con la politica come mediazione nel senso più tradizionale. Il grande avversario di Luca Zaia in Veneto, Flavio Tosi, ieri era presente alla manifestazione. Un abbraccio con Salvini ma il sindaco non pare intenzionato a fare passi indietro: «Su candidature e liste deciderà il consiglio nazionale della Liga veneta». Ma di questo, Salvini si occuperà domani. Il sabato è suo e lo conclude con una promessa: «Se siete disposti a soffrire e a rischiare, noi andiamo vincere».