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 2015  marzo 01 Domenica calendario

NEMTSOV, IL NEMICO DI PUTIN FINITO NEL TRITACARNE UCRAINO

La morte di Boris Nemtsov, che avrebbe potuto essere scelto da Boris Eltsin come suo erede al posto di Putin, ma che invece, dopo l’abbandono del suo mentore, è diventato un oppositore del nuovo Cremlino, ha le tinte fosche di un giallo. Venerdì notte, infatti, dopo avere lanciato alla radio un appello per la manifestazione di protesta di oggi, Nemtsov stava passeggiando romanticamente a braccetto della sua giovane fidanzata ucraina sul ponte sulla Neva che porta al Cremlino, quando è stato affiancato da una macchina da cui sono partiti cinque colpi di pistola che l’hanno freddato. Scena agghiacciante, da film noir. Grande cordoglio nell’opposizione russa, palpabile imbarazzo di Putin e fiume di messaggi di solidarietà alla famiglia da parte di tutti i leader occidentali, da Barack Obama a François Hollande, a David Cameron. Anche grande sorpresa, e non solo per la ferocia mafiosa della esecuzione a freddo, in mezzo alla folla moscovita. Nemtsov infatti, era sì un oppositore frontale di Putin e l’organizzatore di non poche manifestazione di protesta (anche contro il coinvolgimento russo in Ucraina), ma non era sicuramente fonte di pericolo e preoccupazione per la dirigenza russa. La sua parabola politica infatti era stata nettamente discendente. Figlio della piú alta nomenclatura sovietica, di bell’aspetto e dalle molte doti e privilegi ha avuto una carriera folgorante dopo la rovina dell’Urss, seguita però da un inesorabile declino. Dopo essere stato addirittura vicepresidente della Federazione Russa, con Eltsin presidente, dopo avere svolto un ruolo fondamentale nella convulsa e opaca fase delle privatizzazioni degli ex colossi sovietici dell’energia e avere deciso delle fortune e delle disgrazie di non pochi nuovi boiardi, dopo essere stato messo da parte dallo stesso Eltsin che preferì Putin come erede, dopo essere stato eletto parlamentare alla Duma, era lentamente scivolato nella quasi irrilevanza come oppositore del nuovo padrone del Cremlino. I suoi cavalli di battaglia sono stati le battaglie contro le centrali nucleari, a partire da quella della sua città natale di Nozny Novgorod e, più recentemente, a favore delle ragioni del governo di Kiev contro la strategia di Putin di annessione della Crimea e di appoggio ai ribelli del Donbass e del Donetsk ucraino. Una attività certo non pericolosa per il regime russo, come cinicamente e con poco senso del l’opportunità ha ricordato ieri il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov: «Con tutto il rispetto per la sua memoria, politicamente non rappresentava alcuna minaccia. Rispetto alla popolarità di Vladimir Putin e del suo governo era poco più di un cittadino medio». Una dichiarazione che illustra perfettamente l’intrinseca arroganza di matrice secolare e zarista della dirigenza russa, lontana mille miglia dallo stile dei nostri governi e difficilmente comprensibile per le sensibilità occidentali, ma che comunque contiene un’indubbia dose di realtà: non c’era nessuna ragione perché il Cremlino decidesse di liberarsi di questo oppositore che in realtà dava poco fastidio al governo putiniano. Di conseguenza, la magistratura russa, come ha dichiarato il portavoce del Comitato d’indagine Vladimir Markin, sta seguendo cinque piste, che escludono nettamente l’ipotesi di una qualsiasi responsabilità, anche indiretta, di ambienti governativi. La prima pista di indagine ipotizza che Nemtsov sia stato la «vittima sacrificale di una provocazione per destabilizzare la situazione ordinata da chi non disdegna alcun metodo per i suoi scopi politici», come ha detto Vladimir Markin. Si tratterebbe dunque di un complotto mirante a screditare con la sua morte il Cremlino stesso e dare rilievo e nuovo vigore a un’opposizione russa effettivamente debole come non mai. Tesi naturalmente fatta propria dai media putiniani, ma anche dall’insospettabile Mikhail Gorbaciov. Ovviamente è stata indicata anche una pista ucraina, che lo vorrebbe vittima di una sorte di Mano Nera dei filo russi del Donbass e del Donetsk che l’avrebbero punito per il suo appoggio alle ragioni del governo di Kiev. Più volte queste sue posizioni, nettamente dissonanti peraltro dalla maggioranza della opinione pubblica russa, gli avevano infatti valso l’accusa, sgradevole in Russia, di «filo americano». Non manca la pista degli islamisti: Nemtsov infatti era ebreo e aveva ricevuto molte minacce per avere difeso a spada tratta Charlie Hebdo. Seguono le banali ipotesi legate a «antipatie private», velatamente riferite alla sua giovane fidanzata ucraina, alle sue attività commerciali - era benestante - e infine a generici «motivi comuni». Nel complesso, è evidente che le autorità russe brancolano nel buio, che il Cremlino e Putin sono estremamente irritati per un omicidio che li fa ripiombare a fronte della opinione pubblica internazionale nel fango dei sospetti e delle attività inconfessabili. È infine probabile che, anche se verranno trovati dei responsabili, mai si saprà perché in realtà l’hanno ucciso. Ennesimo mistero moscovita.