Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  febbraio 28 Sabato calendario

ARTICOLI SUL QATAR DAI GIORNALI DI SABATO 28 FEBBRAIO 2015


PAOLA DEZZA, IL SOLE 24 ORE –
Nella Milano da bere degli anni ’80, quando dominavano l’edilizia popolare e lo sviluppo dei quartieri-satellite, erano le grandi famiglie del mattone, da Ligresti a Berlusconi, a pianificare le tendenze urbanistiche della metropoli lombarda. Poi la città si è evoluta insieme ai grandi eventi del made in Italy, Oggi Milano vive una nuova fase di sviluppo: grattacieli e quartieri di lusso.
Da oggi chi passeggerà in piazza Gae Aulenti a Milano, andrà alla Feltrinelli o negli shop Sephora, Replay o Colmar di Porta Nuova o ancora nei prossimi sei mesi seguirà la crescita del campo di grano che i cittadini semineranno proprio questo pomeriggio tra i grattacieli si troverà in uno spazio del Qatar.
È stata annunciata ieri l’operazione, chiusa nei giorni scorsi dopo sei mesi di trattative, che vede il fondo sovrano Qia, Qatar investment authority, diventare proprietario del 100% del complesso di Porta Nuova, quel progetto avviato e portato a termine da Hines Italia Sgr e che ha riqualificato e ricucito un’area semicentrale che fino al 2005 ha rappresentato una profonda ferita per Milano.
Si tratta di un “big deal” importante per la città e per l’Italia, tornata negli ultimi mesi nel radar dei grandi investitori internazionali, che cercano opportunità interessanti - e il nostro Paese ne offre vista la revisione delle quotazioni dall’inizio della crisi immobiliare a oggi - , con ritorni certi e meglio ancora se in grado di dare sicurezza sul mantenimento del valore del tempo. Il complesso di Porta Nuova, come i trophy asset del centro di Milano, rappresentano il target perfetto per fondi sovrani e investitori internazionali che in questo periodo nel nostro Paese iniziano a cercare soluzioni “core” quindi a reddito e non solo opportunistiche. Unico neo è che a Porta Nuova non tutto è ancora affittato, come il Diamantone, tuttora vuoto dopo le trattative fallite con Ubs. Solo qualche mese fa, invece, è stato venduto ai coreani di Samsung l’adiacente Diamantino per 90 milioni di euro circa, mentre Google ha scelto di trasferirsi qui in uffici in affitto.
Il Qatar ha fatto il suo ingresso a Porta Nuova nel maggio del 2013 con una quota del 40% e nelle ultime ore ha calato l’asso pigliatutto rilevando il restante 60% dai tre fondi proprietari. Le quote sono state quindi acquistate in misura diversa da Unipol, Hines, Galotti, Mhrec-Monte Paschi Hines real estate crescita, Hicof, TIAA, il fondo pensione degli insegnanti newyorkesi e Coima.
L’area vale sul mercato circa due miliardi di euro, a fronte di un investimento iniziale dei primi soci intorno ai 300 milioni di euro. Secondo indiscrezioni il Qatar, che ha comperato quasi certamente a sconto, avrebbe speso per l’acquisizione una cifracompresa tra i 500 e i 700 milioni di euro di equity, il resto è debito. L’operazione è stata definita in modo tale che Hines continui a gestire i fondi immobiliari proprietari di Porta Nuova - veicoli che ormai sono a reddito ormai - e d’accordo con il Qatar valuterà l’ingresso di altri fondi sovrani con quote di minoranza.
L’amministratore delegato di Hines Italia Sgr, Manfredi Catella, ieri decisamente disteso e soddisfatto al momento dell’annuncio, ha quantificato il rendimento dell’intera operazione in circa il 30% rispetto a quanto investito inizialmente. «Nessun investitore ha guadagnato meno del 30%- ha detto Catella -, un valore elevato in un momento di mercato come quello vissuto negli ultimi anni».
Il progetto Porta Nuova comprende 30 edifici pre-certificati e certificati Leed Gold progettati da alcuni dei più importanti studi di architettura al mondo, tra cui Pelli Clark Pelli Architects, Boeri Studio, Cino Zucchi, Antonio Citterio & Patricia Viel and Partners, M2P Associati, Caputo Partnership. E due degli edifici hanno guadagnato riconoscimenti internazionali.
A dimostrazione dei ritorni dell’investimento, secondo i dati di Hines, qui i canoni di locazione sono saliti del 9% mentre nel centro di Milano sono scesi del 20% dal 2012 al 2015.
Capitolo più complesso quello delle residenze. «Per quanto riguarda la parte abitativa - dice Catella - c’è stato un grande rallentamento delle vendite l’anno scorso, ma da settembre è iniziata la ripresa con una vendita mensile media di 5-6 unità. Meglio ancora è andato l’edificio del Bosco verticale anche grazie al premio internazionale ricevuto. Oggi il 65% è collocato». Secondo Catella l’Italia dovrebbe essere il secondo Paese europeo in cui il Qatar ha investito consistenti somme nell’immobiliare, dopo il Regno Unito (dove peraltro ha appena acquistato Songbird, la società proprietaria di Canary Wharf).
In Italia il Qatar, in diverse declinazioni tra fondo sovrano e Katara hospitality e in misura minore attraverso società che fanno capo all’emiro e ad altri membri del Governo degli Emirati, detiene un portafoglio che potrebbe valere secondo le ultime valutazioni ben oltre tre miliardi di euro e che è composto dagli hotel di lusso e dallo yacht club della Costa Smeralda, il Four Seasons di Firenze, un palazzo in Piazza di Spagna a Roma, sempre a Roma il Grand Hotel St. Regis e uffici a Milano. In particolare proprio tramite Hines ha acquistato l’edificio che ospita gli uffici del Credit Suisse a Milano. Nell’operazioni sono stati coinvolti dalla parte di Qatar Holding, braccio operativo di Qia, Sherman & Sterling e lo studio Tremonti Vitali Romagnoli Piccardi e Associati, mentre Hines Italia Sgr è stata assistita da Gianni, Origoni, Grippo, Cappelli & Partners e dallo Studio Maisto.
Negli ultimi mesi è cambiato anche l’asset di Hines Italia Sgr, in cui Manfredi Catella ha aumentato la partecipazione dal 22,87 al 28,87%, mentre Francesco Micheli sale dal 5% all’8 % e Hines Italia Capital è scesa dal 72,13% al 63,13 per cento.
Catella tiene anche a sottolineare che «in Italia abbiamo investito per conto di investitori terzi circa un miliardo di euro nell’ultimo anno». Nelle prossime settimane si vedrà se a questa cifra si potrà aggiungere il valore dell’ex sede di Unicredit in piazza Cordusio a Milano, alla cui gara di vendita Hines partecipa con il fondo sovrano di Abu Dhabi. Ma forse in questo caso per mettere le mani sul trophy asset dovrà alzare la posta.

