Dino Pesole, Il Sole 24 Ore 28/2/2015, 28 febbraio 2015
IL DIVIDENDO EUROPEO
Dopo anni passati a conteggiare il costo della crisi, ora è tempo di cominciare a incassare il “dividendo europeo” (da spread e non solo), in attesa che vi si aggiunga l’auspicato dividendo interno (crescita e riforme).
Il ritorno al di sotto e poi sul limite della soglia dei 100 punti base del differenziale tra Btp e Bund che ha turbato i sonni degli italiani negli ultimi anni, con un rendimento pari a 1,33%, apre spazi incoraggianti per i conti pubblici, con un risparmio che oscilla quest’anno tra 1,5-2 e 3 miliardi a seconda degli scenari che si determineranno. La Corte dei Conti, nel documento sulle «Prospettive della finanza pubblica dopo la legge di Stabilità», si spinge anche oltre. Nell’ipotesi di uno spread stabilmente e largamente al di sotto dei 100 punti base per l’intero 2015, tassi a lungo termine all’1,8% e calcolando anche l’effetto del QE sul livello dei tassi, si passerebbe dai 74,2 miliardi previsti dalla Nota di aggiornamento del Def (erano a quota 76,6 miliardi nel 2014 e 78,2 miliardi nel 2013) al più incoraggiante livello di 67,9 miliardi. Dunque 6,3 miliardi di risparmio nell’ipotesi più favorevole. Nel modello utilizzato dal Cer (citato nel rapporto) si passa a 4,4 miliardi qualora si realizzi l’ipotesi più prudente.
Occorre però tener conto che la stima dei 74,2 miliardi dello scorso ottobre è tarata su uno spread a quota 150 punti base. Conteggi più aggiornati rendono più probabile a oggi un risparmio tra 1,5 e 3 miliardi, incorporando l’effetto della manovra di politica monetaria della Bce. Risparmi che crescerebbero nel 2016 nei dintorni dei 5-6 miliardi. Il beneficio al ribasso sarà inserito nel Def che il governo approverà entro il 10 aprile. Servirà a far fronte a possibili scostamenti nelle previsioni di spesa e di entrata, e a rendere più solida la ripresa a partire dal 2016 con spazi aggiuntivi per gli interventi di politica economica. Anche oltre il dato meramente contabile, il ritorno dello spread sotto quota 100 punti acquista una valenza psicologica che potrà avere effetti rilevanti sulla fiducia e sulle aspettative dei mercati e degli operatori economici. Con potenziali effetti moltiplicatori dunque sulla produzione, sul reddito e sull’occupazione.
Un’ottima notizia, dopo il via libera, sia pur condizionato, alla legge di Stabilità da parte della Commissione europea. «Spread sotto quota 100, mille ex precari assunti a Melfi col Jobs Act, via segreto bancario non solo in Svizzera. Dai che è #lavoltabuona», twitta Matteo Renzi. È un dividendo per gran parte europeo, da attribuire alla lungimirante azione di politica monetaria messa in atto dalla Bce di Mario Draghi, dall’ormai famoso «whatever it takes» del luglio 2012 al quantitative easing da 60 miliardi al mese che tra breve immetterà preziosa liquidità nel sistema, per un totale di 1.140 miliardi. Ma è anche il dividendo europeo da attribuire – sarebbe ingeneroso non riconoscerlo – all’approccio finalmente più pragmatico e “politico” adottato dalla Commissione europea guidata da Jean Claude Juncker. La nuova flessibilità sta dando i suoi frutti, ed è non di poco conto che si riconosca per la prima volta in modo esplicito il peso da attribuire alle «circostanze attenuanti» nel peggioramento dei saldi di finanza pubblica, in sostanza agli effetti della recessione, al pari della rilevanza da accordare alle riforme strutturali nell’incremento delle potenzialità di crescita dell’economia. Il pressing politico esercitato dalla presidenza italiana del semestre europeo perché i temi della crescita e degli investimenti trovassero opportuna priorità nell’agenda europea ha avuto anch’esso un certo peso.
Ve n’è abbastanza per concludere, in risposta a quanti continuano improvvidamente a paventare un’«uscita» dell’Italia dall’euro, che la casa comune europea è l’unica sede in cui l’Italia può giocare la sua partita, e beneficiare del relativo dividendo quando il ciclo finalmente vira in territorio positivo. In quel drammatico 9 novembre 2011, quando il differenziale tra Btp e Bund infranse la barriera dei 575 punti base, il rendimento dei titoli a breve superò la soglia critica del 7 per cento. Uno scenario da incubo che si materializzava nel momento in cui i titoli di Stato a un anno erano collocati con un rendimento al 9% sul mercato secondario. Si era diffusa nei mercati la percezione che il nostro Paese fosse sull’orlo di una crisi di liquidità. È quel che Mario Monti, chiamato al capezzale di un malato grave, sintetizzò così qualche mese dopo: abbiamo rischiato di non pagare gli stipendi e le pensioni. Sarebbe interessante calcolare, in un esercizio controfattuale fortunatamente solo teorico, cosa sarebbe accaduto al nostro Paese qualora il costo medio delle emissioni, spalmato sugli oltre 450 miliardi di titoli da emettere in media ogni anno, fosse lievitato pericolosamente sospinto da uno spread a oltre 500 punti base.
Dino Pesole, Il Sole 24 Ore 28/2/2015