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 2015  marzo 01 Domenica calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - L’ASSASSINIO DI MOSCA


REPUBBLICA.IT
MOSCA - Decine di migliaia di persone sono scese in piazza a Mosca per ricordare Boris Nemtsov, l’esponente dell’opposizione assassinato venerdì sera vicino al Cremlino (video): un omicidio condannato dai leader di tutto il mondo. L’amministrazione cittadina ha autorizzato una marcia commemorativa nel centro della capitale russa. Il corteo è partito alle 15 ora locale (le 13 in Italia): 70 mila i partecipanti secondo gli organizzatori, 16 mila per la polizia. "Je suis Nemtsov" e "Io non ho paura" le parole d’ordine. Tra i segnali più evidenti di lutto un lungo striscione nero con il volto di Nemtsov e la scritta "gli eroi non muoiono" e qualche cartello nero appeso alla schiena dei partecipanti, con quattro fori di proiettili disegnati, a ricordo di come l’oppositore è stato ucciso.
Russia, la marcia per ricordare Nemstsov
Fermato deputato ucraino. Durante la manifestazione è stato fermato il deputato ucraino Alexey Goncharenko. Il parlamentare, 34 anni, è membro del blocco del presidente ucraino Petro Poroshenko. "Non portavo cartelli né bandiere, mi hanno preso dalla camicia", ha scritto lo stesso Goncharenko su Facebook, dove ha pubblicato una sua foto mentre marciava con indosso una camicia bianca con il volto di Nemtsov e la scritta in ucraino "Gli eroi non muoiono". Secondo fonti citate dall’agenzia Interfax, Goncharenko era probabilmente ricercato in relazione ai sanguinosi scontri che ebbero luogo a Odessa il 2 maggio dell’anno scorso, quando circa una cinquantina di manifestanti filorussi morirono nell’incendio della Casa della Cultura.
Protesta antigovernativa. Prima che avvenisse il delitto era in programma per oggi una marcia di protesta antigovernativa contro Vladimir Putin, alla quale avrebbe dovuto partecipare lo stesso Nemtsov. Obiettivo: chiedere al Cremlino di fermare l’ingerenza in Ucraina. La manifestazione, infatti, era stata annunciata come "primavera" e l’opposizione aveva fatto trapelare il desiderio di portare la Maidan a Mosca, vale a dire una nuova ondata di proteste, cavalcando l’onda dei disagi economici provocati dal calo del prezzo del petrolio e dalle sanzioni imposte alla Russia dalla comunità internazionale. Ora gli oppositori puntano il dito contro il potere centrale, come già successo per altri omicidi, da quello della giornalista Anna Politkovskaya a quello dell’oligarca Boris Berezovskij.
Boris Nemtsov, da presidente mancato a oppositore di Funerali. I funerali di Nemtsov si terranno martedì, al cimitero Troekurovskoe, dove è seppellita anche la Politkovskaya. La morte di Nemtsov, 55 anni, vicepremier ai tempi della presidenza Eltsin, è l’ulteriore colpo all’equilibrio troppo precario di una guerra fredda che ha contorni sempre più fragili.
Russia, ucciso Boris Nemtsov: il luogo del delitto
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L’omaggio di Renzi. Il presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi renderà omaggio alla memoria di Nemtsov deponendo un fiore sul luogo del delitto a Mosca, dove sarà tra la sera del 4 marzo e la mattina del 5.
Le immagini dell’omicidio. Di seguito, nel video caricato su YouTube dall’emittente russa TVCenter si vede il momento dell’omicidio ripreso dalle telecamere di sorveglianza installate a poche decine di metri dalla Piazza Rossa. Nelle immagini si intravede Nemtsov che sta camminando insieme alla fidanzata, Anna Duritskaya, raggiunto da un killer che poi fugge a bordo di un’auto. Le autorità hanno offerto una ricompensa di tre milioni di rubli (quasi 45mila euro) a chi fornirà "informazioni utili" all’inchiesta.
La cena con la fidanzata. Prima di essere assassinato, Nemtsov aveva cenato insieme alla fidanzata nel ristorante Bosco che si affaccia sulle mura di mattoni rossi del Cremlino. Una cameriera del locale riferisce a un quotidiano russo che la cena era stata interrotta da diverse telefonate e che Nemtsov - impegnato nei preparativi della marcia - aveva smesso di mangiare per rilasciare un’intervista a una radio ucraina sui dettagli della manifestazione. La coppia, fidanzata da circa tre anni, era stata fra gli ultimi a pagare il conto al ristorante. I due erano usciti intorno alle 23 e si erano diretti verso la Piazza Rossa. Andavano a piedi verso casa di Nemtsov. Secondo l’agenzia Interfax , nei minuti immediatamente precedenti l’assassinio, sul ponte sopra la Moscova un piantone osservava la coppia e dava il segnale agli aggressori: la prova di un delitto pianificato.

Nemtsov: l’ultima intervista alla radio prima di essere assassinato
Mosca: poche ore prima di essere ucciso, l’attivista russo attivista Boris Nemtsov aveva rilasciato un’intervista alla stazione radio "Ekho Moskvy" per promuovere una imminente marcia dell’opposizione. Nelle immagini rese pubbliche dalla tv si vede Nemtsov sedersi nello studio radiofonico e prepararsi per l’intervista, parlando al telefono

Omicidio Nemtsov, le immagini dell’auto degli assassini
Nelle immagini riprese da una telecamera di sicurezza di Mosca, diffuse da LifeNews, l’auto bianca su cui si ipotizza viaggiassero gli assassini di Boris Nemtsov, ucciso con quattro colpi di arma di fuoco non lontano dal Cremlino

Quando Boris Nemtsov è stato ucciso - colpito da quattro colpi di arma da fuoco a pochi passi dal Cremlino - era in compagnia di una modella ucraina di 24 anni: Anna Duritskaya. Lo riferiscono i media russi, in particolare LifeNews, secondo i quali la ragazza, illesa, sarebbe l’unica testimone oculare dell’omicidio.

Nelle immagini dell’emittente russa TvCenter il presunto momento dell’omicidio del rivale politico di Vladimir Putin, Boris Nemtsov. A riprendere la scena, da notevole distanza, le telecamere dei rilevamenti meteo installate a poche decine di metri dalla Piazza Rossa. Si intravedono due persone, presumibilmente Nemtsov e la sua fidanzata, che stanno camminando. Sopraggiunge una terza persona che dopo averli avvicinati (e dopo aver aperto il fuoco, secondo la tv russa) fugge a bordo di un’auto