*****

CORINNA DE CESARE, CORRIERE DELLA SERA -
«Il mondo si divide tra quelli che sono italiani e quelli che vorrebbero essere italiani». Lo sceicco Suhami al Thani, 29 anni, membro della famiglia reale del Qatar e secondo cugino dell’attuale emiro, ha in passato parlato così dell’Italia, a proposito dell’investimento della Qatar Holding che nel 2013 aveva acquisito una partecipazione del 40% di Porta Nuova. Un investimento che ora è salito al 100% e che consegna agli emiri l’intero quartiere di Milano, noto, a livello internazionale per il grande progetto di riqualificazione e per quel Bosco Verticale di Boeri, giudicato l’edificio alto più bello del mondo.
Milano, Olbia, Firenze, Porto Cervo, gli investimenti del Qatar in Italia spaziano dall’immobiliare alle banche fino ad arrivare alla moda in una ragnatela di intrecci che portano sempre allo stesso cognome: Al Thani, la famiglia reale di Doha. E così il Qatar, che con i suoi undici mila chilometri quadrati di superficie è poco più grande della Basilicata, si è dedicata negli ultimi anni a uno shopping compulsivo molto «italian style»: nel 2011 gli Al Thani hanno acquisito l’hotel Gallia a Milano, nel 2012 il fondo sovrano ha praticamente rilevato la Costa Smeralda. Nello stesso anno, attraverso la «Mayhoola for investment», i reali del Qatar hanno comprato la maison Valentino per 700 milioni di euro. E più di recente la stessa QIA, che ha comprato Porta Nuova, è entrata con un investimento di 165 milioni nel capitale di Inalca, la società del gruppo Cremonini, insieme al Fondo Strategico italiano.
Del resto i soldi non mancano alla minuscola monarchia del Golfo, ricchissima di gas naturale, accusata in passato dal Financial Times di supportare i gruppi islamici nei Paesi arabi. Doha ha sempre negato e continua a «spendersi» molto, val la pena di dire, per gli immobili di pregio, compresi i più prestigiosi alberghi di Firenze: acquisiti il Four Season, all’interno del Palazzo della Gherardesca e lo storico Grand Hotel Baglioni. A Milano, il Qatar Investment Authority si è concentrato sulle sedi delle banche come il palazzo di via Santa Margherita che ospita gli uffici di Credit Suisse. Oltre ad aver partecipato a un fondo costruito ad hoc per valorizzare un portafoglio di filiali di Deutsche Bank. Ora è la volta di Porta Nuova: Qia ha rilevato di fatto le quote degli altri soci fra cui Unipol, Hines, il fondo pensioni Ttiaa Cref, Coima (famiglia Catella) assistita da Shearman & Sterling, dallo studio Tremonti e dall’advisor Citi.
L’entità dell’operazione non è stata resa nota ma il complesso di grattacieli, ponti e spazi verdi viene stimato con un valore di mercato di circa due miliardi di euro. Per arrivare alla firma (siglata questa settimana) ci sono voluti sei-sette mesi e a quanto pare il Qatar intende mantenere la maggioranza per un lungo periodo, con un orizzonte temporale che potrebbe arrivare fino al 2030. Che dietro questa grande operazione ci sia la volontà dell’emiro 34enne Tamim bin Hamad Al Thani o la spinta di sua madre, Sheikha Mozah, più volte avvistata alla prima della Scala e grande ispiratrice dei più recenti cambiamenti in Qatar, non è dato sapere. Quel che è certo è che anche fuori dai confini italiani gli emiri non si sono mai fatti mancare niente, con investimenti che vanno dai magazzini Harrods fino alla Borsa di Londra, dal Banco Santander a Barclays, fino ad arrivare al pallone con il Paris Saint-Germain. In attesa del Campionato mondiale di calcio che si terrà nel 2022 e di cui si è discusso, di recente, per quello che potrebbe diventare il primo mondiale invernale. Dove? In Qatar.
Corinna De Cesare

*****

STEFANO MONTEFIORI, CORRIERE DELLA SERA -
Nei giorni in cui in Francia si intensificano le polemiche per la presenza sempre più forte del fondo sovrano arabo a Parigi e nel resto del Paese, anche Milano entra nel club delle metropoli europee dove il Qatar Investment Authority è proprietario di edifici importanti, non solo simbolicamente. A Londra la famiglia al-Thani ha appena comprato, alla fine di gennaio, il Canary Wharf tra il Tamigi e la City, un gruppo di grattacieli sede di banche e istituzioni finanziarie. Nella capitale britannica il Qatar possiede anche alcuni immobili nel ricco quartiere di Mayfair, i grandi magazzini Harrods e la torre più alta d’Europa, lo Shard disegnato da Renzo Piano. A Parigi il protagonismo degli emiri del Qatar è cominciato con la presidenza Sarkozy, ed è proseguito sotto Hollande. Gli al-Thani controllano la squadra di calcio del Paris Saint-Germain e hanno comprato Zlatan Ibrahimovic, la loro mossa più appariscente in termine di immagine, ma si sono dedicati soprattutto al mattone: sugli Champs Elysées sono proprietari dello showroom Citroën, e del palazzo dell’ex Virgin Megastore che diventerà presto un nuovo grande magazzino delle Galeries Lafayette. E poi gli alberghi Royal Monceau e Lambert a Parigi e il Carlton a Cannes, e partecipazioni in aziende strategiche per la Francia: Total (3%), Veolia (5%), Lagardère (12%), Vivendi (5%), Vinci (7%), Lvmh (1%). La Francia ha incoraggiato gli investimenti con sgravi fiscali — concessi in passato anche a Kuwait e Arabia Saudita — che secondo la Reuters costano al Tesoro circa 150 milioni l’anno.

*****
ELISABETTA ANDREIS, CORRIERE DELLA SERA -
L’emiro del Qatar – tramite il fondo sovrano Qatar investment authority – si è comprato i grattacieli di Milano, in una grande operazione finanziaria e simbolica. E la città, sempre più internazionale, se ne dice orgogliosa. «Milano ha ormai un importante brand internazionale, questa operazione rafforza il posizionamento tra le capitali mondiali» spiega il sindaco Giuliano Pisapia, anch’egli colto di sorpresa dalla notizia rimasta, fino a ieri, coperta dal massimo riserbo.
«Oggi siamo più aperti al mondo — dice il presidente della Camera di commercio Carlo Sangalli —. Per smuovere l’economia dal flusso di capitali esteri bisogna partire». Milano può e deve fare da apripista, «attira investitori stranieri che credono nelle potenzialità del suo sviluppo» aggiunge Valeria Bottelli, presidente dell’Ordine degli architetti. Se Porta Nuova «è il più vasto progetto di riqualificazione urbana dentro a un centro storico europeo», quella di ieri è la più grande operazione mai vista in Italia nel settore immobiliare.
Il fondo sovrano del Qatar è passato dal 40 al 100 per cento dopo sei mesi di trattative in esclusiva con gli azionisti uscenti (Hines Italia e Unipol in prima linea) per un faraonico controvalore tra i due e i 2,5 miliardi di euro. E, in ottica di lungo periodo, si è vincolato all’area fino al 2030.
Venticinque edifici tra cui la torre che ospita gli uffici di Unicredit, le sedi di Google e Nike. E il Bosco Verticale, venduto al 65 per cento e vincitore dell’International Highrise Award. Uno dei suoi ideatori, Stefano Boeri, afferma: «Succede sempre più spesso che un fondo sovrano compri un pezzo di città. Uno scenario di questo tipo richiede attenzione, anche per le possibili conseguenze geopolitiche».
Hines Italia ora si concentra sull’ex sede Unicredit in piazza Cordusio, per cui ha avanzato un’offerta, la più alta pervenuta, con i fondi di Abu Dhabi e Singapore. Ma l’ad Manfredi Catella, irritato, chiede chiarezza: «Entro massimo due settimane Idea Fimit dica se vende o no». Per Palazzo Broggi in corsa anche Prelios, con London & regional properties.
Elisabetta Andreis

