Giulia Zonca, La Stampa 2/3/2015, 2 marzo 2015
ALESSIA TROST: «SONO SALITA COSI’ IN ALTO CHE HO SBATTUTO LA TESTA»
Saltare due metri e scoprire solo dopo averli passati che quello è un limite. E come tale fa paura. Succede ed è capitato anche ad Alessia Trost, promessa del salto in alto, dotata di talento evidente e di qualità fisiche notevoli. A 19 anni ha superato una quota considerata da star della disciplina «e ci ho sbattuto la testa». Due anni dopo si è rimessa in sesto ed è pronta ad andare finalmente a caccia di medaglie, a partire dall’Europeo indoor che inizia venerdì a Praga: «La testa continuo a sbatterla, solo che la cosa non mi spaventa più».
Nel 2013 i due metri da brivido, nel 2014 tante delusioni. Ora?
«Ora direi yeah perché è il modo in cui mi sento. Ho rimesso dentro il carbone e posso bruciarlo nella stagione che inizia. Ho ritrovato fiducia, ho cambiato la rincorsa e scoperto che significa la parola professionalità. Per quanto banale sembri, non è un concetto immediato».
Definisca professionalità.
«Frequentare un nutrizionista, dormire sempre le ore che servono, capire che le trasferte sono spostamenti, non viaggi e poi saper stare in gara. Senza fissarsi e senza perdersi».
E tutto questo basta per superare lo stallo?
«A un certo punto non ho fatto che chiedermi: “io ho già superato queste maledette misure, che succede?”. Poi ho guardato le curve di rendimento delle altre. Lo sapevate che sia Vlasic che Chicherova hanno saltato tra i 2 metri e i 2,04 da ventenni e poi hanno vissuto stagioni da dimenticare? Sono risalite e Chicherova è arrivata a 2,07 a 29 anni. Quei 3 cm contano molto più dei 204 fatti prima».
Le hanno consigliato di andare all’estero di cambiare tecnico e invece?
«Invece resto con Gianfranco Chessa perché non abbiamo ancora esaurito il nostro lavoro insieme. Nessuno mi ha detto di cercare un altro, certo molti azzurri si sono trasferiti in altri Paesi ed è una strada che convince la federazione. Io però sono sicura di quello che sto facendo. Per me l’estero saranno le gare, tante, tante, tante».
Il salto maschile sfiora il record a ogni meeting, quello femminile si è fermato. Che succede?
«Cambio generazionale, credo ci vogliano 3 o 4 anni per rivedere gente che si avvicina ai 2,09. Gli uomini invece si stanno contagiando. Ho visto Bondarenko allenarsi, ci ho anche parlato. Sostiene che il segreto è credere in se stessi. Pare che con me non funzioni. Almeno non è così semplice».
Meglio Barshim o Bondarenko?
«Barshim, l’eleganza fatta saltatore con una tecnica che gli ruberei».
La nazionale in partenza per Praga è multietnica. Che effetto le ha fatto sentire il calcio discutere sui neri-italiani?
«Per noi atleti, ma vorrei dire per noi ragazzi è così normale considerare italiano chi lo è, a prescindere dal colore della pelle, che neanche comprendiamo certe uscite. Per essere chiari: la frase di Sacchi è eticamente sbagliata ma talmente lontana dalla realtà da non pesare. È insignificante».
Ogni anno in questo periodo si dice che l’atletica italiana riparte, poi ci si perde. A che punto stiamo?
«A quello in cui le chiacchiere stanno a zero. Parliamo sempre di futuro, di scuola mal strutturata, cerchiamo scuse ma la dimensione si cambia proprio confrontandosi con il mondo. Bisogna fare. Un pezzo alla volta, ma fare. Tocca a noi».
In inverno però si è parlato più di doping che di risultati.
«Non mi aspettavo che il doping sommerso avesse questi numeri nel mondo. Da una parte ci resti male poi però è un po’ come la frase di Sacchi: non c’entra con me»
Quindi il doping lo ignora?
«Lo combatto. Sto alla larga. Dopo tutti i mancati controlli in Italia, i gruppi sportivi hanno convocato ogni tesserato. Qualsiasi cosa sia successa prima ora i parametri sono chiari e seguirli fa parte della professionalità di cui parlavo prima».
E con chi ha sbagliato che si fa? Lei preferirebbe isolare Schwazer o rivederlo in marcia?
«Il trattamento dipende da caso a caso. Per me Schwazer merita di avere la possibilità di andare ai Giochi di Rio. Credo alla suo passato, al suo talento. È entrato in un circolo vizioso e ha fatto il peggio perché a quel punto più nulla aveva valore. Era una parentesi buia non lui».
Che pensa della squalifica di Carolina Kostner
«Se fosse una commessa non l’avrebbero neanche interrogata».
Il punto è che è un’atleta.
«Un’atleta fortunata perché il suo sport le permette di campare con gli spettacoli. Ma è davvero lecito togliere il proprio lavoro, la fonte di sostentamento; a chi ha commesso una leggerezza che non tocca il proprio rendimento? C’è qualcosa di sbagliato».