PEZZO DI DRAGOSEI SUL CORRIERE DI STAMATTINA
MOSCA Centinaia di moscoviti in pellegrinaggio, fiori, fotografie, e un cartello: «Je suis Boris Nemtsov». Sul luogo dove l’esponente dell’opposizione è stato brutalmente assassinato, arrivano anche gli ambasciatori dei Paesi dell’Ue. Poi tanta gente comune, sconvolta per il fatto che nel cuore della capitale, a duecento metri dalla Piazza Rossa, si possa morire così. Gli oppositori puntano tutti il dito verso il Cremlino, visto che Nemtsov era uno dei più attivi esponenti del movimento contro Putin, anche se non era uno dei più seguiti. I leader politici, dalla Casa Bianca all’Europa, non risparmiano critiche e chiedono al Cremlino di fare presto chiarezza sul brutale assassinio.
A rileggere le parole confidate nella sua ultima intervista, il 10 febbraio scorso, si è di fronte a una quasi premonizione: «Ho paura che Putin voglia uccidermi», aveva detto Nemtsov al sito Sobesednik.ru . La Procura, che indaga direttamente sotto il controllo del presidente, indica invece piste totalmente diverse, alcune delle quali appaiono a molti del tutto fantasiose. Come quella che lega l’assassinio dell’uomo politico russo alla sua condanna della strage nella redazione di Charlie Hebdo a Parigi.
Di sicuro sappiamo che venerdì sera Nemtsov stava tornando a casa assieme alla compagna Anna Duritskaya, una top model ucraina che frequentava da tre anni. Sul ponte che si trova proprio di fronte alle mura del Cremlino, una vettura bianca ha affiancato la coppia e una persona è scesa. Contro Nemtsov sono stati esplosi sei colpi. Quattro proiettili lo hanno centrato alla schiena e alla testa, uccidendolo. Ieri la polizia ha trovato una vettura abbandonata con targa della repubblica caucasica dell’Inguscezia. Un fatto che corroborerebbe la pista islamica che tanto sembra piacere agli investigatori. Ma non si capisce perché eventuali killer avrebbero usato a Mosca un’auto così facilmente etichettabile.
Certamente Nemtsov si opponeva con tutte le sue forze alla politica di Putin, alla corruzione, a quelle che definiva senza mezze parole le «ruberie degli amici del presidente». E certamente negli ultimi mesi aveva lavorato sull’intervento russo in Ucraina, denunciandolo e appellandosi ai militari perché si rifiutassero di andare a combattere nella «guerra segreta». Il presidente ucraino Poroshenko ha detto che Nemtsov gli aveva preannunciato prove sul coinvolgimento della Russia. Ma non sembra che ci fosse bisogno di altre prove, visto che l’aiuto del Cremlino ai ribelli indipendentisti non è certo un segreto, anche se continua a essere negato dalle autorità russe.
E allora? Putin ha promesso che sarà fatto tutto il possibile per assicurare alla giustizia gli assassini. Fonti del Cremlino continuano poi a insistere sulla scarsa rilevanza politica di Nemtsov: l’uomo politico che era stato anche vice primo ministro ai tempi di Eltsin non era molto amato dai giovani insoddisfatti che l’anno scorso avevano riempito le piazze. Così la Procura parla delle sue piste. La prima, sposata in pieno anche dal Cremlino, è quella della «provocazione»: uccidere Nemtsov per mettere in difficoltà Putin e rilanciare il movimento d’opposizione. Poi c’è l’ipotesi islamista e quindi quella della vita personale, legata al rapporto con la bella modella di Kiev. Infine si vocifera di «questioni d’affari». Alcuni siti Internet affermano che Nemtsov, che aveva vecchi legami con la Cecenia, fosse in affari con uomini dell’entourage del presidente Ramzan Kadyrov.
Oggi ci sarà una marcia di commemorazione. Le autorità l’hanno autorizzata, ma non potranno prendervi parte più di 50 mila persone. Martedì i funerali nello stesso cimitero di Anna Politkovskaya, la giornalista assassinata nel 200 6.
F. Dr.

PEZZO DI LUIGI IPPOLITO SUL CDS DI STAMATTINA
La cosa che colpiva di Boris Nemtsov era il tratto umano: lontano dal politico di professione, agli antipodi dell’«uomo di apparato» di stampo russo e (post)sovietico. Soprattutto negli ultimi anni, dopo aver dismesso gli abiti da parlamentare, si presentava come un ragazzone irruento, più giovane dei suoi anni, capace di stare seduto per ore attorno a un tavolino, in jeans e T-shirt bianca, infervorandosi a spiegare le trame nascoste della cupola politico-affaristica del regime putiniano. Per finire segnando con noncuranza il suo numero di cellulare privato: «Chiama quando vuoi». Un numero che d’ora in poi resterà muto.
Nemtsov non era più nessuno, ha chiosato ieri con cinismo il portavoce del Cremlino. Ma in realtà aveva rappresentato un’altra Russia, una Russia possibile, liberale e aperta all’Occidente. Dopo che si era guadagnato la fiducia di Boris Eltsin nei mesi della caduta dell’Unione Sovietica, era stato spedito a fare il governatore nella sua Gorkij, la ex città chiusa luogo d’esilio di Andrej Sacharov, che sotto Nemtsov riprese il nome originario di Nizhnij Novgorod. Lì il giovane astro nascente della politica russa lanciò un avanzato piano di riforme economiche e liberalizzazioni, facendo della regione un laboratorio della transizione al postcomunismo. Persino la lady di ferro, Margaret Thatcher, andò a fargli visita per elogiarne la baldanza.
Alle discussioni moscovite Nemtsov preferì la gestione concreta, sporcandosi le mani con l’amministrazione del territorio nei caotici anni Novanta. Fino a essere toccato da accuse di corruzione. Ma alla fine il suo zelo riformista venne premiato con la chiamata al ruolo di viceprimo ministro della Russia. E in quel finire di secolo sembrò che Boris Eltsin avesse scelto lui come il delfino destinato a succedergli alla presidenza.
Le cose andarono diversamente. La crisi finanziaria del 1998 che portò la Russia al default segnò anche il crac delle ideologie liberali. Altre forze presero il sopravvento e alla fine il potere venne impugnato dall’uomo del Kgb, Vladimir Putin. Per Nemtsov e i suoi sodali cominciò un inesorabile declino, culminato nell’esclusione dal Parlamento nelle elezioni del 2003.
Una strada nuova sembrò aprirsi con la rivoluzione arancione in Ucraina, nel 2004. Il presidente filoccidentale Viktor Yushchenko chiamò Nemtsov a Kiev come consigliere economico: ma anche questa stagione si rivelò di breve durata.
L’ultimo decennio aveva visto Nemtsov impegnato nel difficile tentativo di unire le forze della sfrangiata opposizione a Putin, spesso al fianco del campione di scacchi Garry Kasparov. E un’attenzione particolare l’aveva dedicata ai maneggi e al malaffare che circondavano la preparazione dell’Olimpiade invernale di Sochi. Tanto che Nemtsov era arrivato a candidarsi a sindaco di quella città, in opposizione all’esponente putiniano, facendo leva sulla propria campagna anticorruzione. Un tentativo generoso quanto inutile. Gesti simili non ce ne saranno più.
Luigi Ippolito

INTERVISTA ALLA SCRITTRICE SVETLANA ALEXIEVICH (DRAGOSEI, CDS DI STAMATTINA)

MOSCA La scrittrice Svetlana Alexievich non sembra avere molti dubbi su chi possa esserci dietro all’omicidio di Boris Nemtsov.
«È una morte che fa comodo a molti; di sicuro fa comodo al potere. Con le vicende di Mikhail Khodorkovskij erano stati intimoriti gli oligarchi che avrebbero potuto finanziare l’opposizione. Ora bisognava forse mettere in riga gli ultimi uomini liberi, difensori dei diritti umani, oppositori. Quella di Nemtsov era una figura adatta allo scopo».
Cosa sta succedendo in Russia?
«Sul Paese è scesa un’atmosfera di odio, di una certa follia e il Paese si è diviso. Ormai le Russie sono due, con una forza oscurantista che prima era marginale e che ora è alla ribalta. Dopo che si vedono gli show propagandisti alla tv russa, uno ha paura di uscire per la strada. Si parla di eliminare la quinta colonna, i traditori. E poi ecco che uno come Nemtsov viene ammazzato sul marciapiedi».
Quale pensa possa essere stato l’obiettivo di questo attentato?
«Credo che si volesse sondare il terreno. Questo sistema autoritario avrà pure un piano: una piccola guerra vittoriosa, omicidi. Tutto rientra nella logica di questo sistema. Neppure Stalin diventò subito lo Stalin che conosciamo. Se alla marcia ci sarà poca gente, allora il potere penserà di avere le mani libere per proseguire sulla sua strada».
Pensa che l’opposizione divisa e debole potrà riprendersi?
«Ho i miei dubbi. Per trent’anni ho indagato sulla natura dell’uomo uscito dall’impero sovietico e ho constatato che la coscienza della schiavitù è radicata in maniera molto profonda. L’84 per cento di consensi a Putin di cui parlano i sondaggi ha una sua logica.La Russia è ora una nazione fondamentalista. Per vent’anni abbiamo detto che stavamo costruendo una società di tipo occidentale, che la Russia stava cambiando lentamente. Adesso tutto questo è finito, la gente non vuole più una società di tipo occidentale. Il sogno russo è quello di essere un grande impero e di ispirare paura».
E non semplicemente di dimenticare gli anni di umiliazione e difficoltà economiche?
«Sento la gente dire che abbiamo preso la Crimea, che il Donbass è nostro, che la prossima tappa è Odessa. E tutti tacciono di fronte a queste affermazioni».
Lei ha scritto il libro «I ragazzi di zinco» sui soldati che tornavano dall’Afghanistan in bare di zinco. E ora?
«Ai tempi dell’Urss c’era comunque una sorda resistenza. Si seppellivano i morti di notte, nessuno poteva parlare, ma si sentiva che la gente era contro quello che succedeva. Eravamo uniti dall’anticomunismo. Ora i morti tornano da “manovre” nel sud della Russia, non dall’Ucraina. Ma ci sono madri che scrivono su internet “mio figlio serviva la Patria, mio figlio è un eroe”».
E gli intellettuali, i liberali?
«Fino a ora eravamo in contrasto con il potere e questo era logico. Adesso siamo in contrasto con buona parte del nostro popolo. La gente non sta bene, ma è contenta perché adesso la Russia è di nuovo grande. Per molti di noi la strada è una sola, quella di emigrare».
Non crede che la situazione potrebbe cambiare?
«Forze interne in grado di farlo non ne vedo. Solo una qualche catastrofe economica potrebbe mutare la situazione, ma quella sarebbe pericolosissima perché potrebbe portare alla disgregazione della Russia. E questo lo temono tutti. Ma poi mi torna in mente "Guerra e pace" di Tolstoj. Il maresciallo Kutuzov prima della battaglia di Borodino siede vicino alla finestra e guardando nel buio pensa: io farò il possibile, i miei generali e soldati pure, ma qualcosa di essenziale lo farà qualcuno a noi ignoto».