*****

PAOLA DEZZA, IL SOLE 24 ORE -
Oggi un vento di successo, di respiro internazionale, torna a soffiare su Milano. Grazie agli investimenti sul real estate, la città sta trovando quel riscatto che cercava da tempo. A risvegliare l’orgoglio non c’è solo l’Expo, ma il successo delle grandi operazioni immobiliari e urbanistiche che stanno cambiando sia lo skyline sia l’identità di aree che fino a pochi anni fa erano considerate depresse.
Dopo lo shopping di scarpe e vestiti nel Quadrilatero, ora a Milano si comprano palazzi, hotel, uffici, abitazioni e ville di lusso. Un pò come è già avvenuto a New York, Londra o Parigi: gli emiri arrivano, guardano, comprano. Milano ha rappresentato il primo investimento in Italia del fondo del Qatar: hanno cominciato con l’hotel Gallia nel 2006,, sono poi passati agli hotel della Costa Smeralda, agli uffici a Roma , per tornare ancora una volta a Milano.
Il recente ingresso dell’emiro del Qatar in Porta Nuova è l’epilogo di una storia di visioni, idee, investimenti per ricucire un’area degradata della città - i milanesi la ricordano ancora occupata per una buona trentina d’anni da parco divertimenti prima e campi rom poi - portando grattacieli, in parte anche osteggiati dalla cittadinanza, a svettare su una Milano da troppo tempo assopita. La città oggi è tutta un fermento, e anche all’Expo 2015, nonostante i ritardi e le notizie di cronaca su appalti e corruzione, va dato il suo merito.
Investimenti in grandi opere e infrastrutture hanno riportato i riflettori dove da tempo mancavano. E insieme a Porta Nuova va ricordato l’altro grande progetto milanese, quella Citylife in zona Fiera che è del 100% del gruppo Generali. La sfida è continuare su questa strada, la direzione del “rammendo delle città”, rubando le parole a Renzo Piano che spesso le ha pronunciate parlando di periferie.
Dobbiamo essere in grado di cogliere le sfide che il mondo connesso in modo globale ci pone, perchè anche nel mattone Milano compete con Londra, Parigi, Berlino e non più con Bologna e Firenze. E dobbiamo cercare di salvaguardare la nostra storia, visibile in ogni angolo delle nostre città anche grazie ai numerosi edifici d’epoca che costituiscono il patrimonio italiano, sposandola con il nuovo, con quanto il futuro ci chiede sotto il profilo di nuovi edifici. Architettura ed edilizia hanno raccolto la sfida, che deve però essere supportata dagli investimenti nelle infrastrutture. Capitolo dolente.

*****
VITTORIA PULEDDA, LA REPUBBLICA -
I grattacieli di Milano parleranno arabo. Il fondo del Qatar, il Qia, ha rilevato infatti il 60% del Progetto di Porta Nuova che ancora non possedeva, diventandone così l’unico proprietario. A vendere sono stati gli azionisti dei tre fondi immobiliari (tra cui Hines, Coima della famiglia Catella, Galotti, Mhrec, Hicof e Unipol) proprietari del Progetto che ha cambiato la linea d’orizzonte del centro di Milano e che comprende, tra l’altro, il quartier generale di Unicredit (con il grattacielo più alto d’Italia, considerando anche il pennacchio) ma anche il Bosco Verticale, torre residenziale vincitrice di un premio internazionale come edificio innovativo. La parte residenziale comprende complessivamente 380 unità abitative, aree pedonali, piste ciclabili e un parco di 90mila metri quadrati. Insomma, un intero quartiere, in cui troverà spazio anche un campo di grano per il periodo dell’Expo, cinque ettari coltivati tra grattacieli e immobili modernissimi (compresa la sede di Google).
Dal punto di vista «del progetto non cambia nulla — ha affermato Manfredi Catella, amministratore delegato di Hines sgr, che continuerà a gestire Porta Nuova, un progetto che vale complessivamente due miliardi (compreso il debito). Top secret quanto ha pagato il Qatar «È una cifra riservata, è sicuramente una transazione importante», spiega Catella, sottolineando che «si tratta di uno dei deal più importanti in Europa, sicuramente uno dei più importanti in Italia». Nessuno degli investitori — ha comunque aggiunto — ha guadagnato, meno del 30%. C’è chi, sul mercato, azzarda la cifra di un miliardo. Comunque, ha aggiunto Catella, «è possibile l’ingresso nel lungo termine di altri investitori istituzionali» accanto al Qatar.
L’emirato in particolare e i capitali arabi in generale hanno una vecchia passione per gli investimenti in Italia. Senza scomodare i libici della Lafico, che nel ‘76 presero una quota del 10% nella Fiat dell’Avvocato Agnelli (e poi una quota nella Juventus) è ancora in piedi l’investimento della Central Bank of Libya in Unicredit, con il 2,9%. E sempre nel colosso creditizio siede con una quota ben maggiore, il 6,5%, il fondo di Abu Dhabi, Aabar, che forte della sua partecipazione ha espresso anche il vice presidente della banca, Luca Cordero di Montezemolo. Che, non a caso, è presidente anche di Alitalia, controllata al 49% da Etihad, cioè dalla compagnia aerea degli Emirati Arabi Uniti.
Ma se numerosi sono i pacchetti in società quotate (da Eni a Finmeccanica), gli investitori arabi amano molto il made in Italy e il lusso. Proprio il Qatar ha comprato nel 2011 l’Hotel Gallia a Milano, ma anche gli hotel della Costa Smeralda dall’americano Tom Barrack e il Baglioni e il Four Seasons a Firenze. Meno glamour forse — ma non meno importante — la joint venture con il Fondo strategico italiano (Cassa depositi e prestiti) che attraverso la Iq Made in Italy ha investito nel food (Inalca, del gruppo Cremonini) o ancora l’acquisto della sede del Credit Suisse da Tishman e le agenzie Deutsche Bank in Italia. Tuttavia l’investimento forse più famoso del Qatar nel nostro paese è in Valentino, simbolo per antonomasia di eccellenza della moda e del lusso: un affare da 700 milioni di euro, realizzato nel 2012 dalla Mayhoola for Investment, società riconducibile allo sceicco Hamad bin Kahlifa al Thani (mentre in fase di Ipo il Qatar aveva preso una quota di Moncler).
Infine il Kuwait. Ancora una volta il Fondo strategico Italiano ha costituito con il Kuwait Investment Authority la Fsi investimenti spa, una società con risorse complessive pari a 2,185 miliardi in cui il Kia controlla il 23%.

*****

ORIANA LISO, LA REPUBBLICA -
Stefano Boeri è l’architetto che ha disegnato il premiatissimo Bosco verticale di Porta Nuova che diventa, come tutta la zona, proprietà del fondo sovrano del Qatar.
È una notizia positiva?
«È difficile non provare soddisfazione, perché questa è la conferma del fatto che Milano è una città che attrae investimenti, una città che riparte. Dall’altra parte, però, è difficile non provare un po’ di inquietudine».
Per cosa?
«Si tratta di un investimento di un governo straniero, non di una società privata: questo implica riflessioni geopolitiche importanti. È un peccato che oggi in Europa, visto che Porta Nuova non è l’unico acquisto del genere, non ci sia questa riflessione su investimenti certamente necessari, ma che avrebbero bisogno di un controllo maggiore, di clausole di trasparenza».
Teme che in nome del profitto si faccia meno attenzione alle regole?
«Senza cadere nel rischio autolesionista del protezionismo, che non ci possiamo permettere, penso che quando società o fondi stranieri acquistano asset strategici per un Paese (penso al settore energetico, o ai cinesi che acquistano il porto del Pireo) servirebbe maggior attenzione da parte dell’Europa».
Cosa vorrà dire per Milano avere un
governo arabo come “padrone di casa” di un pezzo?
«Vedo un grande paradosso, che è anche un segnale di schizofrenia di questa città. Vendiamo a uno stato islamico un pezzo del nuovo centro, ma non sappiamo dare un luogo di culto ai cittadini milanesi di fede islamica, né ai tantissimi di visitatori di fede musulmana attesi, fra poco, per Expo».
Si aprono le porte ai grandi investitori ma si chiudono agli altri, intende?
«Politica e finanza scorrono su binari lontanissimi: abbiamo un sistema finanziario che muove con sufficiente facilità grandi interessi, ma un sistema politico che non sa cogliere l’urgenza della domanda di un multiculturalismo ormai già in atto. Temo che gli effetti positivi di questo acquisto, che pure ci saranno, avranno pochissimi riflessi sulla vita delle migliaia di musulmani “comuni” che vivono a Milano».
Cosa dice a chi teme che questa “avanzata araba” non sia solo economica?
«Che sono certo che a Porta Nuova, adesso, non si vedranno più donne velate di prima: questa è una grande idiozia, basta vedere le zone di Londra o Parigi dove lo stesso fondo ha già fatto grossi investimenti. I soldi non hanno odore: a Porta Nuova continueranno a comprare italiani, arabi, russi e cinesi».

