Federico Fubini, la Repubblica 28/2/2015, 28 febbraio 2015
COSÌ DRAGHI E PADOAN ALLEGGERIRANNO IL COSTO DEL DEBITO
ROMA
Sembra una vita fa quando le voci di politici, economisti, uomini di finanza ed «esperti» da destra e sinistra proponevano per l’Italia la ricetta di Yanis Varoufakis: fare ciò che il ministro delle Finanze della Grecia propone per il suo Paese. Significherebbe ripudiare gli impegni dello Stato sul proprio debito, e rinegoziarli imponendo perdite ai creditori. Sembra una vita fa, ma sono pochi mesi.
Nel frattempo, si è introdotta una novità che rende obsolete le riflessioni di questo tipo anche per chi le condivide. Sotto la guida di Mario Draghi, la Banca centrale europea ha deliberato un programma di acquisti di titoli emessi dai governi europei da quasi 800 miliardi. Oltre 130 miliardi di quegli interventi si concentreranno su titoli italiani e li eseguirà la Banca d’Italia. Inaspettatamente, Draghi ha annunciato un dettaglio del quale si sta iniziando ad apprezzare la rilevanza: la Bce comprerà anche obbligazioni a scadenze lunghissime, i cosiddetti “matusalemme- bond” che i debitori dovranno rimborsare tra trent’anni.
Basta allungare una mano al pallottoliere per capire fino a che punto questa scelta somigli negli effetti, benché in dosi modiche, a ciò che propongono i fautori di un (teoricamente) controllato «default»: ristruttura verso il futuro il profilo del debito, ne alleggerisce la pressione e il costo. Libera il governo di un assillo. Ma lo fa in modo legale, non traumatico, nella continuità dei contratti e degli impegni, senza espropriare i creditori esistenti in patria o all’estero. Il caso dell’Italia non è neppure il più accentuato rispetto al Portogallo, all’Irlanda o alla Grecia (se anch’essa parteciperà). Oggi dei 1.475 miliardi di euro di debito italiano quotato sui mercati - stima Chiara Cremonesi di Unicredit - un terzo (377 miliardi) scadrà fra il 2026 e il 2045. L’arrivo in forze della Banca d’Italia su mandato della Bce, con la sua scelta di comprare anche “matusalemme- bond”, sposterà questi equilibri. Ci saranno più titoli a scadenza lunga e a rendimenti bassi e meno titoli a scadenza più breve e rendimenti elevati. Come già annunciato dal direttore del debito Maria Cannata, il Tesoro si prepara a emettere più obbligazioni da rimborsare fra un quindicennio o un trentennio: intende mettere in cassaforte l’occasione unica di pagare, grazie alla Bce, interessi a trent’anni sotto al 2%. Il governo ne deriverà un sollievo, che può diventare l’equivalente di una vera ristrutturazione del profilo del debito nel caso in cui gli interventi della Bce dovessero proseguire dopo la prima fase destinata a chiudersi in autunno 2016.
È l’elemento di un compromesso più ampio, emerso in questi mesi in Europa malgrado le tensioni per il collasso dei prezzi e la crisi greca. I tasselli sono ormai tutti visibili. L’Italia e la Francia accettano qualche riforma e una dose di disciplina di bilancio. Contro di loro la Commissione Ue non impugna gli strumenti punitivi del Fiscal Compact. La Germania accetta la campagna di interventi della Bce e si avvantaggia più di ogni altro Paese della svalutazione dell’euro che ne deriva, a sostegno del proprio enorme settore dell’export; ma Berlino e la Bundesbank ottengono che il rischio sugli acquisti di titoli italiani venga confinato nella Banca d’Italia. La Grecia resta una ferita aperta, per ora però tamponata. Intanto a forza di tagli e risparmi, l’intera zona euro ha iniziato a tentare di imitare la Germania: l’area è passata da un deficit degli scambi con l’estero di 150 miliardi nel 2008, a un surplus di 250 oggi. Una metamorfosi radicale.
Tutti questi elementi compongono un equilibrio instabile, che però permette di non guardare più all’euro attraverso le lenti del 2012. Quella crisi è finita. Ora la peggiore delle trappole per l’Italia sarebbe illudersi di essere ormai su una corrente benigna che porterà la ripresa anche senza remare. Una crescita attesa appena dello 0,5% o 0,6% nelle condizioni ideali e irripetibili del 2015 - euro e petrolio poco cari, tassi bassissimi - rivela invece tutta le fragilità del Paese. Il debito pubblico non è più un’emergenza, ma il debito delle imprese resta in proporzione il più alto d’Europa dopo quello della Grecia, si sta scaricando sulle banche attraverso le insolvenze private e alimenta un continuo credit crunch . Il sistema produttivo rimane sottocapitalizzato, dunque è in affanno: in gennaio il made in Italy è cresciuto solo verso gli Stati Uniti, ma sta letteralmente crollando verso la Cina o il Giappone.
Il Paese può registrare un successo: è riuscito a resistere fino a quando l’alta marea ha sommerso tutti gli scogli. Ora deve correre prima che l’onda lunga, come sempre accade, si ritiri.
Federico Fubini, la Repubblica 28/2/2015