BOX CDS
Sono stati tra gli ultimi a uscire da Bosco, un locale trendy molto colorato(arredato da italiani) negli storici magazzini Gum sulla Piazza Rossa: Boris Nemtsov, 55 anni, era accompagnato Anna Duritskaya, 23 anni, fotomodella ucraina. La stampa russa ne parla genericamente come della sua fidanzata. Per l’agenzia Reuters stavano insieme da circa tre anni. L’appartamento di Nemtsov, dove erano diretti, dista mezz’ora a piedi dalla Piazza Rossa, oltre la Moscova. Boris e Anna hanno camminato dando le spalle al Cremlino sotto la pioggia mista a neve bagnata. Non hanno mai attraversato quel ponte. Per alcune ore il corpo di Nemtsov, che lascia quattro figli avuti dalla moglie Raissa di origini tatare, è rimasto sul marciapiede, jeans e giubbotto. Anna Duritskaya è stata prelevata dalla polizia per essere interrogata. Unica testimone del delitto, una giovane ucraina che non poteva non condividere le idee del compagno sulla guerra. Un motivo «simbolico» in più, per gli assassini, sparargli alla sua presenza?

GLI ALTRI DELITTI
Accanto al corpo di Anna trovarono una Makarov 9 mm, la vecchia pistola d’ordinanza di esercito e polizia, la semiautomatica delle spie nei romanzi di Frederick Forsyth, la firma che nella nuova Russia significa omicidio politico. Anna Politkovskaja lavorava a un articolo sulle torture delle forze di sicurezza cecene. Fu uccisa il 7 ottobre 2006, compleanno di Vladimir Putin, con quattro colpi. Quattro colpi e una Makarov. Venerdì sera è morto così anche Boris Nemtsov.
Ancora una «Makarova» ha ucciso il 15 luglio 2009 Natalia Estemirova, giornalista e attivista per i diritti umani rapita nella sua casa di Grozny, capitale della Cecenia, e ritrovata nei boschi dell’Inguscezia, la Repubblica caucasica alla quale è stata ricondotta la targa dell’auto dei sicari di Nemtsov. «Ricordatevi della Cecenia» aveva detto Natalia ritirando il Premio Anna Politkovskaja al Frontline Club, l’elegante circolo della stampa di Londra che aveva ospitato anche l’ex spia Aleksandr Litvinenko, a sua volta rifugiato politico nel Regno Unito. A Londra Litvinenko è morto il 23 novembre 2006, avvelenato con un tè al polonio-210. «Me lo sento — aveva confidato ai suoi cari —. Putin ucciderà tutti noi».
Giornalisti, critici, oligarchi e 007 passati all’opposizione, avvocati. I nemici del Cremlino scomparsi in circostanze violente e misteriose si ritrovano in una trama fitta di depistaggi, indizi che ritornano, processi agli esecutori e condanne senza mandanti. Storie di intrighi e inseguimenti internazionali dove eroi della resistenza civile finiscono accanto a protagonisti di quell’opaco sistema di connivenze tra potere e malaffare definitosi negli anni selvaggi della corsa all’oro subito dopo il crollo dell’Urss. La rete che ruota intorno al nuovo Zar e alla quale nessuno sfugge.
È così che nell’elenco delle vittime presunte ed eccellenti figurano ex rivali come l’imprenditore e matematico Boris Berezovskij e il reporter che lo accusò di essere un boss della mafia Paul Klebnikov. Quest’ultimo era nato a New York da emigrati russi discendenti di decabristi. Tra i suoi antenati comparivano un ammiraglio assassinato dai bolscevichi e un promotore della rivolta di San Pietroburgo del dicembre 1825 sedata da Nicola I.
Storico e giornalista investigativo, Klebnikov si era fatto notare con le mappature del pantano postsovietico per la rivista americana Forbes , della quale avrebbe poi diretto l’edizione russa. La sua storia di copertina su Boris Berezovskij, «Il padrino del Cremlino?», gli era valsa le prime minacce di morte. Il 9 luglio 2004 trovò un’auto ad aspettarlo fuori dall’ufficio, fu raggiunto da quattro colpi esplosi da una Makarov. I tre ceceni fermati furono poi rilasciati.
Per Berezovskij, l’ex favorito di Eltsin e compagno di Putin arricchitosi con le privatizzazioni, le intimidazioni erano cominciate alla fine degli anni Novanta. Nel 1998 era stato proprio l’agente segreto Litvinenko a denunciare un complotto dei vertici dell’Fsb (ex Kgb) per ucciderlo. Aleksandr scappò a Londra. Boris rimase a Mosca e pagò le critiche a Putin con l’accanimento dello Stato sulle sue proprietà. Dopo le presidenziali del 2000 fuggì in Gran Bretagna, dove perse la battaglia legale con l’oligarca filo-Cremlino Roman Abramovich sui diritti del vecchio colosso energetico Sibneft. Fu trovato impiccato nella casa di Sunninghill, vicino all’aristocratica Ascot delle corse dei cavalli. Per la polizia «una morte inspiegabile».
Misteriosa come la fine in carcere, il 16 novembre 2009, dell’avvocato Sergej Magnitskij, arrestato con l’accusa di frode fiscale mentre indagava su casi di corruzione per conto di una società americana. Infarto, sentenziò l’autopsia, ma le sospette torture innescarono una spirale di tensioni e atti legislativi tra Russia e Stati Uniti: al Magnitskij Act, con il quale gli Usa s’impegnavano a rendere pubblica la lista dei 18 funzionari coinvolti nella morte di Sergej, Mosca rispose con il divieto per gli americani di adottare bambini russi.
Nel 2009 fu ucciso anche Stanislav Markelov, l’avvocato 34enne che aveva fatto ricorso contro la scarcerazione del colonnello Yuri Budanov, accusato di aver torturato a morte la 18enne cecena Elsa Kungaeva. Fermato dai killer con la freelance Anastasia Baburova, 25anni, collaboratrice del giornale di Anna Politkovskaja Novaya Gazeta . Freddati a poca distanza dal Cremlino .
msnatale@corriere.it