*****
GAD LERNER, LA REPUBBLICA –
La minuscola, desertica penisola del Qatar ha un numero di abitanti inferiore all’area metropolitana milanese ed è retta da un emirato semifeudale. Ma ormai, come direbbe Salvini, il Qatar è “padrone in casa nostra”. Sono le regole inappellabili della finanza che stravolge la geopolitica e che, da ieri, assegna alla petromonarchia della dinastia al-Thani l’intera proprietà dei nuovi grattacieli di Milano. Le torri d’acciaio di Porta Nuova sovrastano la Madonnina.
REGALANO ai milanesi l’orgoglio di una sky-line da metropoli del XXI secolo, ma da oggi la loro visione insinua anche il dubbio: ci toccherà un futuro da colonizzati?
Così la città che non è riuscita neppure ad allestire una moschea degna di questo nome in vista dell’Expo, a causa dei pregiudizi che tuttora la affliggono, si trova a fare i conti col potere sovrastante di una bolla finanziaria cresciuta ben più in fretta di quegli edifici avveniristici.
Perché il Qatar non è solo il ricchissimo staterello che può comprarsi i bocconi più prelibati dell’economia mondiale, e in sovrappiù squadre di calcio, case di moda, i quadri di Gauguin e Cézanne. Il Qatar è anche un emirato in cui vige un’interpretazione oscurantista della Sharia, la legge islamica, prodigo di finanziamenti ai Fratelli Musulmani, fin troppo attivo nella destabilizzazione del Medio Oriente e del Nordafrica che sta insanguinando l’intero bacino del Mediterraneo.
Chi ha concluso l’affare per conto del Fondo sovrano del Qatar è uno sceicco di 29 anni, Suhami al-Thani, secondo cugino dell’emiro, tifoso milanista e collezionista di Maserati. Si presenta come amante dello stile di vita occidentale e del gusto italiano, ma dietro a quel Fondo si cela anche un substrato politico impenetrabile nella sua ambiguità: un’economia incline a sbarazzarsi della democrazia, favorita dalla convinzione diffusa che i soldi non puzzano mai. E tanto meno puzzano di petrolio. Chissà cose ne penserebbe Gae Aulenti, cui è intitolata la nuova piazza milanese su cui affacciano la Torre dell’Unicredit e, subito dietro, il Bosco Verticale disegnato da Stefano Boeri. La storia di questo insediamento da 290 mila metri quadri nel pieno centro storico di Milano, comporta certo un omaggio al talento di un’architettura contemporanea, capace però di esprimersi solo all’insegna dell’edilizia di lusso. Ma è anche la storia ingloriosa del declino degli immobi-liaristi milanesi che, con la cementificazione e il gigantismo, si sono arricchiti per decenni prima di finire vittime delle loro stesse malversazioni: i lavori di Porta Nuova furono avviati dalla famiglia Ligresti, cui era associato lo stesso Manfredi Catella che ieri ha realizzato il colpaccio della vendita agli arabi. Catella (e non solo lui) ne esce con una ricca plusvalenza. Si dice che parte di questa liquidità sia destinata a un nuovo investimento nel Lido di Venezia. Siamo sicuri che ne beneficerà il sistema economico italiano?
Di certo Porta Nuova qatariota diviene così il simbolo di una parabola discendente della classe imprenditoriale ambrosiana, ormai incapace di creare imprese durature. Accentua un impulso alla finanziarizzazione dell’economia che ha già ridisegnato il tessuto urbano milanese in pericolosi compartimenti stagni: da una parte nuovi insediamenti destinati ai consumi di lusso; dall’altra una metropoli che vive il rapido degrado delle sue periferie, dove i poveri si fanno la guerra, smettono di pagare l’affitto, e il numero delle case popolari inagibili conosce un drammatico incremento. Due Milano ormai completamente separate, incomunicanti. Con i loro arabi di serie A e i loro arabi di serie B, proprio come avviene da sempre sulla sponda sud del Mediterraneo.
A sollevare questi argomenti, fino a ieri, ci si beccava l’accusa di provincialismo: ma come, disprezzi la ritrovata capacità italiana di attrarre investimenti? Non ti fa piacere che succeda a Milano quel che fino a ieri succedeva solo a Londra e a Parigi? Perché dovrebbe dispiacerci se il flusso mondiale della ricchezza, nella sua corrente impetuosa, lambisce anche la nostra penisola che rischiava di rimanerne completamente tagliata fuori?
Solo che oggi il fenomeno ineluttabile della globalizzazione si intreccia con equilibri geopolitici resi fragili dalla guerra. Nel dramma provocato dall’espansione del sedicente Califfato, lo sappiamo bene, le petromonarchie del Golfo sono divenute al tempo stesso nostri infidi alleati, restando apprendisti stregoni. Il predominio da esse conseguito nei gangli della finanza mondiale le rendono protagoniste imprescindibili; ma la loro natura antidemocratica, nonché la loro strategia di burattinai di un islam oscurantista, ne accrescono la pericolosità.
La politica estera del governo italiano, di fronte a operazioni sul nostro patrimonio di tale entità, non può limitarsi a un semplice “benvenuti”. Quando vendi un pezzo di territorio, in gioco non è solo un’operazione finanziaria.
Guardando il filmato diffuso ieri dall’Is sulla distruzione del patrimonio artistico nel museo di Mosul, non ho potuto fare a meno di pensare ai quadri di Gauguin e Cézanne acquistati per centinaia di milioni di dollari dalla famiglia al-Thani e destinati al nuovo museo di Doha, la capitale del Qatar. Nessuno può contestarne la vendita, ma saranno davvero al sicuro, laggiù nel deserto, quelle tele raffiguranti donne polinesiane e giocatori di carte che suggellano un apice dell’arte europea?
Il nostro destino futuro contempla senza dubbio l’intreccio finanziario e la contaminazione reciproca. Che il quartiere del lusso ambrosiano, oltreché cosmopolita diventi anche in parte straniero, sta nel percorso di un’evoluzione storica inarrestabile. Ma Milano ritroverà fiducia in se stessa non certo attraverso il colpaccio di un finanziere-immobiliarista, già socio degli americani, che vende tutto agli emiri. Bensì quando saprà trasformare questa ricchezza in imprese capaci di unire il profitto a uno sviluppo equilibrato. Come bene o male riusciva alla sua borghesia quand’era meno chiusa in se stessa.

