Costanza Rizzacasa d’Orsogna, Corriere della Sera 28/2/2015, 28 febbraio 2015
UN DOLLARO, UN MINUTO. ABBRACCI IN VENDITA
Un dollaro, 1 minuto. Abbracci in vendita
Un minuto costa un dollaro, un’ora fino a 80. Si chiama Cuddle Up To Me, è aperto da tre mesi a Portland, Oregon, e ha 10 mila clienti a settimana. È il primo negozio degli abbracci. Idea che sta prendendo piede in tutto il mondo, dopo il successo dei flash mob dedicati e della app per abbracciarsi con perfetti sconosciuti Cuddlr. Il servizio è rigorosamente non sessuale, con regole precise sulle parti del corpo che né l’abbracciato né l’abbracciatore possono toccare. C’è l’architetto, la cronista, il ceo che arriva col pigiama ben piegato nella ventiquattrore e si ferma 15 minuti per dieci volte al mese. Così a San Valentino si è tenuta la prima convention planetaria, Cuddle Con, dove i professionisti dell’abbraccio hanno insegnato a coccolare e farsi coccolare, a fare le lotte coi cuscini. «La testa si poggia qui, vedete? La mano destra qui». Come imparare di nuovo a camminare. Perché quel dollaro al minuto è il nostro bisogno disperato di contatto. Di noi che non sappiamo più dirci quanto ci vogliamo bene, che rinunciamo a vivere e rischiare per la sicurezza delle distanze online, l’autovalidazione di un retweet. Vige la dittatura del sarcasmo. Abbracciami forte, forte, gridava la Vanoni quando gridarlo non era stucchevole, quando a leggere d’amore ci si commuoveva, invece di dispensare sprezzatura. Siamo affamati di calore umano, ci tocca l’emoji del porcellino. Lo chiamano LOL-core. Perché disfunzionali come siamo oggi l’affetto lo studiamo all’università, dissezionandolo, e ci è più facile implorare «Légami» che «Fammi una carezza». Mentre come il bambino di Jerry Maguire vorremmo solo spalancare le braccia ed esclamare «Give me a hug!». Abbracciami, stupido.