Vittorio Carlini, Il Sole 24 Ore 28/2/2015, 28 febbraio 2015
STESSO DIFFERENZIALE MA CON PIÙ DEBITO E MENO PIL
Il numero è lo stesso: 100 punti base. Tutto il resto è un altro mondo. Si parla, ovviamente, dello spread BTp-Bund. Il differenziale ieri, durante le contrattazioni, è sceso sotto la soglia psicologica dell’1%. Un valore che coincide con quello definito dal mercato il 12 maggio 2010.
L’uguaglianza tuttavia si ferma qui. Il semplice dato racconta sempre solo una piccola parte della storia. La quale, per essere compresa, deve arricchirsi di altri contenuti. Di altre variabili.
Il rendimento dei bond, con cui si calcola lo spread, è infatti il risultato di diversi fattori: dalla crescita economica alle attese d’inflazione fino al deficit e al rating sovrano. Ebbene, sul fronte della congiuntura l’Italia del 2010 è ben diversa da quella di oggi.
A detta di Datastream, nel secondo trimestre di quell’anno, il Pil sale dello 0,8% rispetto ai primi tre mesi (+1,9% a livello tendenziale). Sull’intero esercizio, poi, il Prodotto interno lordo aumenta dell’1,7%. Certo, deve ricordarsi che nel 2009 c’era stato il tracollo (-5,5%). Inoltre l’incremento è inserito in un Pil globale che sale ben di più (+4,4%). Ciò detto, le attuali stime di crescita del Belpaese sul 2015, nonostante il segnale incoraggiante pubblicato ieri, sono limitate: si fermano allo 0,5%.
Ma non è solo la congiuntura. Lo stesso rating è differente: S&P’s allora indicava la «A+». Oggi il suo voto è «BBB-». Il taglio del merito di credito non stupisce: tra le due date c’è di mezzo la dura crisi del debito sovrano di Eurolandia. E però, anche in questo caso, la diversità è innegabile.
Così come non può negarsi, oltre all’attuale maggiore debito, la differenza sull’inflazione. Nel maggio 2010 si assesta ad un tasso annualizzato dell’1,6%. Quella prevista sull’esercizio in corso è in rosso (deflazione) dello 0,2%.
Insomma, le variabili made in Italy sono distanti anni luce tra loro. Perchè, allora, lo spread è identico? In primis deve ricordarsi che il differenziale è, per l’appunto, una differenza. Così, seppure il saldo è uguale, i rendimenti possono essere diversi. Ebbene, questo è proprio il caso in oggetto.
Il 15 maggio 2010 il tasso del BTp (3,94%) è molto più in alto dell’attuale(1,35%). Per non parlare, poi, di quello del Bund: il 2,94% a fronte dello 0,32% di ieri.
Si tratta di valori che, seppure non spiegano completamente i vari rendimenti, giustificano i maggiori tassi del 2010. Le prospettive (andate in seguito deluse) di una migliore congiuntura e di prezzi al consumo più alti hanno spinto all’insù lo yield. Analogamente al maggiore deficit complessivo (il 10% nel biennio 2009-2010) che ha indotto il mercato a chiedere un maggiore premio al rischio.
Ciò detto viene da domandarsi: il valore dello spread nel 2010 era più «giustificabile» rispetto all’attuale? La risposta è che le due realtà non sono confrontabili. I mercati finanziari, soprattutto quelli del Vecchio continente dopo il rischio del crack dell’euro, sono entrati in una «nuova normalità». Un mondo dove l’agire della Banca centrale è diventato, alla stregua degli altri fattori, una delle variabili dell’equazione per prezzare il rischio sovrano.
«La Bce, e la sua politica monetaria - sottolinea Sergio Capaldi di Intesa Sanpaolo -, hanno in un certo senso acquisito lo “status” di market mover fondamentale». Analogamente al maggiore «grado di governance che, man mano, si è sviluppato all’interno dell’unione monetaria».
Sono soprattutto questi elementi che giustificano il rendimento così basso del BTp. È scontato dire che, senza il Qe voluto da Mario Draghi, il tasso del titolo starebbe più su.
«A ben vedere - aggiunge Angelo Drusiani di Albertini Syz - non è solamente l’effetto tecnico dell’allentamento quantitativo». Vale a dire? «Rileva anche il pressing condotto dalla Bce a sostegno delle riforme». Giuste o sbagliate che siano, «averle portate a termine è valutato positivamente dagli investitori».
A fronte di ciò, per individuare il possibile rendimento senza l’effetto-Bce può, ad esempio, guardarsi al T-Bond. Il titolo statunitense, ieri, vantava un tasso superiore al 2%. Cioè, lo 0,6% in più di quello italiano. Un paradosso insostenibile al netto dell’Eurotower.
Già, l’Eurotower. Ma la sua «nuova normalità» è una condizione di lungo periodo oppure contingente? «Da una parte - risponde Marco Valli, Chief Eurozone Economist di UniCredit -, ci sono elementi strutturali che giocano a favore dei tassi bassi. Ad esempio: l’invecchiamento della popolazione; oppure la minore propensione all’indebitamento degli attori economici». Dall’altra, però, fattori più ciclici, come l’eventuale ripresa della congiuntura, «potranno ri-spingere i rendimenti verso l’alto. Seppure, nel medio periodo, non si raggiungerà il livello del 2010».
Vittorio Carlini, Il Sole 24 Ore 28/2/2015