Paolo Siepi, ItaliaOggi 28/2/2015, 28 febbraio 2015
PERISCOPIO
Renzi: «La nuova scuola punterà molto su arte e musica». Quando finisci in mezzo a una strada possono tornarti utili. Spinoza. Il Fatto.
Gianni Agnelli diceva a me di non far scalare da mio marito, Andrea Rizzoli, il Corriere della Sera. Gianni era nostro vicino in Costa Azzurra, a Cap Ferrat. Quando mi veniva a trovare in villa, mio marito non c’era mai. Fra l’altro avevamo la stessa governante di casa, madame Eugenie. Quando s’è congedata da casa Agnelli, madame avrebbe potuto scrivere un libro di sicuro interesse... Ljuba Rizzoli, vedova di Andrea, figlio del fondatore della casa editrice (Gian Luigi Paracchini). Corsera.
Matteo Renzi è un decisionista della parola. Alle parole aggiunge parole. È un illusionista che utilizza il vocabolario come i finanzieri d’assalto fanno con i derivati. Anzi, ora che ci penso: egli stesso è un derivato. Scommette sulla scommessa. Ma tutte le bolle speculative esplodono, è scienza della politica, non profezia da mago. Il periodo orientativo dell’eruzione è il tempo di una legislatura. È stato bravo a interpretare un bisogno di uscire dall’afasia, dalla palude. È stato l’inventore talentuoso di una rivoluzione parolaia. Achille Occhetto, ultimo segretario del Pci (Antonello Caporale). Il Fatto.
Luciano Bianciardi scriveva, già negli anni Settanta, del Molleggiato (dal «sorriso celentanoide, espressione emblematica del neoqualunquismo neocapitalista») prevedendo che sarebbe diventato un intellettuale da dibattito. Bianciardi, allora, invitava a occupare la tivù e le banche, non l’università se si vuole cambiare il mondo. Antonio Armano. Il Fatto.
Il mio amico Pietrangelo Buttafuoco sostiene che la rovina della Sicilia è stata l’autonomia. Aldo Cazzullo. Sette.
Poi ci sono i mezzani attempati dell’opinionismo, le vestali dell’opinione pubblica, i giornalisti tenorili che si considerano indipendenti anche se sono dipendenti da un editore, in genere un banchiere, un industriale, un finanziere. Questi si dividono tra chi teme Renzi e ne scongiura il successo con aria da gufo, e chi lo combatte con argomenti pusilli, consunti, boriosi, saccenti. Giuliano Ferrara, The Royal Baby. Rizzoli.
Livio Garzanti era un uomo di furori autentici perché partiva sempre a freddo, poi però si arrabbiava sul serio. Come dice Mejerchol’d in funzione anti-Stanislavskij: «Fai il gesto, e l’emozione seguirà». Mi ricordo, ad esempio, che, per l’Enciclopedia Europea, Debenedetti era riuscito ad avere una voce di Levi-Strauss e ne era giustamente orgoglioso. Livio per tutta risposta prese i fogli, li sbatté per terra e cominciò a saltarci sopra come un ossesso, dicendo che lo strutturalismo era tutta finta cultura e Levi-Strauss un sessantottino insopportabile. Gianandrea Piccioli, dirigente della Garzanti (Nanni Delbecchi). Il Fatto.
Dai miei primi anni di liceo mi sono allenato a mai temere una sconfitta per definitiva né una vittoria per acquisita. Servan-Schreiber, Passions. Fixot, 1991.
Kosovo, il paese che non c’è, un paese-prigione a un’ora di volo da Milano. Un luogo dove nessuno parla la lingua altrui. Con gli albanesi che inneggiano agli Usa e all’Isis nello stesso tempo. Il vescovo cattolico che ipocritamente tace. Un matto del villaggio serbo che recluta proseliti per il «jiad pro Mosca» in Ucraina. Duecentosette partenze registrate per combattere in Siria e Iraq, su un milione e 700 mila abitanti. Il campo di addestramento islamista a 15 km da Camp Bonbd, la più grande base nordamericana fuori dagli Stati Uniti. Monika Bulaj. ilvenerdì.
C’era anche, alla mia prima mostra a New York, uno spocchiosissimo Andy Warhol. Durante l’inaugurazione non fece che sparlare degli artisti italiani. Ricordo che Duchamp mi chiese: «Ma chi è quel signore con la parrucca bionda?» Gianfranco Baruchello, pittore. (Antonio Gnoli). la Repubblica.
Mio padre Arrigo Benedetti considerava il giornalismo un divertimento. La letteratura era invece per lui qualcosa di molto più tormentato. Parlava dei suoi libri con molto pudore. E, mentre per gli articoli usava la macchina per scrivere, un romanzo o un racconto lo scriveva sempre a mano. Luciano Simonelli, Dieci giornalisti e un editore. Simonelli editore.
Sono nata nel 1960, a maggio. E compivo diciott’anni proprio nei giorni in cui Aldo Moro viene ritrovato in via Caetani. Io ero della Fgci, più romantica che ortodossa. Vedevo il partito come un’oasi di confronto né grigia né triste. Politicamente pensavo allora quel che in fondo penso adesso. Che cosa? Che bisogna sacrificarsi e fare quadrato anche se chi è alla guida non ti rappresenta completamente o non ti convince del tutto. Turarsi il naso? Accettare il quadro di riferimento non equivale ad accontentarsi della soluzione meno dolorosa, ma significa essere responsabili. Un po’ da soldati civici. A diciott’anni mi sentivo esattamente così. Il soldato Archibugi. Non mi facevo influenzare dai flussi e dalle mode. Nel ’77 si diceva tutto e il contrario di tutto. Io cercavo di rimanere me stessa. Di avere equilibrio. Era difficile respirarlo in giro? L’equilibrio disturbava. Veniva vissuto con fastidio. Come il riflesso di qualcosa di stantio e di irregimentato. Francesca Archibugi. Regista. Il Fatto.
Mi sono laureato di mattina e il pomeriggio ero già in ufficio, forse perché sia mio padre che mio zio hanno saputo trasmettermi l’attaccamento all’azienda e alla famiglia. Sono valori forti e veri che stiamo passando ai nostri figli: un nipote è già in Colmar, i miei figli sono ancora al liceo, ma già si interessano dei prodotti. Quella che darò loro sarà un’indicazione, non un obbligo di far parte di questo progetto complesso. Carlo Colombo, industriale brianzolo, produce abbigliamento tecnico per sciatori, Colmar. Corsera.
In Italia la satira è sempre stata in mano ai comunisti. In trent’anni di cabaret ho partecipato a diversi show in tv e in teatro e non mi è mai capitato di conoscere un autore o un produttore della Democrazia cristiana, il mio partito. Il più bello e il più completo. Dicevo: tutti, dico tutti, erano e sono comunisti. Qualcuno come me si adeguava, facendo finta di essere comunista. Non per vantarmi, ma fin da ragazzo sono sempre stato falso. Oggi, poi, ancora peggio. Se posso, truffo sempre il mio simile. Maurizio Milani, scrittore satirico. Il Giornale.
Di regole io ne conosco una sola: bisogna essere buoni, cazzo. Kurt Vonnegut, scrittore, Quando siete felici fateci caso. Minimum Fax .
I mediocri li riconosco da come ti danno la mano. Roberto Gervaso. Il Messaggero.
Paolo Siepi, ItaliaOggi 28/2/2015