LOMBARDOZZI SU REP
NICOLA LOMBARDOZZI
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
MOSCA
TRA le lacrime e i fiori dello staliniano ponte Bolshoj Moskorevskij, sfilando in silenzio sotto alle mura del Cremlino, c’è una sola domanda ripetuta ossessivamente da questa strana folla commossa ma anche molto preoccupata: “ Komu Vygodno?”. Qualcuno lo ha anche scritto in latino su un foglio di carta: “ Cui prodest?”, “A chi giova?”. Il dolore sincero per l’assassinio di Boris Nemtsov, oppositore storico del “sistema Putin” è pervaso soprattutto da grande incertezza e paura per il futuro. A cominciare da stamattina quando almeno cinquantamila persone dovrebbero tornare qui per una manifestazione spontanea decisa all’ultimo momento al posto di quella prevista contro il carovita e le misure del governo. “Siamo in pericolo?” si domandano due giovani barbuti militanti del movimento “Solidarnost” di cui Nemtsov era leader, arrivati sul ponte di prima mattina con le loro bandiere verdi e i volantini contro la guerra in Ucraina. E fissano la Torre Spasskaja, da secoli simbolo del potere russo, che domina la scena con inquietante effetto simbolico.
Non ci sono risposte tranquillizzanti. Non arrivano certo dai bollettini del comitato investigativo che radio e tv diffondono continuamente: si insiste sulla pista sentimentale, si fanno allusioni sulla vita da playboy dell’ex vicepremier e sulla nazionalità ucraina della sua accompagnatrice, c’è perfino una assai improbabile pista islamica appesa solamente alla solidarietà espressa da Nemtsov alle vittime della strage di Charlie Hebdo.
Sul ponte arrivano un po’ tutti. Amici come l’ambasciatore americano Joseph Taft che depone su questo altare spontaneo, fatto di rose, fotografie, vecchi manifesti elettorali, una bandiera ucraina che a molti sembra una provocazione. Anche alleati piuttosto freddi come i sostenitori di Aleksej Navalnyj, altro leader della contestazione ma su posizioni più nazionaliste, rinchiuso in carcere la settimana scorsa. «Le dichiarazioni di Nemtsov sulla Crimea, ma anche sulla guerra nel Donbass non ci sono piaciute — ammette un’infreddolita Svetlana, militante semiclandestina da anni — ma era uno di noi. Una persona coraggiosa che adesso è stata messa a tacere. Chissà da chi e perché».
Dubbi e paure che non si sciolgono nemmeno parlando per ore a bassa voce nel vento che sale dalla Moscova e sotto lo sguardo attento dei politziotti antisommossa.
Si comincia dal delitto vero e proprio. Cinquantacinque anni, quattro figli, un divorzio alle spalle, Nemtsov era un uomo brillante, che piaceva molto alle donne. Il fatto che fosse andato a cena con una modella 23enne in un ristorante all’interno dei magazzini Gum, e che stesse tornando a piedi con lei verso casa dopo aver attraversato la Piazza Rossa, non meraviglia nessuno. Di certo i suoi assassini lo hanno seguito e non sembrano dei dilettanti: hanno colpito in una delle zone più sorvegliate di Russia, sparando con una pistola da professionisti (la celebre Makarova) e da una macchina rubata poco prima e poi abbandonata. Interrogata fino alle cinque del mattino, la terrorizzata Anna Duritskaya non ha raccontato un granché. Adesso è comunque protetta dalla polizia e custodita in un luogo segreto.
Sul movente il discorso si fa più ampio e molto confuso. Nemtsov stava preparando un dossier sulla presenza militare russa in Ucraina. Temeva di essere ucciso e lo aveva anche dichiarato a più riprese. Ma l’equazione «era nemico di Putin dunque è stato ucciso dal Potere» appare troppo semplicistica perfino ai complottisti più estremi. Putin, che è apparso sinceramente turbato, ha promesso alla madre di Nemtsov «che gli assassini saranno catturati ». Il portavoce del Cremlino Peskov se ne uscito con una giustificazione non richiesta piuttosta goffa: «Nemtsov non era così tanto popolare, non rappresentava un pericolo per Putin».
E sul ponte si discute su cose che da tempo si sanno nel movimento. Igor, 40 anni, ingegnere “navalnyjano”, la spiega così: «L’annessione della Crimea e il conflitto in Ucraina, hanno cambiato molte cose. Nemtsov faceva parte come l’oligarca Khodorkovskij, di una vecchia guardia molto allineata con certe mire dell’Occidente. Insomma era diventato troppo filo ucraino». La voce, forse falsa ma comunque pericolosamente diffusa, era che Nemtsov e altri fossero decisi a scatenare a Mosca una protesta-insurrezione sul modello della Majdan di Kiev. Tanto che almeno una minaccia pubblica gli era arrivata certamente. L’aveva pronunciata in tv nientemeno che “il Chirurgo”, Aleksander Zaldostanov, presidente di un club di motociclisti che vanta Putin come socio: «Forse solo la paura di perdere la vita può fermare Nemtsov dal sognare una Majdan russa ».
Ed ecco che sul ponte delle lacrime si apre un altro scenario spaventoso. Quello di un’ala estrema che si sente più patriottica di Putin e che farebbe qualsiasi cosa pur di far saltare la fragile pace in Ucraina. Tra i capi di questa presunta macchinazione, molti su internet mettono il moscovita Igor Strelkov, capo militare dei ribelli filorussi di Ucraina, fatto richiamare in Patria dal Cremlino per le sue posizioni troppo estreme e contrarie ad ogni accordo.
Ma sono discorsi a mezza voce pieni di se e di ma. Che si intrecciano con il ricordo del coraggio di Nemtsov e dei suoi libri (tutti sequestrati e vietati) di denuncia contro Putin, i numerosi arresti in piazza, la sua saggia consulenza da politico esperto nelle dispute con le autorità. Ma anche con una sua irrisolta tara di immagine che ha sempre frenato gli entusiasmi delle leve più giovani nei suoi confronti: quell’essere appartenuto politicamente da vicepremier all’era Eltsin che qui evoca solo un periodo di caos, ingiustizie, misteriosi arricchimenti. Non troppo amato ma nemmeno ritenuto troppo pericoloso. Almeno fino a ieri.
“Siamo in pericolo?” ti ripetono i due barbuti. Poi uno prova a rispondere ripetendo un concetto che ha appena espresso Gorbaciov alla radio: «È tutta la Russia che è in pericolo».

PARLA LIMONOV

NAZIONALE - 01 marzo 2015
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LA RUSSIA DI PUTIN
LO SCRITTORE EDUARD LIMONOV
“Dietro questo delitto non solo la politica Ma per Putin è un vero problema”
Qualcuno ha evocato l’omicidio Kirov, che nel 1934 inaugurò la stagione del terrore staliniano. Teme altre violenze e altri delitti?
«Per niente. Sergej Kirov faceva parte del comitato centrale, era un potenziale nemico interno di Stalin, un suo attendibile successore. Qui siamo davanti a una storia totalmente diversa che non incide sul sistema».
Crede che le indagini potranno portare presto a qualche risultato?
«Non mi illudo. Che qualcosa presto ci venga detto e rivelato, è molto probabile. Che sia tutto attendibile, mi pare invece molto difficile». ( n. l.)
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Mi dispiace deludere tanta gente ma questo assassinio non avrà alcun effetto


DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
MOSCA . Eduard Limonov non si smentisce mai: «Un complotto del Cremlino? Una provocazione esterna? Ma non fatemi ridere. Se avessero ammazzato il vero leader dei liberali, Aleksej Navalnyj, potrei capire. Ma Nemtsov, per i russi era solo un politico in pensione. Uno che, per di più, era stato protagonista nell’era Eltsin che qui ha lasciato ricordi di ingiustizie, ruberie, corruzione. Tra qualche giorno lo avranno già dimenticato tutti, amici e nemici». Cinico e controcorrente, lo scrittore russo tiene fede al personaggio raccontato da Emmanuel Carrère in una biografia che due anni fa gli ha donato fama internazionale: «Mi dispiace deludere tanta gente di buona volontà, ma vedrete che questo assassinio non porterà alcuna conseguenza».
Tutto il mondo si indigna per l’omicidio di un oppositore di primo piano, di un uomo coraggioso. Come fa a minimizzare così?
«Non minimizzo niente. Dico solo che se dietro al delitto ci fosse un qualsiasi piano politico, sarebbe un piano stupido e destinato a fallire».
Da anni Nemtsov denunciava scandali e malefatte di Putin e i suoi con libri e documenti. Stava raccogliendo materiale sulla presenza militare russa in Ucraina.
Aveva anche detto che il Cremlino voleva ucciderlo.
Le sembra così poco?
«Tutti quelli che stanno all’opposizione, perfino io, abbiamo ogni tanto la sensazione di rischiare la vita. Nemtsov lo conoscevo bene, era un uomo di spirito, colto e brillante. Ma le sue denunce erano solo un chiacchiericcio isterico senza le prove o particolari inediti. Faceva molta scena all’estero ma non smontava certamente il personaggio Putin qui in Russia».
Tra i nemici di Nemtsov c’erano anche molti oppositori come lei, nostalgici di una certa visione dell’Unione Sovietica. Quando disse che la Crimea andava restituita all’Ucraina, lei lo aggredì, altri lo insultarono pesantemente. Non potrebbe essere questo un movente possibile?
«Sulla Crimea, ma anche sulla sorte del Donbass, gli oppositori sono divisi e questo è evidente. Lui faceva parte di quella minoranza, poche decine di migliaia di persone, che si attiene alla lettera alle posizioni occidentali. Mentre tra i tanti che contestano Putin resta forte il sentimento nazionale. Ma, ripeto, Nemtsov non aveva lo spessore per fare paura a nessuno».
E allora come spiega il delitto?
«So che rischio di smontare tante teorie fantapolitiche, ma non escluderei una questione marginale, privata. Ci sono tanti aspetti strani».
Per esempio?
«Stava con una giovane modella ucraina di Kiev, e questo basterebbe a farne una spy story. Ma il delitto resta misterioso: a un passo dal Cremlino nella zona a più alta concentrazione di telecamere di sorveglianza di tutta la Russia. In più, pare, con un arma non proprio da professionisti...».
Non vorrà ridurre tutto a un delitto passionale?
«Non mi va di escluderlo a priori. Ma in ogni caso ragioniamo. Al Cremlino questo delitto crea seri problemi di immagine internazionale e credo che Putin sia sinceramente contrariato. E non posso nemmeno credere alla tesi del complotto occidentale, voi giornalisti direste “l’ombra della Cia”, per sollevare le piazze, fare tremare dalle fondamenta il regime di Putin. Solo gli idioti possono pensare che i liberali russi siano in grado di fare un’insurrezione».
Perché?
«Perché l’opposizione in Russia oggi non c’è. Dopo le manifestazioni di due anni fa, le leggi sono state cambiate e si è lavorato di fino su arresti e persecuzioni giudiziarie. Anche il malumore popolare dovuto alla crisi economica è stato contenuto abbastanza bene. E le sanzioni sono state usate per cementare lo spirito nazionale della gente. Non vedo rivolte dietro l’angolo».



NAZIONALE - 01 marzo 2015
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LA RUSSIA DI PUTIN
Il personaggio.
È stato ucciso dal clima che si è creato nel paese negli ultimi anni, un clima divenuto insopportabile
con la crisi ucraina. Un clima di odio feroce verso coloro che hanno un’opinione politica diversa
Il mio amico Boris eliminato perché voleva una Russia europea
VIKTOR EROFEEV
MOSCA
SCRIVO fra le lacrime. Boris Nemtsov, barbaramente ucciso nel cuore di Mosca, su un ponte vicino alle mura del Cremlino, era un mio amico. Ma ciò che più conta adesso è che era amico della Russia, un amico vero, devoto, senza paura. Se si vuole, il suo paladino. Difendeva la Russia dal suo penoso scivolare verso l’autoritarismo, l’isolamento, il baratro, la follia. Non ha mai dubitato, neanche per un minuto, che la Russia potesse ancora essere salvata e ricondotta fra i paesi europei. La Russia — lo credo anch’io — può essere salvata, ma Boris non più, mascalzoni ben addestrati lo hanno assassinato a colpi di pistola.
Nemtsov è stato ucciso innanzitutto dal clima che si è creato nel paese negli ultimi anni, e che è diventato insopportabile dall’inizio della guerra con l’Ucraina. Un clima di odio feroce verso coloro che hanno un’opinione politica diversa, coloro che non esaltano il presidente russo per la sua ideologia del “Mondo russo” senza frontiere, una nuova variante dell’utopia del mondo ideale oltraggiato da un occidente privo di morale. Fiumi di odio che si riversano dai canali televisivi federali della Russia, mescolati al fango della menzogna più sfrontata, è questo il clima politico nel quale il mio amico è stato assassinato.
L’omicidio di Nemtsov è una nuova pietra miliare nella storia politica della Russia. Finora, dai tempi della caduta dell’Unione Sovietica, i leader dell’opposizione, coloro che la pensavano diversamente venivano eliminati per mezzo di carceri e tribunali. Ora si è alzato il tiro, si è inaugurata l’epoca dell’eliminazione fisica. Naturalmente, a tutti qui è venuto in mente il parallelo con l’omicidio di Kirov, avvenuto nel 1934. Il segnale di inizio del grande terrore staliniano. Dove sta andando oggi la Russia del Cremlino? Difficilmente verso un ravvedimento, difficilmente riconoscerà i suoi errori e correrà a far pace con l’Ucraina, con l’Europa, con tutto il mondo occidentale. La Russia ufficiale ripeterà senza sosta di non avere nessuna colpa, che la morte di Nemtsov non le è utile dal punto di vista della sua reputazione, e infine aggiungerà, per voce di Peskov, il portavoce di Putin, che Nemtsov era un comune cittadino e il potere non aveva nulla a che spartire con lui.
Il killer sarà fatto fuori, o è già stato fatto fuori, e le indagini difficilmente condurranno ai veri mandanti dell’assassinio, i quali hanno commissionato non un semplice omicidio politico ma un vero e proprio spettacolo politico a futuro monito di tutti gli oppositori. Per la sua arroganza, per il senso di impunità dimostrato, questo spettacolo somiglia ai giochi caucasici all’ipercentralismo, alla morale superconservatrice, cui stiamo assistendo attualmente in Cecenia. Ma non è escluso che i mandanti possano trovarsi fra i nazionalisti dell’estrema destra russa.
Boris ha fatto una rapidissima carriera politica negli anni della perestrojka. È una delle giovani icone politiche del primo Eltsin. Con un meraviglioso senso dell’umorismo e un vero talento per la narrazione, Nemtsov mi raccontava come “nonno” Eltsin avesse deciso, verso la metà degli anni Novanta, di farne il suo successore. Ma aveva cambiato idea dopo aver preso le distanze da un percorso europeo di sviluppo. Nei primi anni di Putin Nemtsov aveva ancora la possibilità di incontrare il presidente ma il suo prestigio si indeboliva ogni mese di più. Forte del pensiero di Ivan Il’in, un filosofo russo nazionalista poco amato da Nikolaj Berdjaev per le sue collusioni con il fascismo, Putin rifiutò la richiesta di Nemtsov di non ritornare all’inno sovieti- co solo un po’ modificato. Nemtsov aveva portato con sé all’incontro un intero scartafaccio di firme di intellettuali russi che protestavano contro il ritorno all’autoritarismo. Putin, come mi riferì successivamente Nemtsov, aveva risposto: «Tale popolo, tale musica». In queste parole risuonano i toni tipici di Stalin.
Qualche anno fa mi trovavo sul lago di Como in compagnia di Nemtsov. Parlavamo di patriottismo. Dicevamo che in Russia l’amore per la patria viene spesso interpretato come amore per lo Stato; il potere gioca con questi concetti. Nemtsov voleva che non soltanto noi amassimo la patria, ma che la patria amasse a sua volta noi, aiutando le persone a vivere umanamente, nello stile della tradizione europea. Sul lago splendeva il sole e Boris si tuffò, dirigendosi verso il largo. Aspettavo che tornasse ma lui non si vedeva. Nella mia mente si agitavano pensieri orribili. Infine riapparse, come se fosse resuscitato dai morti. Venne fuori che era un ottimo nuotatore ed era arrivato sull’altra riva del lago... Questa volta, però, è molto peggio. Lui, così innamorato della vita, delle belle donne e della buona cucina, una persona semplicemente perbene, non tornerà mai più fra noi. Ma il suo modello di una Russia attraente, di una Russia di alta cultura, prima o poi trionferà.
Qualche tempo fa mi chiese: “Che dici, mi metteranno dentro?”, gli risposi che non era ancora arrivato il suo turno. Mi sbagliavo: non solo era arrivato, ma lui ha superato tutti, entrando nel pantheon delle vittime politiche a fianco di Galina Starovojtova e Anna Politkovskaja. I siti russi hanno pubblicato un’infinità di porcherie antiliberali su Nemtsov, prendendo spunto dalla sua morte. Significa che la propaganda ha fatto il suo lavoro, che la nostra gente manca di onestà. Ma d’altro canto: mi ha appena telefonato un mio lontano parente, ortodosso e nemico del liberalismo, per dirmi che l’omicidio di Nemtsov è un colpo alla schiena per tutti, a prescindere da come la si pensi. Se prevarrà questo punto di vista, Nemtsov — il politico del dialogo e del compromesso — non è morto inutilmente. No, è comunque morto inutilmente! Le lacrime mi soffocano! ( Traduzione di Andrea Lena Corritore)
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LA RUSSIA DI PUTIN
L’ULTIMA INTERVISTA
“Quando ti chiamano ‘quinta colonna’ è difficile, ma devi imparare a sopportare”
U-NO stralcio
dell’ultima intervista di Boris Nemtsov, rilasciata a radio Echo Moskvy venerdì per spiegare la marcia di protesta dell’opposizione ( poi cancellata). La sera stessa è stato assassinato «Putin un anno fa ha dato il via a un’aggressione contro l’Ucraina. Occupando la Crimea, di fatto ha cancellato i nostri impegni, ha violato il sistema internazionale di non-proliferazione nucleare. È un crimine. L’aggressiva politica di guerra con l’Ucraina è insensata e letale per il nostro Paese».
Mosca autorizzò l’introduzione di truppe?
«Sì, già dopo che le truppe erano state introdotte, il Consiglio della Federazione a posteriori, di fatto, diede a Putin la possibilità di continuare a introdurre truppe».
Perché la protesta che state organizzando si chiama “anti-crisi”?
«Il motivo principale della crisi è l’aggressione, le sanzioni che l’hanno seguita, l’isolamento, il fatto che la Russia è rimasta priva sia di tecnologia avanzata… C’è stata una fuga di capitali pari a 150 miliardi, e tutto questo è conseguenza di quella follia chiamata “aggressione contro l’Ucraina”».
Quali sono le vostre richieste?
«Noi riteniamo che per portare ordine nel Paese e superare la crisi, siano indispensabili importantissime riforme politiche, e in particolare: è necessario che si svolgano elezioni oneste con la partecipazione, naturalmente, dell’opposizione, e con l’abolizione della censura; che si ponga fine a questa propaganda assolutamente squallida, falsa, che ha semplicemente addormentato e mangiato il cervello ai russi. La gente viene calunniata. Parlo di me. Quando cominciano a chiamarti “quinta colonna”, traditore, tenersi tutto dentro è difficile, ma nondimeno bisogna sopportare. Ascoltate, la verità è più forte di tutti i loro servizi segreti di tutto quel fiume di menzogne».
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Putin ha avviato una insensata aggressione all’Ucraina, un crimine letale per il nostro Paese
Boris Nemtsov a Echo Moskvy, venerdì