*****

GIANNI BARBACETTO, IL FATTO QUOTIDIANO -
Là dove c’era l’erba, ora c’è una città. E dove comandavano Salvatore Ligresti e Bruno De Mico, ora comanda il Qatar. È il quartiere più innovativo di Milano: Porta Nuova. C’è il grattacielo più alto d’Italia (per ora), quello dell’Unicredit, con il pennacchione disegnato da Cesar Pelli e la piazza Gae Aulenti diventata un nuovo punto d’incontro dei milanesi, tra il modaiolo corso Como e l’ex popolare quartiere Isola. C’è il “Bosco verticale” progettato da Stefano Boeri. C’è il “Diamante” di Lee Polisano, con la punta che di notte cambia colore e i “Diamantini” attorno. C’è la “Zigghurat” di William McDonough. Ci sono le Torri Varesine e le Ville di Porta Nuova. In tutto, 25 edifici.
Dopo sei mesi di trattative, ieri Manfredi Catella, amministratore delegato di Hines Italia Sgr, ha dato l’annuncio che il 100 per cento del progetto immobiliare Porta Nuova è stato comprato dal fondo sovrano del Qatar, la Qatar Investment Authority (Qia) guidata dallo sceicco Hamad bin Jassim bin Jaber Al Thani, primo ministro dell’emirato.
Qia aveva già acquisito il 40 per cento di Porta Nuova nel maggio 2013. Ora ha tutto. Ha rilevato il restante 60 per cento dagli altri soci, fra cui Unipol, Hines, il fondo pensioni Ttiaa Cref e Coima della famiglia Catella. “È una delle transazioni più importanti degli ultimi tempi”, ha detto Catella, “adesso il Qatar è il nuovo padrone di casa”. Quanto ha pagato? “È una cifra riservata”, ha spiegato Catella, “è sicuramente una transazione importante, si tratta di uno dei deal più importanti in Europa e sicuramente uno dei più importanti in Italia”.
Il valore di mercato degli immobili venduti è attorno ai 2 miliardi di euro, anche se non si vedono file di acquirenti accapigliarsi per ottenere un appartamento nei grattacieli della zona. Catella e Unipol, che hanno venduto, possono dunque tirare un bel sospiro di sollievo: da oggi non è più un problema loro trovare gli acquirenti disposti a sborsare cifre davvero consistenti per andare ad abitare o a lavorare a Porta Nuova, che resta ancor oggi un’incompiuta: il grande parco promesso, di 100 mila metri quadri, per esempio, è ancora soltanto uno sterrato fangoso. Tranquilli: da oggi il rientro degli investimenti fatti è un problema del Qatar. Investitore “a lungo termine”, ha annunciato l’amministratore delegato di Hines Italia, “con orizzonte al 2030”.
Un sospiro di sollievo Catella lo aveva tirato già nel luglio 2014, quando aveva trovato un pool di banche (Bnp Paribas e poi Unicredit, Banca Imi, Societè Generale, Bank of America Merrill Lynch) disposto a rifinanziare una parte dell’operazione con 450 milioni, riducendo al 55 per cento l’indebitamento del fondo Porta Nuova Garibaldi. Ora, con la vendita, il problema è risolto del tutto. Ieri Catella ha comunicato, soddisfatto, che “gli investitori in Porta Nuova hanno guadagnato almeno il 30 per cento” di quanto investito.
Lunghissima storia, quella dell’operazione immobiliare Porta Nuova. Comincia almeno nel 1988, quando scoppia lo scandalo Codemi, sostanzioso anticipo di Tangentopoli: i magistrati della procura di Milano (tra loro c’era anche Piercamillo Davigo) scoprono nel computer dell’architetto Bruno De Mico – che aveva già costruito sull’area i primi due grattacieli, a ridosso della stazione di Porta Garibaldi – la contabilità delle tangenti ai politici milanesi. C’erano socialisti, democristiani, comunisti. Se la cavarono quasi tutti senza gravi danni e De Mico, che indossò gli abiti del concusso (“Senza la stecca ai politici non si lavora”), negli anni seguenti uscì di scena. Dopo aver venduto i suoi due grattacieli (alle Fs), fece cassa vendendo anche le preziosissime aree che aveva in zona, sulle quali un tempo sorgeva il vecchio Luna Park delle Varesine e ora svetta il “Diamante”. Resiste più a lungo Ligresti, che si mette in compagnia di Hines: don Salvatore considerava Manfredi Catella il suo figlioccio. Poi, quando inizia il suo declino, si è sentito come un padre tradito e, dopo il fallimento del suo impero, quel che gli era restato in Porta Nuova era passato a Unipol, insieme con Fonsai.
Ora, dopo decenni di intrecci, di affari, di scandali e di tangenti, sul progetto Porta Nuova è stata piantata la bandiera del Qatar.

*****

DIEGO MOTTA, AVVENIRE -
Una strategia pianificata, di lungo periodo e dunque tutt’altro che speculativa. La Qatar Holding ha conquistato il 100% del progetto Porta Nuova realizzato nella città di Milano. È un’operazione-simbolo, perché consente al fondo sovrano del Qatar di acquisire il controllo dei grattacieli del capoluogo lombardo, a due mesi dall’Expo. Non è la prima volta, visto che gli emiri hanno già il controllo di Canary Wharf, quartiere finanziario di Londra, e della nostra Costa Smeralda. Soddisfatti gli investitori che hanno messo soldi all’inizio del piano e che sono usciti dalla partita con rendimenti superiori al 30%.
La Qatar Investment Authority, che controlla Qatar Holding, aveva acquisito a maggio del 2013 una partecipazione del 40% nei fondi di investimento proprietari del progetto. A distanza di 18 mesi (sempre attraverso la Qatar Holding) ha dunque completato l’investimento rilevando il 60% dagli altri soci tra cui Unipol, Hines, il fondo pensioni Ttiaa Cref, Coima (famiglia Catella), Galotti, i fondi di diritto italiano Mhrec e Hicof. Porta Nuova è un asset strategico per Milano, con un valore di mercato che supera i 2 miliardi di euro e ha un appeal oggi addirittura superiore al centro storico, quadrilatero della moda compreso. Il progetto sta trasformando la città, creando un nuovo quartiere nel cuore della metropoli ambrosiana. «Il fondo sovrano del Qatar non ha obiettivi speculativi – assicura una fonte – e può essere il veicolo giusto per attrarre ulteriori e nuovi investitori, con un orizzonte temporale importante, visto che parliamo del 2030». Uno dei protagonisti dell’accordo, Manfredi Catella, amministratore Delegato di Hines Italia Sgr, che continuerà a gestire il patrimonio immobiliare controllato da fondo del Qatar, ha spiegato che «l’acquisizione rappresenta un segnale estremamente positivo per l’Italia. Per Porta Nuova e i suoi promotori iniziali, si tratta di un risultato straordinario, a dimostrazione della qualità di uno dei più grandi sviluppi urbani polifunzionali d’Europa».
La conquista araba dei grattacieli di Milano non è stata l’unica notizia di giornata sul fronte immobiliare. Ieri è arrivata anche a conclusione la vendita del complesso di Porta Vittoria: la famiglia Coppola ha accettato l’offerta di 320 milioni di euro da parte di Prelios, che permetterà a Danilo Coppola di ricavare le risorse per onorare l’ultima parte (circa 30 milioni) di un maxi-accordo formalizzato nel 2010 con l’ Agenzia delle entrate.

*****

D.FAS, AVVENIRE -
Porta Nuova è uno dei più grandi progetti di riqualificazione urbanistica d’Europa: con i suoi venticinque nuovi edifici (di cui 8 grattacieli) nelle aree comprese tra i quartieri Garibaldi, Isola e Stazione Centrale, ha ridisegnato lo ’skyline’ di Milano. Lì dove fino a pochi anni fa c’erano solo botteghe artigiane, campi incolti e case di ringhiera oggi convivono residenze, uffici e aree commerciali: oltre 300mila metri quadrati progettati e disegnati da archistar di fama internazionale. Come la Torre Unicredit (progettato dall’argentino Cesar Pelli), considerata fra i 10 grattacieli più belli del mondo o la Torre Salaria, con i suoi 143 metri e 37 piani, l’edificio residenziale più alto d’Italia. All’ombra dei ’giganti’ ci sono anche 90mila metri quadrati di verde pubblico con percorsi pedonali e ciclabili. (D.Fas.)

