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 2015  febbraio 28 Sabato calendario

TORNA BERLUSCASH?

L’offerta di Ei Towers sulle 2.300 torri di Rai Way, secondo il Pd, è una mossa politica, figlia (segreta) del patto del Nazareno, che porterà al monopolio di settore e permetterà ai Berlusconi di dominare la scena ancora una volta in barba alle regole di mercato e alle authority? Chiedetelo agli azionisti, piccoli e grandi, quindi anche alla Rai (e indirettamente al governo Renzi), della società infrastrutturale sbarcata a Piazza Affari a metà dello scorso novembre.
Tutti dovrebbero rispondere: sì, grazie, accettiamo l’offerta pubblica di offerta e scambio, monetizziamo e al contempo diventiamo soci del colosso nazionale del settore, in attesa di nuovi e più ricchi dividendi. Perché se si guarda solo al mercato non c’è altra scelta. Il titolo Rai Way nella seduta di venerdì 27 ha toccato il nuovo massimo storico a 4,07 euro, balzando del 27,65% da inizio anno e soprattutto del 38% rispetto al prezzo del debutto (2,95 euro). Difficile non accostare questo rally all’opas lanciata da Ei Towers a 4,5 euro per azione con un premio implicito del 52% rispetto al valore del debutto sul listino. E che attorno all’azienda presieduta da Camillo Rossoto ci sia attenzione lo dimostra il fatto che nelle ultime due settimana è stato scambio il 9% del capitale su un flottante complessivo del 35%. A posizionarsi pare siano stati i fondi infrastrutturali che già sono esposti sul settore, soprattutto nei big americani (American Towers e Crown Castle) o i fondi di private equity azionisti della francese Tdf (Tpg, Ardian e Charterhouse) o l’inglese Arqiva (Canada Pension Plan Investment Board, Macquarie European Infrastructure e Ifm).
Perché, nonostante il niet del premier che stoppa di fatto le intenzioni di acquisto e delisting di Ei Towers («deve restare il vincolo del controllo pubblico al 51%, non si discute»), il decreto dello stesso Renzi col quale lo scorso settembre si è avviata la privatizzazione di Rai Way, l’intervento dell’Antitrust e della Consob, l’alzata di scudi dei principali esponenti del Pd, è plausibile che il predatore partecipato al 40% da Mediaset non mollerà la presa.
Come farà, la società presieduta da Alberto Giussani che controlla 2.300 torri e vuole diventare il leader nazionale del settore, a far cambiare idea ai vertici di viale Mazzini e all’inquilino di Palazzo Chigi? La strada è di fatto una sola: dimostrare di voler allentare la presa sulle infrastrutture di trasmissione tv e tlc pubbliche. Come fare? Una prima soluzione è cambiare i contenuti dell’opas e, come anticipato da MF-Milano Finanza, offrire alla Rai un controllo paritetico della newco, ovviamente definendo meglio i confini della governance e garantendo una equa rappresentanza in consiglio d’amministrazione. Oppure si può ampliare il perimetro del progetto coinvolgendo, come sostengono da giorni gli analisti di Piazza Affari, la società che gestisce le torri di Telecom Italia che sta per quotarsi. O, ancora, si potranno coinvolgere in un momento successivo al matrimonio quegli stessi fondi infrastrutturali che stanno studiando la complessa operazione da 1,22 miliardi. Altrimenti si può seguire la rotta tracciata dal viceministro dell’Economia, Enrico Morando: «Per una volta usciamo dalla polemica politica e iniziamo a valutare se non sia il caso di ammodernare il sistema radiotelevisivo. Forse anche in questo settore serve un’operazione che lo aiuti a essere più produttivo, dal punto di vista di autonomia della rete dalla produzione di contenuti. Come è avvenuto nel caso dell’energia elettrica e del gas. Sul modello Snam e Terna», ha detto l’esponente di governo in un’intervista concessa al Quotidiano Nazionale nei giorni scorsi.