ROBERTO TOSCANO SULLA STAMPA
«Boris, quando la smetterai di attaccare Putin? Finirà per ucciderti». Così Boris Nemzov riferiva di una telefonata della madre (87 anni) in un’intervista del 10 febbraio al quotidiano online
«Sobesednik».
Putin, da parte sua, ha subito parlato di «una provocazione» e di killer prezzolati. Non precisa da chi, ma nei commenti che impazzano nella rete sono molti i cittadini che esprimono un’ipotesi che assomiglia a una certezza: è stata la Cia, per creare problemi al presidente russo. Alcuni organi d’informazione alludono anche a un’altra ipotesi – quella che l’assassinio sia opera di fondamentalisti islamici, che avrebbero colpito Nemzov per alcuni suoi commenti sul caso «Charlie Hebdo». Nel frattempo i commentatori della rete televisiva russa Rt, più sofisticati anche se non meno di regime, insistono sul fatto che l’accusa rivolta a Putin di essere dietro l’uccisione non si reggerebbe in piedi se si pensa al discredito prodotto nei suoi confronti da quella sconvolgente immagine del cadavere dell’oppositore con il Cremlino sullo sfondo. Non solo, ma con un disprezzo scoperto e piuttosto indecente definiscono la vittima come un politico sostanzialmente fallito, che non rappresentava nessuno e quindi non poteva certo costituire una minaccia per il presidente russo.
E’ vero, Boris Nemzov era passato da posizioni di vertice negli Anni 90 (primo vice ministro e responsabile del settore energia al tempo di Eltsin, cofondatore del partito «Unione delle Forze di Destra») a semplice deputato dell’assemblea provinciale di Nizhny Novgorod.
Ma oggi in Russia non esistono prospettive concrete di un’alternativa politica al potere di Putin, visto che al suo controllo totale dei centri di potere economico e degli apparati di sicurezza si unisce un altissimo tasso di popolarità, ultimamente ancora cresciuto sulla base di una ventata di nazionalismo. Gli oppositori possono solo cercare di iniziare un difficile processo di «politicizzazione democratica» attraverso le loro denunce e manifestazioni come quella che era stata indotta a Mosca per la giornata di oggi. Poco prima di essere falciato dalle pallottole dei suoi assassini, Nemzov era intervenuto ad una trasmissione radiofonica in cui lanciava un appello per la partecipazione alla manifestazione, ora cancellata dagli organizzatori, che hanno chiamato i cittadini ad essere invece presenti al funerale del politico.
Negli ultimi tempi Nemzov era stato tra i più attivi nel denunciare la politica di Mosca nei confronti dell’Ucraina, ed aveva sfilato sotto bandiere russe e ucraine e un grande striscione: «Giù le mani dall’Ucraina». In altre parole, se la sua non era certo un’alternativa a Putin, di certo era una sfida. Una sfida dura, irritante, inammissibile per Putin e per i suoi seguaci, che nella rete non mancavano di formulare nei suoi confronti insulti e anche minacce di morte.
Non c’è bisogno di immaginare una fantapolitica riunione del presidente russo con i sicari, e nemmeno che dal vertice sia giunto l’ordine di eliminare l’oppositore. Dopo tutto, anche la giornalista anti-regime Anna Politkovskaya sarebbe stata uccisa nel 2006 da killers ceceni, e i sospetti si sono diretti, più che in direzione del Cremlino, verso il presidente ceceno Kadyrov, alleato di Putin.
Viene inevitabilmente da pensare al caso Matteotti, rispetto al quale alcuni storici qualificati tendono ad essere scettici sull’ipotesi di un ordine diretto di Mussolini, che si sarebbe limitato a far sapere ai suoi più stretti collaboratori, che a loro volta avrebbero attivato gli squadristi assassini, che «non se ne poteva più» di quel Matteotti. Il potere non democratico tende spesso ad operare in modo indiretto, creando un micidiale clima politico nel cui ambito poi si muovono soggetti che magari nessun tribunale riuscirebbe a collegare a una individuabile linea di comando. Anzi, non si può nemmeno escludere che qualche zelante scherano possa andare non solo oltre, ma anche contro lo stesso interesse del capo. Per chi non ha i mezzi di giudicare i meccanismi investigativi resta solo la possibilità di formulare un giudizio politico, quello della condanna di un sistema in cui si congiungono e si alimentano reciprocamente autoritarismo interno e avventurismo internazionale e in cui proliferano intrighi, corruzione, violenza.
Chiunque abbia premuto il grilletto, e per incarico di chiunque lo abbia fatto, la morte di Boris Nemzov va messa sul conto del fallimento del progetto democratico nella Russia post-sovietica.