*****

FILIPPO CONTICELLO, LA GAZZETTA DELLO SPORT -
C’è un pezzo di Milano che guarda in alto, ma con un nuovo «padrone»: ha cambiato proprietà il modernissimo quartiere Porta Nuova, quello dei grattacieli che esibisce orgoglioso la vetta dell’Unicredit Tower e i cespugli del Bosco Verticale. Ora appartiene a una delle sigle che sentiamo spesso da queste parti: «Qia», Qatar Investment Authority, il fondo sovrano del Qatar che aveva acquisito una partecipazione del 40% nei fondi di proprietari del progetto. E ieri, diciotto mesi dopo, l’investimento si è completato: rilevato il 60% dagli altri soci, tra cui Unipol. Così Manfredi Catella, il capo di Hines Italia Sgr e artefice della gigantesca riqualificazione dell’area iniziata nel 2005, ha potuto usare le parole a effetto per annunciare la fine dell’operazione: «Il Qatar ora è il padrone di casa». È servita pazienza per arrivare alla firma, sei-sette mesi di trattative riservate, e guai a chiedere quanto hanno speso gli arabi: «E una cifra riservata, si tratta di uno dei deal più importanti in Europa, sicuramente uno dei più grandi in Italia», ha aggiunto Catella. In ogni caso, un gran bell’affare: nessuno degli investitori ha guadagnato meno del 30%, indipendentemente dal momento in cui è entrato nel progetto il cui valore di mercato supera i due miliardi di euro.
Lassù Lo shopping viene da lontano ed è stato abbondante: gli hotel della Costa Smeralda, il Four Seasons di Firenze, passando per la maison Valentino e, sempre a Milano. il Gallia e gli uffici di Credit Suisse. La famiglia reale di Doha, gli Al Thani che hanno trasformato il Paris Saint Germain in una macchina da guerra europea, hanno fatto spese mirate pure in Italia. E adesso vogliono mantenere la maggioranza della «Immobiliare: Porta Nuova» per un periodo robusto: l’orizzonte si allungherebbe fino al 2030. E chi teme la potenza di fuoco degli emiri, viene tranquillizzato da Nicola Saldutti, responsabile della redazione economica del Corriere della Sera : «Il Qatar, come tutti i produttori di petrolio, deve diversificare gli investimenti. Da nostro fornitore di gas, ha avuto modo di conoscerci e adesso dimostra interesse per l’Italia: dire che il Paese è in svendita è un luogo comune, anzi questa è la dimostrazione che, quando si realizza un bel progetto, qualcosa che in questo caso ridisegna la concezione della città, arrivano gli investitori». Insomma, un calcione ai luoghi comuni sull’Italia, ma restano i sospetti sul Qatar sunnita che flirta con l’Isis e che poco si cura dei diritti umani: «Certo, ci sono aspetti di ambiguità nel Paese – aggiunge Saldutti –, ma questi investimenti possono essere l’occasione per negoziare finalmente con loro comportamenti più civili». Nell’attesa, Milano comincia ad apprezzare la vertigine: a oggi, è stato venduto il 65% degli appartamenti, lassù a Porta Nuova.

*****

FRANCESCO SPINI, LA STAMPA -
Milano, provincia di Doha. Il Qatar cala l’asso e in un colpo solo si compra i grattacieli di Porta Nuova. Dopo essere entrata con un 40% nel 2013, la Qatar Investment Authority - questo il nome del fondo sovrano del paese mediorientale - ha completato l’opera salendo al 100% del progetto che ha un valore di mercato che supera i 2 miliardi di euro, subentrando agli investitori che c’erano in precedenza: Hines, Unipol, il fondo pensioni degli insegnanti Usa Ttiaa Cref, Coima (famiglia Catella), Galotti, i fondi di diritto italiano Mhrec e Hicof.
Esulta Manfredi Catella, amministratore delegato di Hines Italia Sgr. «Oggi per noi è un giorno storico», dice. L’operazione costituisce «una delle transazioni immobiliari più importanti in Europa». Sul prezzo però non si esprime, in quanto è coperto da una clausola di riservatezza grossa così. Indiscrezioni raccontano che in occasione del primo investimento furono messi sul piatto circa 3-400 milioni, è presumibile che ne siano stati impegnati altri 5-600milioni, per un impegno totale che sfiorerebbe il miliardo. La trattativa è durata 6-7 mesi, nell’ultima settimana le firme finali.
Il progetto di Porta Nuova era partito nel 2007 con un investimento previsto di due miliardi di euro e una leva dell’80% su un’area di poco inferiore a 300 mila metri quadrati, alla cui riqualificazione hanno partecipato 30 architetti di 8 nazionalità diverse. Tra i palazzi più famosi il nuovo quartier generale di Unicredit, e per la parte residenziale il bosco verticale, e in generale 380 unità abitative divise in 13 edifici: il 60% è già stato collocato a un prezzo del 50% superiore alle zone circostanti. I soci di allora hanno deciso di uscire essendo ormai quasi completata l’area e Qia che aveva già acquistato il 40% è salita al 100%. «Gli investitori che oggi hanno venduto - spiega Catella - hanno ottenuto un rendimento complessivo di oltre il 30% con una media annua del 5-6%». Ottimo risultato in uno dei periodi più difficili per il settore immobiliare.
Per il Qatar si tratta di un ulteriore investimento nel settore immobiliare italiano dopo l’acquisto della Costa Smeralda da Tom Barrack, l’acquisto della sede di Credit Suisse da Tishman, le agenzie Deutsche Bank in Italia e alcuni investimenti nel settore alberghiero a Firenze. Anche dopo la cessione di Porta Nuova alla Qia per l’area non cambierà nulla dal punto di vista industriale. Hines continuerà a gestire i tre fondi in cui il progetto era stato diviso: Garibaldi, Varesine e Isola. La società della famiglia Catella, Coima, resta responsabile delle attività di property e project management. «L’acquisizione effettuata da Qia rappresenta un segnale estremamente positivo per l’Italia - sottolinea Catella - in termini di attrattività del Paese per i più importanti investitori istituzionali a livello internazionale».
La prossima sfida di Catella invece, si chiama Cordusio sulla cui vendita Idea Fimit Sgr ha preso tempo. L’ad di Hines Italia Sgr chiede «chiarezza» e una «procedura chiara e trasparente» sull’ex sede Unicredit: «Innanzitutto dicano se vogliono vendere o meno».

*****

LA STAMPA -
Dopo la Costa Smeralda e il quartiere finanziario londinese di Canary Wharf, il Qatar mette le mani su uno dei nuovi di simboli di Milano, l’area di Porta Nuova dove ha sede, tra l’altro, la Unicredit Tower. Ora Qatar Holding rileva il 60% dagli altri soci, tra cui Unipol, Hines, il fondo pensioni Ttiaa Cref, Coima (famiglia Catella), Galotti, i fondi Mhrec e Hicof. Il Qatar in Italia possiede, oltre agli hotel della Costa Smeralda, il Four Seasons di Firenze e a Milano il Gallia e gli uffici di Credit Suisse) intende mantenere la maggioranza per un lungo periodo.

