Roberta Castellarin e Paola Valentini, MilanoFinanza 28/2/2015, 28 febbraio 2015
L’INGANNO DEMOGRAFICO
La continua discesa dei rendimenti delle obbligazioni è il problema più assillante per i risparmiatori. Gli economisti si interrogano sulle ragioni per cui si è arrivati a questo punto e su cosa accadrà nei prossimi anni. Torna a spaventare lo spettro di una stagnazione secolare, rispolverato nel 2013 dall’ex Segretario del Tesoro Usa, Larry Summers, in un convegno del Fondo monetario internazionale.
Il primo a coniare l’idea della stagnazione secolare fu infatti un economista americano degli anni Trenta, Alvin Hansen, per spiegare la Grande Depressione. Secondo Hansen il mancato aumento della popolazione e le scarse innovazioni tecnologiche avevano causato la frenata che allora colpì il mondo, una stagnazione che avrebbe dovuto durare per vari decenni. Allora la storia prese tutta un’altra direzione. Ma oggi il tema torna alla ribalta in un mondo che deve fare i conti con un basso tasso di crescita della popolazione e con una riduzione della domanda di lavoro. Ma forse anche questa volta l’infausta premonizione non si verificherà.
Questa volta, infatti, gioca un ruolo chiave anche il risparmio. Come rivela un report di Goldman Sachs dedicato proprio a Stagnazione secolare, evoluzione demografica e bassi tassi di interesse. Lo studio ricorda che «il problema è che oggi il tasso di interesse reale che mette in equilibrio offerta di risparmio e domanda di investimenti è sostanzialmente negativo».
Il fatto è che c’è troppo risparmio in giro per il mondo a caccia di opportunità che a loro volta non riescono a soddisfare questa domanda. Questo perché l’economia mondiale cresce poco perché diminuisce la popolazione in età da lavoro, soprattutto in Occidente. Ciò provoca un effetto a catena: al diminuire del tasso di crescita dei lavoratori attivi, scendono anche le attese di redditi adeguati e questo fa calare i consumi e aumentare quindi il tasso di risparmio.
Ma una via d’uscita c’è, afferma Goldman Sachs, e arriva dai cosiddetti prime savers, ovvero le persone in età anziana. «La nostra analisi rivela che la composizione demografica della popolazione, soprattutto la percentuale di risparmiatori, può avere influenzato la caduta dei rendimenti negli ultimi 20 anni. Ora è importante valutare se il driver principale sia l’età media della popolazione o il suo tasso di crescita, perché il rallentamento nel tasso di crescita della popolazione potrà ancora comprimere i tassi di interesse reali, mentre l’accumulazione di risparmio nei Paesi sviluppati ha raggiunto un picco e quindi da questo punto di vista il trend è destinato a invertirsi».
Se ci si concentra sul ruolo dei risparmiatori, il modello rivela che nei prossimi 20 anni i tassi saranno destinati a salire. Nonostante il rallentamento della crescita della popolazione, una parte di chi finora ha risparmiato (soprattutto nei Paesi sviluppati) ora tornerà a spendere e questo avrà effetti anche sulla domanda di strumenti finanziari, come i titoli di Stato. Un grafico riportato in pagina illustra proprio questa possibile inversione di trend. L’analisi getta un nuovo punto di vista nel dibattito sul futuro della crescita mondiale. Come ricorda l’autrice Sharon Yin: «Crediamo che il legame tra l’evoluzione demografica e i bassi tassi di interesse sia meno scontato di quanto molti hanno creduto fin qui. Una migliore comprensione dei legami tra l’intera struttura demografica e il comportamento dei risparmiatori è necessario per meglio comprendere se il declino dei tassi di interesse sia un fenomeno secolare o, invece, un fattore temporaneo nello scenario macroeconomico».