Ma quella della torre è solo una delle mosse che la famiglia Berlusconi sta per mettere a segno per dare scacco matto finanziario. E tornare a essere il re di denari di Piazza Affari e non uno dei tanti nella top ten dei paperoni scavalcato pure dal sodale Ennio Doris. L’altra è l’offerta per ora non vincolante da 130-150 milioni avanzata dalla Mondadori per la Rcs Libri. Un altro modo per creare un campione nazionale del settore della lettura con un quota di mercato del 40% del mercato trade e del 16% dell’intero business nazionale. Operazione non facile, non solo per l’opposizione di molti scrittori, ma anche perché il cda di Rcs, che lunedì 2 marzo deve dare una risposta, è in scadenza e in seno al gruppo di Via Rizzoli è in atto una guerra tra soci per il controllo.
Queste due scelte strategiche, sostengono gli addetti ai lavori, sono figlie di un’unica strategia impostata dall’ex premier, che sta risalendo la china nei sondaggi elettorali, e definita dalla holding Fininvest presieduta da Marina Berlusconi, non a caso numero uno della casa editrice di Segrate. L’obiettivo finale è abbandonare o limitare al massimo l’esposizione nei business più ciclici (l’editoria periodica e la finanza in senso stretto) per concentrarsi su attività solide, durature e dal rendimento certo come quelle infrastrutturali o i libri. Per arrivare a essere leader indiscussi in settori che non sono strettamente legati all’andamento dell’economia e che garantiscano dividendi. Non per nulla dal 1996 anno di quotazione di Mediaset, le società riconducibili ai Berlusconi, quindi la tv, Mondadori e Mediolanum, hanno distribuito qualcosa come 7,4 miliardi ai soci, a partire da Fininvest. E se si considera che dal 2011 il Biscione (4,87 miliardi di cedole staccate dalla quotazione datata 1996) non regala soddisfazioni e da Segrate non arrivano assegni dal 2008 con l’unica eccezione del 2010 (41 milioni), si può dire che le aziende dell’ex premier sono state un po’ avare negli ultimi anni. Perché cash is king in quel di Arcore. Da qui si spiega la ferrea volontà dell’ex Cav di non mollare la presa su Mediolanum (30%) nonostante il diktat di Bankitalia di mantenere non più del 9,9% dopo la sua condanna definitiva. La famiglia è infatti convinta di vincere il ricorso al Tar sul congelamento dei gran parte della partecipazione. Il 22 aprile il tribunale si esprimerà e sarà il vero d-day. O B-day in questo caso.
In caso di sconfitta, comunque, la vendita di un pacchetto di azioni Mediolanum superiore al 20% e potenzialmente congelato in un trust definito da Intesa Sanpaolo garantirebbe un incasso monstre. Basti pensare che ai prezzi attuali, con un azione del gruppo bancario guidato da Ennio e Massimo Doris vicina a 7 euro con un guadagno del 28,4% da inizio anno, per una capitalizzazione di 5 miliardi, a Fininvest arriverebbe una cifra lorda vicina al miliardo. Capitali coi quali si potrebbe sanare definitivamente Mediaset Premium, uno dei temi più caldi sul tavolo dei Berlusconi. Perché se il broadcaster è leader incontrastato sul fronte della raccolta pubblicitaria in Italia e Spagna (la branch locale ha staccato giust’appunto un dividendo di 47,5 milioni su un utile 2014 di 55,5 milioni), il business del digitale a pagamento non sarà a break even fino al 2017 a causa del costoso shopping dei diritti esclusivi della serie A e soprattutto della Champions League. Per questo si pensa ad alleati quali la spagnola Telefonica già all’11% del capitale e, potenzialmente, al gruppo francese Vivendi presieduto da Vincent Bolloré, azionista forte di Mediobanca, super-liquido e proprietario pure del gruppo pubblicitario Havas che vuole far crescere per linee esterne.
Dare vita a un polo multimediale su scala europea garantirebbe ai Berlusconi un futuro televisivo diverso, ma migliore.
Andrea Montanari, MilanoFinanza 28/2/2015