*****

SANDRA RICCIO, LA STAMPA -
Più sfortune che affari. Il business dei nuovi grattacieli di Milano, delle residenze di superlusso e degli architetti di grido, ha fatto parecchie macerie. La colpa, certo, è della crisi, del crollo dei prezzi, della difficoltà a rifinanziare i debiti ma in mezzo a queste vicende ci sono anche bancarotte, sequestri e guai col Fisco. Il risultato è che un’intera schiera di palazzinari è stata spazzata via in meno di dieci anni: sulla scena milanese non ci sono più nomi storici come Ligresti, Lodigiani, Beltrami Gadola, Zunino e Coppola. Hanno superato la crisi, e si preparano a incassare, soltanto i “costruttori” con le spalle larghe, quelli che hanno avuto la possibilità di aspettare che il mercato cambiasse: banche, assicurazioni e grandi fondi immobiliari senza bisogno di finanziamenti.
Oggi Milano assomiglia di più a una città del Nord Europa. «L’interesse degli investitori esteri è tornato ai livelli pre-crisi» dice Mario Breglia, presidente di Scenari Immobiliari che per quest’anno si aspetta acquisti dagli stranieri per 8 miliardi, come nel 2007.
Molti progetti partiti con le più grandi ambizioni sono ancora da completare. A cominciare da CityLife, il progetto di riqualificazione dell’area della storica fiera di Milano del valore di oltre 2 miliardi. I lavori, partiti nel 2007 dovevano essere conclusi nel 2015, in tempo per l’Expo. Ora si parla del 2023. La crisi ha frenato il passo, delle tre torri previste originariamente, e che dovranno diventare il nuovo simbolo di Milano, soltanto una è stata completata. Il quartiere residenziale per abitazioni di lusso da 10 mila euro a metro quadro è ancora da completare. Inizialmente la gara per i lavori l’ha vinta il consorzio composto da Generali Properties, gruppo Ras, Ligresti con Progestim di Fondiaria Sai e Lamaro di Toti. Oggi CityLife è controllata da Generali e partecipata da Allianz.
Santa Giulia, è un altro nome che non brilla. Iniziata nel 2005 oggi è solo al 30% del progetto. Gli investimenti iniziali erano previsti in 2,8 miliardi. All’epoca era in mano a Risanamento di Luigi Zunino, protagonista insieme a Danilo Coppola e Giuseppe Statuto della calda estate 2005 delle scalate dei palazzinari. Poi la crisi e i guai dei terreni inquinati, il sequestro di parte dell’area e i costi della bonifica. Nel 2013 lo spezzettamento e l’interesse per 713 milioni di Idea Fimit.
Porta Vittoria doveva portare alla realizzazione di un quartiere completamente riqualificato ma si è trasformato in un incubo. Al di là delle lungaggini, sullo sfondo c’è la vicenda dell’immobiliarista Danilo Coppola con la bancarotta fraudolenta nel 2007 e i guai con il Fisco. La storia è tornata in primo piano proprio ieri con l’annuncio della cessione di Porta Vittoria a Prelios per 320 milioni, contro i 350-400 milioni di valore effettivo secondo gli addetti ai lavori.

****

GIULIANA DE VIVO, IL GIORNALE -
Il fondo sovrano del Qatar è proprietario di un pezzo di Milano da 2 miliardi di euro. A tanto si stima il valore di Porta Nuova, la parte più moderno della città, quella «verticale»: dall’inizio del progetto qui si sono innalzati il grattacielo UniCredit di César Pelli (e di fronte, ora in costruzione, la struttura bombata del Pavilion, spazio polifunzionale dell’istituto di credito), le due torri del Bosco Verticale dello studio Boeri e quelle delle residenze Varesine, il palazzo-Ziggurat di William McDonough diventato sede di Google Italia. In tutto 25 edifici, e poi i bar e le vetrine di piazza Gae Aulenti, dove la vita continua anche di sera, a uffici chiusi.
Un intero quartiere del capoluogo lombardo, e non uno qualunque: 290mila metri quadrati in tutto, oggetto di una riqualificazione cominciata nel 2006 che ha trasformato la città, ne ha ridisegnato lo skyline, ha cambiato le abitudini di chi la abita e persino dei turisti, che ora per orientarsi cercano con gli occhi il «pennone» dell’UniCredit Tower più della Madonnina in cima al Duomo. Strategico anche al di là di Expo2015: qualcuno lo ha paragonato a La Défense parigina, ( il più grande quartiere d’affari in Europa), ma qui siamo oltre, siamo nel centro e nella più grande area pedonale urbana di Milano.
Il passaggio di mani è frutto di una transazione avviata oltre sei mesi fa: Qatar Investment Autorithy, che da maggio 2013 aveva in portafoglio il 40per cento del progetto di sviluppo immobiliare, ha rilevato quote pari al 60per cento da altri soci, a cominciare da Hines Italia Sgr, Unipol, Coima (società immobiliare che fa capo alla famiglia di Manfredi Catella, ad di Hines Italia, ndr), il fondo pensioni Ttiaa Cref.
Quanto hanno ricevuto questi ultimi non è dato sapere: sul controvalore si mantiene riserbo, anche se Catella assicura che dalla transazione - definita «una delle più importanti degli ultimi tempi a livello europeo» - «nessuno degli investitori ha guadagnato meno del 30per cento». Con il 100% delle quote il fondo del Qatar diventa proprietario unico, ed è solo l’ultimo di una serie di recenti acquisti del Paperone del petrolio nel Belpaese: a Milano, a marzo del 2011 aveva già comprato l’hotel Gallia e la maison Valentino (assieme al marchio M Missoni, luglio 2012), a maggio del 2012 la Costa Smeralda in Sardegna.
L’Italia diventa il secondo Paese al mondo per presenza del fondo catarino dopo il Regno Unito, dove l’emiro comprò, tra le altre cose, i celebri magazzini Harrods da Al-Fayed. L’ad Catella ribadisce che per il futuro di Porta Nuova «non cambia nulla dal punto di vista del progetto», Coima continua a gestire property e project management.
Ma l’affare è senza precedenti, non paragonabile all’acquisto della Costa Smeralda, notano dall’Osservatorio immobiliare di Nomisma: «Parliamo di una zona strategica in una città rilevante del Paese, non di un’area relegata solo al comparto turistico». Un fatto «tanto unico nel panorama italiano che è difficile immaginare sia replicabile, proprio perché non si tratta di un singolo asset». Il giudizio pesa di più se si pensa che è formulato senza conoscere l’effettiva entità della transazione (qualcuno ipotizza che sullo sfondo ci sia un prezzo competitivo, più che un interesse strategico, viste anche certe voci sulle esigenze di liquidità di Hines Italia). E che i capitali arrivino da un Paese con posizioni non certo limpide sul fronte del terrorismo, dicono dal centro studi Nomisma, «è inevitabile: se si vuole allargare lo spettro non ci sono alternative ai fondi sovrani».

*****

GIAN MICALESSIN, IL GIORNALE -
Se pensate che la vendita al Qatar dei grattacieli simbolo e immagine della Milano del ventunesimo secolo sia un magnifico affare, date un’occhiata a questa «fatwa». Leggetela e scoprirete l’orrore. Scoprirete che dietro l’immagine di questo ricco e munifico emirato, sempre pronto a investire in Occidente, si nasconde anche un regno islamista fanatico, spietato e oscurantista. Ma attraverso questa «fatwa» l’emirato «nascosto» rivela il suo vero volto. Ovvero quello di ispiratore del fanatismo religioso perpetrato dello Stato Islamico. E di mandante ideologico del rogo medievale con cui il Califfato ha punito il pilota giordano Muath al-Kaseasbeh. Dopo quella spietata esecuzione qualcuno ricordò che il Corano e la legge islamica vietano di uccidere con il fuoco. Ma esistono le eccezioni. Ed una di queste s’appoggia su un parere consultivo («fatwa») preparato dagli esperti coranici dell’Emirato e pubblicato nel giugno 2009 sul Centro per la Fatwa, il sito internet di quell’Autorità per la «Guidanza Religiosa e la Dawa (Proselitismo dell’Islam ndr)» che fa capo al Ministero degli Affari Islamici del Qatar . La fatwa - prontamente rimossa all’indomani della comparsa del video con il rogo del pilota, ma ancora reperibile in un’altra parte del sito - risponde ai dubbi espressi da un fedele nel 2008 quando lo «Stato Islamico dell’Irak» (il precursore dell’attuale Stato Islamico) brucia vivi i membri di alcune tribù sunnite alleate degli americani. Per dar risposta alla questione gli esperti coranici dell’Emirato spiattellano almeno tre buoni motivi sufficienti a giustificare l’eccezione alla norma espressa nell’hadith (aneddoto o detto del Profeta) in cui si recita «Solo il Dio del fuoco può punire con il fuoco». La prima eccezione deriva dalla citazione di un saggio di Khalil Ibn Ishaq Al Maliki in cui questo studioso della sharia vissuto nel 14mo secolo spiega che chiunque «può venir mandato a morte nella maniera in cui ha ucciso... Anche con il fuoco». Esattamente la giustificazione adottata dallo Stato Islamico che nei suoi video spiega il rogo inflitto al pilota giordano come la vendetta per la morte dei civili e dei militanti del Califfato bruciati vivi dalle bombe della Coalizione. La seconda buona ragione citata dagli esperti di sharia del Qatar è la punizione esemplare inflitta a Iyas bin ’Abd Yalil, il traditore dei musulmani fatto bruciare vivo dentro la mosche di Nedina nel settimo secolo da Abu Bakr, coetaneo, miglior amico di Maometto e suo successore come primo Califfo. La terza ragione è un’altra citazione dello studioso Khalil Ibn Ishaq Al Maliki in cui si spiega con maggior chiarezza che «chi uccide verrà ucciso nella stessa maniera in cui ha ucciso, anche con il fuoco, ma con la sola esclusione dell’avvelenamento e della sodomia». Tre esemplari perle di saggezza e civiltà che - dopo aver contribuito a giustificare gli orrori commessi dai terroristi del Califfato - minacciano di trovar spazio e cittadinanza nel quartiere più moderno e scintillante della capitale lombarda.