L.SGU. SULLA STAMPA
Un tentativo di «destabilizzare lo Stato», la pista dell’estremismo islamico, il conflitto in Ucraina, la vita sentimentale della vittima, Boris Nemzov, 55 anni, leader dell’opposizione, ex enfant prodige della politica russa colpito a morte a poche centinaia di metri dal Cremlino l’altra notte. Spunta pure un video, macchine che sfrecciano, lo stop, i sicari (o uno, ancora non è chiaro) l’esecuzione, e il corpo di Nemzov a terra. Sei spari.

«Mi vuole morto»
Teorie del complotto e ricostruzioni si sprecano. Gli investigatori però tolgono dalle ipotesi quella che l’omicidio sia stato ordinato dal Cremlino. Eppure appena 10 giorni fa era stato lo stesso Nemzov a confidare a un sito di temere che Putin lo volesse morto. E tra le possibilità elencate dagli inquirenti russi c’è invece quella che il delitto sia stato voluto dalla stessa opposizione per galvanizzare i suoi sostenitori in vista della dimostrazione, in programma domani (e ora saltata o meglio di cui sono stati cambiati i connotati) contro Putin e la sua politica in Ucraina ed economica.

Prima l’opposizione è rimasta tramortita, squagliandosi quasi, attorno al tema della guerra in Ucraina che invece ha ricomposto il fronte anti-Putin. Ora il tragico assassinio di Nemzov assesta un duro colpo. Niente manifestazione politica, ma sfilata con il lutto al braccio per commemorarne la morte, in pieno centro per concessione delle autorità, una processione funebre che sa di beffa. Tutti sotto shock, commossi, e pieni di rabbia. Come Ilya Yashin, il primo ad accorrere venerdi notte sul luogo del delitto, in pianto dirotto: «L’omicidio è un tentativo di gettare un terrore animale sui dissidenti». Abbracciato all’ex fidanzata Ksenia Sobciak, che come molti compagni accusa il Cremlino per aver creato un clima da caccia alle streghe contro l’opposizione: «Sarei meno ansiosa in un certo senso se a ordinare l’omicidio fosse stato Putin. Terribile, ma dimostrerebbe almeno che il sistema è ancora sotto controllo. Purtroppo non credo sia così. Putin ha costruito il terrore infernale e ha perso il controllo su di esso. Ora c’è il caos dell’odio».
Kasparov e gli altri
E il lutto ieri ha invaso il centro di Mosca, con centinaia di cittadini venuti a portare fiori e lumini su quel ponte che porta alla Piazza Rossa, proprio sotto le mura del Cremlino. Compaiono molti reduci dell’opposizione finiti nel dimenticatoio o integrati dal potere, come Anatoli Chubais, la generazione dei riformisti liberali anni 90 spazzati via da Putin.
Omaggi arrivano dai dissidenti fuori dalla Russia e dal gioco politico. L’ex scacchista Kasparov da New York si dice «devastato» per quei 4 colpi, «uno per ogni figlio». Khodorkovsky dal suo esilio svizzero twitta: «La sua morte è un grande dolore per me e per la mia famiglia. Lo amavamo tutti». L’ex presidente georgiano Saakashvili nota: Nemzov «lavorava a un dossier sui russi in Ucraina». E oggi in piazza non ci sarà neppure il capopopolo Alexey Navalny, agli arresti due settimane per aver distribuito volantini politici. Lui si dice «choccato».
Il Cremlino
Ma a bruciare come il fiele per gli anti Putin sono le parole del portavoce del Cremlino Peskov che ha infierito definendo Nemzov «poco più di un cittadino medio», non una minaccia per il Cremlino. In un telegramma di condoglianze alla madre, Putin prova a recuperare: «Una perdita irreparabile. Ha lasciato il suo segno nella storia della Russia. Ha sempre onestamente dichiarato la propria posizione, difeso il suo punto di vista», e promette: «Farò di tutto perché organizzatori ed esecutori di questo vile e cinico omicidio vengano puniti». Ma a sera, l’asfalto sul ponte è già stato ripulito. I leader occidentali, da Renzi alla Merkel, condannano. «Brutale assassinio», dice Obama. Tutti chiedono sia fatta luce sull’omicidio. Ma pochi a Mosca credono si arriverà davvero ai mandanti dell’omicidio.[L. sgu.]

(LAPRESSE) - Da Eltsin all’opposizione Boris Nemzov è stato vicepremier negli Anni 90 e poi ha fondato un partito liberale Aveva 55 anni
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MARK FRANKETTI SULLA STAMPA

Quel clima d’odio alimentato
dalla propaganda nazionalista
Guerra in Ucraina e crisi economica hanno spaccato il Paese E la retorica stalinista è tornata di moda sui media del regime

Mark Franchetti

I russi amano le teorie del complotto. Più sono complesse e intricate, più sono inclini a crederci. «Komu vygodno?», a chi giova? è la domanda che si pongono sempre dopo una tragedia. Le prime ore dopo l’omicidio di Boris Nemzov, uno dei più convinti critici di Putin, alle porte del Cremlino, hanno confermato la regola. Il famoso politico deve ancora essere sepolto, ma Mosca ribolle già di teorie di cospirazione. È stato ucciso da Putin, no, dai nemici di Putin che vogliono screditare il presidente e destabilizzare la Russia, l’hanno ammazzato i nazionalisti, no, i suoi stessi sostenitori per farne un agnello sacrificale della cui morte accusare il Cremlino. No, l’hanno ucciso i fanatici islamisti per la sua difesa delle vignette di «Charlie Hebdo». No, sono stati i servizi segreti occidentali, per macchiare l’immagine della Russia. È colpa della politica, no, è tutta una questione di affari e business, anzi, è una faccenda tutta privata che ha a che fare con l’amore di Nemzov per le donne giovani.


Le colpe dello Zar
Se il Cremlino davvero, come promette, vuole trovare gli assassini di Nemzov non dovrebbe essere così difficile. La zona dell’omicidio, a pochi passi dal Cremlino, è una delle più monitorate dalle telecamere dell’intero Paese. Ma resta da vedere se lo sfacciato delitto verrà mai risolto. La lista di omicidi illustri e irrisolti nella Russia di Putin è lunga. Quello che è fuori ogni dubbio è che la morte di Nemzov non va a beneficio di Putin. Eppure il presidente - che ha condannato l’omicidio definendolo una provocazione e ha promesso di seguire personalmente le indagini - si porta sulle spalle molte più responsabilità di quante voglia ammettere. Dallo scoppio del conflitto in Ucraina, con l’arrivo delle sanzioni occidentali, la macchina della propaganda del Cremlino è stata cruciale nell’alimentare il nazionalismo e il sentimento anti-occidentale.
L’offensiva mediatica
I media e il governo si sono scagliati contro chiunque non appoggiasse la politica putiniana in Ucraina, accusandoli di appartenere a una «quinta colonna» di traditori. Il termine stalinista di «nemico del popolo» con Putin è tornato di moda. Anche la colpa della crisi economica che colpisce i russi è dell’Occidente, non del governo. «Chi non è allineato con il Cremlino viene minacciato», dice Vladimir Ryzhkov, uno dei leader dell’opposizione a fianco di Nemzov. «Se si soffia sul fuoco dell’odio verso l’opposizione, stigmatizzandola come la quinta colonna, si crea un clima che genera omicidi politici. La responsabilità di queste bugie è di Putin, direttamente. Nella Russia di oggi nessuno con idee politiche differenti può sentirsi al sicuro».
Nell’ultimo anno con l’aiuto di una campagna di propaganda mediatica velenosa, insidiosa ed estremamente efficace il Cremlino ha alimentato odio e profonde spaccature nella società russa. Giorno dopo giorno la gente si sente dire che il Paese è assediato, che sono circondati da nemici. Quando Viktor Shenderovich, un satirico d’opposizione, ha paragonato la strombazzante pubblicità delle Olimpiadi di Sochi con i Giochi del 1936 nella Germania nazista, la tv di Stato ha risposto con 7 minuti di video (girato ovviamente di nascosto) con contenuti sessuali che aveva come protagonista proprio l’oppositore. Musicisti popolari che hanno criticato la politica del Cremlino in Ucraina sono stati messi alla berlina, i loro concerti cancellati all’improvviso. Le forze filo-Cremlino hanno spesso dipinto Nemzov come un pupazzo dell’Occidente.
Opinione pubblica divisa
La guerra in Ucraina, e ancora di più la sua copertura da parte dei media russi, hanno spaccato famiglie, dividendo parenti e amici che fino a poco prima vivevano in pace. Nemzov criticava violentemente l’annessione della Crimea e il sostegno nascosto della Russia per i separatisti nell’Ucraina orientale. Ieri si è scoperta che questa sua posizione gli era valsa numerose minacce di morte. Ma per quanto i sospetti immediati ricadono sugli estremisti nazionalisti infuriati - e soprattutto i volontari russi reduci dai combattimenti nell’Est ucraino - molti esponenti dell’opposizione accusano anche il Cremlino. «Questo omicidio dimostra a che punto l’odio è stato legittimato o addirittura alimentato. La società era irritata da tempo, ma quando l’odio si riversa dagli schermi della tv è diverso», dice l’analista politico Alexey Makarkin: «La copertura mediatica emotiva e incendiaria del conflitto ucraino ha diviso la società in “patrioti” e “nemici”. E per questo clima il Cremlino non ha da accusare altri che se stesso». La domanda che i pochi rimasti lucidi si pongono ora è se Putin non stia giocando col fuoco, facendo uscire dalla bottiglia un genio che nemmeno lui, l’uomo forte della Russia, sarà in grado di ricacciare indietro.
Corrispondente da Mosca
per il «Sunday Times» di Londra
Traduzione di Anna Zafesova

