Nicola Porro, Il Giornale 28/2/2015, 28 febbraio 2015
LA TV È STRATEGICA COME IL PANE LASCIATELA FARE AI PRIVATI
La scalata alle torri della Rai da parte di Mediaset si può leggere in tanti modi. A questa zuppa interessa provare a fare un ragionamento più generale. Chi gestisce meglio le infrastrutture? Un privato o lo Stato? Badate bene, questa è la domanda vera da farsi. C’è forse qualcuno che pensa che la pasta o il pane siano poco essenziali per la vita degli italiani? Ovviamente no. Eppure sono prodotti dai privati. Lo Stato stesso non bada a incassi al riguardo. Il giorno prima dell’annuncio della scalata ha messo sul mercato un altro pezzettino di Enel (fondamentale produttrice di energia elettrica), incassando più di un miliardo di euro. Anche sulle infrastrutture il pubblico non scherza. Ha deciso di vendere i tubi che ci portano il gas, la rete che ci smista l’elettricità. Ha una partecipazione di minoranza (anche se qualificata e di blocco) nel colosso della produzione di idrocarburi. Le telecomunicazioni italiane sono in mano a russi, cinesi, fondi internazionali e inglesi. Sgombriamo dunque il campo dal primo equivoco. Abbiamo deciso (giustamente) che infrastrutture e settori che un tempo venivano definiti strategici siano gestiti da privati. In campi molto delicati. Lo Stato regola, il mercato cerca di fare soldi e efficienza. Come ha dimostrato la buona finanza, la quotazione di Rai Way è stata un’ottima operazione: ha creato valore per i suoi azionisti, e cioè il Tesoro. Non vi è un motivo logico per cui il medesimo discorso non valga per le torri dalle quali viene irradiato il segnale televisivo.
La seconda obiezione è la concentrazione in una sola mano (quella di Mediaset) dell’infrastruttura. Anche in questo caso si tratta di una visione sbagliata. Intanto, le regole che si possono implementare per la cosiddetta parità di accesso. Le infrastrutture non viaggiano con i loro piedi: la produzione, per così dire, è ancorata al nostro territorio. È difficile spostare un sito con le antenne. E, dunque, è soggetta a qualsiasi norma di legge che un bel giorno il legislatore volesse varare. Ma si tratta di una precauzione eventuale. Il mercato delle antenne oggi in Italia è polverizzato. Se Mediaset dovesse comprarsi le antenne Rai sarebbe comunque di taglia inferiore ad altri competitor che già sono presenti. E cioè Vodafone, Telecom e Abertis (che ha comprato i tralicci di Wind). Sono siti con caratteristiche diverse, ma comunque adattabili. Insomma, deciderà l’Antitrust su un’eventuale concentrazione. Ma resta il fatto che Telecom, ad esempio, possiede 16mila siti contro i 5mila dell’eventuale aggregazione Rai-Mediaset.
Il punto, dunque, è solo di politica industriale. Crediamo che i privati (anche quelli che non ci piacciano) siano più adatti a gestire le imprese o pensiamo che per il rischio remoto del loro cattivo funzionamento si debba mantenere tutto in mano pubblica? Un liberale sa bene qual è la risposta.
C’è infine un effetto collaterale che conviene considerare. I broadcaster televisivi pagano un affitto per la rete. Dunque, con una parte del canone, gli italiani pagano l’affitto delle antenne di Rai Way. In prospettiva la migliore gestione della rete, ma soprattutto le economie di scale e di costo che un operatore più grande potrebbe tirare fuori da una eventuale fusione, potrebbe permettere alla Rai di spuntare un affitto migliore per la rete. A quel punto una maggior parte del canone ritornerebbe come risorsa alla Rai o, in linea teorica, potrebbe essere (ipotesi dell’irrealtà) restituita ai contribuenti ad esempio con un non adeguamento del canone al costo della vita.
Insomma, evitare che il mercato dispieghi i suoi benefici effetti ha un costo per la collettività: è uno spreco di risorse.