E sul rapporto tra tassi di interesse e propensione al risparmio si sono interrogati anche gli analisti di JP Morgan. Gli esperti rifiutano l’idea che le politiche espansive delle banche centrali siano l’unico fattore che spiega l’attuale scenario di tassi negativi. «La causa più scontata che ha fatto scendere i rendimenti ai minimi è da ricollegarsi ai piani di espansione monetaria delle banche centrali in risposta alla crescita economica deludente, all’inflazione in calo e alla paura per l’arrivo della deflazione. Da ultima è stata la Bce a varare un maxi programma di acquisto di titoli sul mercato del valore di 60 miliardi di euro al mese a partire dal prossimo marzo e fino a quando le aspettative di inflazione non saliranno al 2%», scrivono gli analisti. «In realtà dal punto di vista economico pensiamo che i rendimenti obbligazionari siano caduti così in basso in risposta a una crescita in tutto il mondo dei tassi di risparmio, motivata da un atteggiamento più prudente adottato dagli investitori dopo la crisi, e anche in conseguenza dei bassi investimenti delle aziende».
Secondo gli analisti del broker Usa «il rendimento nominale che equilibra l’offerta di risparmio a livello globale con la domanda di investimenti in conto capitale è pari a zero, se non addirittura negativo». Anche in questo caso quindi è proprio la forte presenza di risparmi a caccia di collocazione che influenza la domanda di titoli di Stato. A questo punto una via di uscita potrebbe essere quella di indirizzare questi risparmi verso una diversa allocazione.
Non a caso, in questa situazione il suggerimento di JP Morgan è di assumere maggiori rischi in portafoglio perché la caduta del prezzo del petrolio e dei rendimenti dei bond sono fattori positivi per la crescita economica mondiale. Preferenza dunque per le azioni favorendo le borse dell’area euro, Giappone, India, Indonesia e puntando su settori come quello dei beni di consumo discrezionari e cercando opportunità soprattutto tra i titoli di società a grande capitalizzazione. Nel mondo del credito, invece, per JP Morgan le migliori opportunità si trovano nel mercato dei bond ad alto rendimento, nei finanziari Usa, nei corporate bond non finanziari europei.
Una nota di maggiore ottimismo arriva anche da Bart Van Craeynest, capo economista di Petercam: «Poiché la ripresa dopo la crisi del 2008-2009 è stata lenta e incostante, ha guadagnato consenso l’idea di stagnazione secolare. I recenti dubbi in merito al recupero globale hanno fatto tornare in auge i timori di stagnazione economica. Tali paure, almeno su scala mondiale, risultano però eccessive». Van Craeynest ricorda che, nonostante la prolungata fase di debolezza economica dell’Eurozona e del Giappone, l’economia globale si sta in realtà espandendo a un ritmo piuttosto regolare. Al momento, la crescita a livello mondiale è appena al di sotto del 3%, percentuale molto vicina alla media degli ultimi 35 anni. «In tal senso, quindi, parlare di stagnazione su scala globale è davvero esagerato, sebbene questa stasi economica costituisca un rischio evidente per aree, come l’Europa e il Giappone, che devono fare i conti con importanti sfide demografiche», dice l’economista. «Il fatto che l’economia globale stia impiegando molto tempo per riprendersi non dovrebbe sorprendere più di tanto. Infatti, una ricerca effettuata da Reinhart e Rogoff aveva già evidenziato che le riprese dopo uno shock costituito da una combinazione tra lo scoppio di una bolla speculativa e una crisi bancaria richiedono tempo per realizzarsi». D’altronde l’economista di Petercam ricorda che in media, negli ultimi 150 anni, questo genere di riprese ha richiesto circa otto anni per dare i propri frutti. Sulla base di ciò, quindi, l’economia globale è ancora sulla strada giusta e la ripresa mondiale dovrebbe gradualmente proseguire ancora per un bel po’ di tempo.
Roberta Castellarin e Paola Valentini, MilanoFinanza 28/2/2015