(Maxim Zmeyev /REUTERS) - In piazza Sostenitori del presidente russo Vladimir Putin durante una marcia contro la rivolta di Kiev a Mosca
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PARLA LIMONOV
LUCIA SGUEGLIA
Erano avversari politici, Boris Nemzov e lo scrittore Eduard Limonov, più volte si erano scambiati accuse feroci. Ma più volte avevano anche condiviso la stessa cella, arrestati in una delle tante manifestazioni anti Putin. Dopo l’esplodere della crisi in Ucraina sono finiti su lati opposti della barricata: il primo tra i più aspri critici dell’intervento russo, l’altro entusiasta della presa della Crimea.
Cosa rappresenta per lei la morte di Nemzov?
«Per me purtroppo è solo l’ennesima tra le tante morti dei miei compagni nell’ultimo anno, sono mesi che seppellisco i miei ragazzi nazionalboscevichi uccisi combattendo nel Donbass coi ribelli, l’ultimo funerale è stato a Pietroburgo il 21 febbraio. Certo Boris Efimovich lo conoscevo molto bene, da anni, anche se non ci amavamo affatto, per me era troppo filo-occidentale».
Un omicidio politico?
«Non ci credo. La ragazza che era con lui, l’unica testimone, è rimasta viva. E nei delitti politici si fa sempre fuori anche il testimone. Forse è proprio lei la chiave. Aspetto le indagini. Ma certo è un delitto molto strano… mi vengono strani pensieri».
Quali? Alcuni politologi russi anche d’opposizione ventilano l’ipotesi di una strategia della tensione interna o esterna…
«Sì, per me è possibile che si tratti di una provocazione politica. A che scopo? Forse per scatenare una rivolta arancione anche qui in Russia».
Quindi come i pro-Putin lei accusa l’Occidente…
«No, dico solo che Nemzov non era più un politico di rilievo, come nemico del Cremlino oggi il leader più importante è Navalny. Lui era un brillante pensionato politico, una persona capace ma della vecchia guardia, ormai non faceva più nulla. Certo era molto noto. Ma rappresentava solo una parte dell’opposizione, perché dal 2011 in Russia non ci sono solo i dissidenti liberali, ma i comunisti, i nazionalisti, e così via, anzi gli ultimi sono cresciuti. La sua è soprattutto una morte simbolica».
È stato ucciso alla vigilia della prevista protesta anti-Putin convocata dall’opposizione, le sembra un caso?
«È solo una coincidenza. O meglio, semmai mi sembra una provocazione politica. Ma non dal lato del Cremlino. Mi pare più probabile che sia opera di avversari del Cremlino. Certo fa comodo a loro, più che a Putin: questo omicidio è l’ultima cosa che serve al presidente russo in questo momento, lo danneggia soltanto».
Dissero così anche per Politkovskaya… ma i media di Stato hanno fomentato sempre più l’odio verso i dissidenti, specie chi criticava la politica ufficiale verso Kiev…
«È vero, in Russia oggi c’è un’atmosfera di isteria generale, ma anche parte della nostra opposizione vi ha contribuito. Nella loro Marcia della pace, non hanno forse sfilato con le bandiere ucraine? Se non è provocazione questa. Facile accusarli di essere “agenti occidentali”».
Quali conseguenze prevede?
«Nessuna. Purtroppo temo che come per altri omicidi illustri precedenti, tra pochi giorni tutti in Russia lo avranno dimenticato. Ma l’Occidente di certo coglierà l’occasione per scatenare e aumentare l’isteria contro la Russia e contro Putin».

ZAFESOVA
«Poco più di un cittadino medio». Il portavoce di Putin, Dmitry Peskov, respinge già all’alba le accuse per la morte di Boris Nemzov, e lo fa con un’argomentazione al ribasso: non era abbastanza importante per scomodarsi a ucciderlo. Che fosse molto meno imbarazzante per Putin da vivo che da morto, con quell’immagine del suo corpo crivellato di pallottole davanti alla piazza Rossa che sembra il fondale di un’opera di Musorgsky, è vero. D’ora in poi il volto dell’oppositore ucciso accoglierà Putin nei suoi viaggi (sempre meno frequenti) all’estero, come per anni quello della giornalista Anna Politkovskaya, e poi della spia Alexandr Litvinenko, dell’avvocato anti-corruzione Serghey Magnitsky, dell’attivista cecena Natalia Estemirova, dell’avvocato Stanislav Markelov ucciso in pieno giorno dagli ultranazionalisti russi. Tutti accomunati dallo stesso destino postumo: in patria non sono degli eroi. In Russia Putin non incontrerà mai un ritratto di Nemtsov.

La reazione del Cremlino ieri ha ricordato quasi testualmente quella per l’omicidio Politkovskaya. Anche in quel caso Putin aveva spiegato che era una signora nessuno, più nota all’estero che in Russia. E anche per Litvinenko, divorato dal polonio a Londra, l’ipotesi che fosse stato ucciso dai suoi stessi amici dell’opposizione per screditare Putin è stata espressa chiaramente. Magnitsky - al quale è intitolato un Atto del Congresso Usa - ha avuto umiliazione di una condanna postuma, dopo essere stato fatto morire in carcere. Khodorkovsky di fatto è in esilio, e probabilmente solo l’attenzione dei governi di tutto il mondo l’ha salvato dalla morte in cella. Ora tocca a Nemzov. I magistrati lo vedono come «vittima sacrificale» per imbrattare Putin con il suo sangue, e la macchina della propaganda sforna versioni sempre più infamanti: debitori ingannati, mogli abbandonate, amanti costrette ad abortire, tresche con i servizi ucraini che gli hanno mandato da Kiev una modella per trascinarlo nella trappola mortale.
Troppo clamore per uno che «non contava niente». Anche perché non era un attivista di provincia, di quelli che ogni giorno finiscono in galera o con il cranio rotto, senza che nessuno se ne accorga. Era l’uomo che vent’anni fa faceva sognare la Russia, il volto più carismatico di una generazione che sembrava destinata a sostituire i comunisti. Giovane, colto, bello, disinvolto, dinamico, sembrava - erano gli Anni ’90 - il corrispettivo russo della rivoluzione clintoniana. Era un altro mondo, dove un ragazzo di origini palesemente ebraiche poteva vincere a furor di popolo le elezioni di governatore e portare al presidente Eltsin un milione di firme contro la guerra in Cecenia, e nonostante questo diventare ministro. Dove un colonnello del Kgb al Cremlino sembrava impossibile. Dove un liberale come Nemzov poteva diventare un politico famoso. Forse avrebbe conquistato la presidenza, come sognava, forse sarebbe franato prima per qualche scandalo di donne. Ma non sarebbe finito in un sacco di plastica davanti al Cremlino.