Bill Emmott, La Stampa 2/3/2015, 2 marzo 2015
C’è spesso la tentazione di descrivere l’élite politica e mediatica britannica all’italiana come «la casta»
C’è spesso la tentazione di descrivere l’élite politica e mediatica britannica all’italiana come «la casta». E parte del successo del populista del partito indipendentista inglese si fonda sul diffuso risentimento per i politici istituzionali come avviene per i Cinque Stelle. Ma adesso, in particolare quando mettono in discussione l’Ue, penso che «la Casta» sia un termine sbagliato. Dovremmo invece pensare a loro come extraterrestri, alieni da un altro pianeta.
Non lo dico perché sono istintivamente pro-Ue. Lo dico perché in questo momento il dibattito in Gran Bretagna si è via via distaccato dalla realtà. Durante la scorsa settimana ci sono stati tre esempi di questo e uno, lo confesso, ha a che fare con un documentario in cui sono coinvolto. Quindi lo lascerò per ultimo.
Il primo esempio nasce dalla diffusione di un nuovo sondaggio dell’istituto di ricerca YouGov. Che dimostra come la stragrande maggioranza sia a favore della permanenza della Gran Bretagna nell’Ue: il 45% contro il 35% che vorrebbe lasciarla.
Ora, i sondaggi sono notoriamente volatili, e i votanti non si decidono se non nell’imminenza del voto. Perciò non si dovrebbe esagerarne l’importanza, soprattutto dal momento che fin qui non è stato annunciato alcun referendum sulla permanenza del Regno Unito nell’Unione europea (è semplicemente stato promesso un referendum da David Cameron per il 2017, se il leader del partito conservatore sarà ancora primo ministro dopo le elezioni politiche in programma a maggio).
Anche così, tuttavia, è sbalorditivo quanta poca considerazione abbia ricevuto questo sondaggio da parte dei media o dei politici. Il giorno in cui è stato reso noto ho preso parte a un dibattito televisivo della Bbc sul tema dell’Europa, condotto da uno dei suoi giornalisti più esperti e con ospiti due noti euroscettici. Nessuno di loro aveva sentito parlare del sondaggio di YouGov. Gli euroscettici non erano nemmeno interessati. Non solo e non tanto perché non erano d’accordo con le sue conclusioni: rischiava di rovinare la loro narrazione di un’Unione europea vista come un progetto favorito dalle élite, ma da cui a loro dire gli elettori comuni, in particolare quelli britannici, sono esclusi. La verità, in Gran Bretagna almeno, pare in effetti l’esatto contrario.
Il secondo esempio è arrivato il giorno dopo. Il Britain’s Office of National Statistics, la nostra versione dell’Istat, ha pubblicato nuovi dati sul grande aumento del numero di immigrati in Gran Bretagna a settembre 2014. Proprio come nella maggior parte dei Paesi europei, l’immigrazione in Gran Bretagna è un tema controverso. Ma la nostra peculiarità è che le critiche all’immigrazione si sono via via quasi completamente focalizzate sull’immigrazione dagli altri Paesi dell’Unione e non sugli immigrati provenienti dal Nord Africa, dal Medio Oriente o da altri Paesi.
Le nuove statistiche mostrano che a settembre 2014 il flusso migratorio verso la Gran Bretagna di cittadini extra Ue ammontava a 292.000 persone, di più quindi rispetto ai cittadini dell’Ue (251.000), come del resto nel corso dell’ultimo decennio. Tuttavia la risposta a questo studio era interamente dominata dalle problematiche delle regole comunitarie sulla libera circolazione, e dall’incapacità del Regno Unito di controllare il flusso degli immigrati europei entro i confini dell’Unione. Come gli altri Paesi membri continuiamo ad avere la possibilità di controllare in qualsiasi modo vogliamo gli immigrati dai Paesi extra Ue. Ma questo è largamente ignorato. I media e i politici vogliono solo parlare dell’Unione europea.
E questo mi porta al terzo esempio. Negli ultimi due anni sono stato il produttore esecutivo di un nuovo documentario sulla crisi nell’Unione, di cui è autore e regista proprio uno di questi immigrati europei: l’italiana Annalisa Piras, che è stata anche mia collega nel nostro film sull’Italia del 2013, «Girlfriend in a Coma». Il nostro nuovo film, andato in onda sulla Bbc ieri, s’intitola «The Great European Disaster Movie». Essenzialmente, è un grido d’allarme sulla possibile dissoluzione dell’Unione europea. Il film sostiene che sia essenziale invertire questa tendenza.
Il film ci era stato proposto dalla Bbc due anni fa e alla fine è stato coprodotto dalla Bbc e dal canale franco-tedesco Arte. Sarà trasmesso da Sky Italia in aprile. È un reportage analitico e creativo sulla nascita dei partiti populisti, la rabbia dei disoccupati e la crescita del nazionalismo.
Non ne parlo specificamente per il suo contenuto. Il fatto è che nello strano dibattito in corso in Gran Bretagna questo documentario è stato considerato politicamente controverso. La Bbc prima ha tirato per le lunghe la decisione sulla sua programmazione, poi ha deciso di tagliarlo e infine ha stabilito che la messa in onda dovesse essere accompagnata da un dibattito in studio dove gli antieuropei fossero predominanti. Questo avrebbe garantito la par condicio. Il dibattito è stato registrato all’inizio della settimana, il giorno in cui è uscito il sondaggio di YouGov.
Ora, perché c’è questa disconnessione tra il dibattito politico e nei media e le preoccupazioni e i punti di vista della gente comune? Anche se le opinioni dei votanti hanno molto fluttuato in questi ultimi anni, un fatto resta certo: hanno sempre ritenuto che l’Europa fosse un argomento relativamente poco importante rispetto alle loro principali preoccupazioni riguardo al lavoro, alle tasse o anche all’immigrazione.
Penso che stia accadendo questo, i politici faticano ad affrontare questi temi reali, che sono difficili da risolvere. Per loro è più facile discutere dell’Unione europea perché è un’istituzione straniera, aliena che può essere incolpata di ogni genere di cose - comprese le preoccupazioni della gente per il lavoro o l’immigrazione.
Una conseguenza è che la Gran Bretagna ha perso molta della sua influenza sulla Ue, gran parte della sua leadership, come altri possono comprendere dal nostro dibattito. Un’altra conseguenza è che il dibattito sull’Europa durante la campagna elettorale sarà sempre più scollegato dalla realtà.
traduzione di Carla Reschia