*****

UGO BERTONE, LIBERO -
Nemmeno il tempo di godersi la vista del Tamigi dai tetti del Canary Wharf, la nuova City londinese comprata a fine gennaio per 2,6 miliardi di sterline, e i manager del Qia, la Qatar Investment Authority che amministra gli investimenti di Sua Altezza Tamin bin Hamad al Thani, sceicco del Qatar, si è concesso il bis all’ombra della Madonnina. Ieri, infatti, il Qia è diventato il proprietario unico di Porta Nuova, il progetto immobiliare che comprende, tra l’altro, il Bosco Verticale dell’architetto Stefano Boeri ed il grattacielo di Unicredit firmato da Cesar Pelli, oltre ad altri 23 edifici che hanno ridisegnato in questi anni lo skyline di Milano. Non è nota la cifra pagata dal Qia, già proprietario del 40% del progetto ma, secondo stime attendibili, il valore di mercato dell’area si aggira sui due miliardi. Quel che è certo è che i venditori, cioè Hines Italia e con quote minori Unipol e i fondi Mhrec, Hicof, Coima e Galotti non avranno di che lamentarsi: «Gli investitori - si limita a precisare Mafredi Catella, amministratore delegato di Hines Italia - hanno guadagnato il 30 per cento». Altrettanto certo che i nuovi proprietari in arrivo dal Golfo, una volta sbarcati dalle parti di corso Como e piazza Gae Aulenti, hanno intenzione di restarci a lungo. Almeno fino al 2030, assicura Catella, che continuerà a gestire i fondi di investimento di Porta Nuova. Anche perché l’Italia è, dietro la Gran Bretagna, la seconda piazza di investimento immobiliare del fondo sovrano del Qatar. Il Qia, infatti, possiede gli hotel di lusso della Costa Smeralda, il Four Season di Firenze e l’Hotel Gallia, storico albergo milanese appena rinnovato. A questi gioielli si aggiungono ora la Torre Solaria (143 metri d’altezza, l’edificio residenziale più alto d’Italia) ed il palazzo Aria, oltre alle torri del Bosco Verticale ed alla high street retail, la nuova via dello shopping che dalla piazza di Unicredit conduce a corso Como. Ma non c’è solo il mattone, ovviamente, nello scrigno dello sceicco. Il Qia, socio del Fondo Strategico della Cdp, si è assicurato in Italia il controllo di Valentino, comunque una porzione piccola, se non minuscola di un portafoglio che vale almeno 200 miliardi di dollari. In cui, tra l’altro, figura il 17 per cento di Volkswagen di cui il Qatar è il secondo azionista, assieme a quote rilevanti in Barclays e nel Crédit Suisse e così via, da quote in General Motors al Banco Santander ed al London Stock Exchange. Più in controllo di Harrods e del parigino Lido assieme agli hotels di maggior prestigio della capitale francese. Più, per restare in Francia, il controllo del Paris Saint-Germain, il club di Ibrahimovic e Cavani, acquistato con i buoni uffici dell’allora presidente francese Nicolas Sarkozy. Nulla, però, esprime la forza e le ambizioni del Paese, proprietario di Al Jazeera, la rete più diffusa del mondo arabo, quanto la conquista dei Mondiali di calcio del 2022, che si terranno a Natale per volere dei petrodollari. Ma non mancano le ombre, a partire dal sostegno ai Fratelli Musulmani in Egitto, ai gruppi jihadisti in Mali e al fronte anti-Assad in Siria, comprese le frange più estreme. Dopo l’attentato a Charlie Hebdo sono cresciute, specie in Francia, le richieste di prender le distanze dal regime di Doha, vicino ai wahabiti. «Non ce l’hanno con noi, ma con Srakozy» si è limitato a rispondere l’ambasciatore del Qatar. A Parigi, come a Londra e ora a Milano, il Qatar è soprattutto un grande proprietario immobiliare, attento a valorizzare i suoi investimenti che danno sul Tamigi, la Senna e che da ieri guardano dall’alto la sagoma della Madonnina.

*****

FRANCESCO COLAMARTINO, MILANOFINANZA –
L’emiro del Qatar entra a Milano dalla porta principale: Porta Nuova. La Qatar Investment Authority, il fondo sovrano dell’emirato, attraverso la controllata Qatar Holding ha infatti acquistato da Hines Italia (società che gestisce il progetto Porta Nuova di Milano, assistita nell’operazione dallo studio legale Gianni Origoni Grippo Cappelli & Partners) il 100% del progetto, diventando di fatto il nuovo proprietario del quartiere e con l’obiettivo di rimanere tale almeno sino al 2030.
Fino a ieri il fondo aveva mantenuto il 40% acquisito due anni fa. Oggi il valore di mercato di Porta Nuova è di 2 miliardi di euro e Manfredi Catella, amministratore delegato di Hines Italia, ha quantificato il rendimento dell’operazione, alla quale si lavorava già da 6-7 mesi, in circa il 30% (con una media annua del 5-6%) rispetto ai 300 milioni iniziali investiti dieci anni fa. Per cui si ipotizza che, debito incluso, il valore totale dell’operazione potrebbe aggirarsi intorno ai 2,6 miliardi. «Dal punto di vista del progetto», ha assicurato Catella, «non cambia nulla, tant’è vero che è confermata la piattaforma italiana». Dopo questa transazione Hines Italia continuerà a gestire i fondi di investimento proprietari di Porta Nuova, mentre Coima, società della famiglia Catella, rimarrà responsabile delle attività di property e project management, ma nel lungo periodo non si esclude l’ingresso di altri investitori istituzionali.
Gli investitori iniziali del progetto Porta Nuova sono Hines European Development Fund, UnipolSai , i fondi di investimento di diritto italiano Mhrec e Hicof, il fondo pensioni Tiaa Cref, Coima e Galotti. Va inoltre ricordato che lo scorso luglio il cda di Hines Italia aveva approvato l’accordo di rifinanziamento del fondo Porta Nuova Garibaldi con 20 istituti di credito, che hanno avanzato offerte per oltre 7 volte l’ammontare richiesto di 450 milioni. L’indebitamento del fondo si era così ridotto al 55% rispetto all’ammontare precedente.
Il progetto Porta Nuova si estende su 290 mila metri quadrati e comprende l’area Varesine, Garibaldi e Isola, con oltre 30 edifici di qualità sostenibile, tra cui la Torre Unicredit e il Bosco Verticale. Secondo quanto riferito da Catella, negli ultimi quattro mesi sono stati venduti 20 appartamenti del Bosco Verticale e in totale è stato ceduto il 65% degli appartamenti del quartiere Porta Nuova. Quanto agli uffici, i prezzi degli affitti sono passati da 700 a 1.400 euro annui al metro quadrato. Mentre per il retail il valore è aumentato addirittura dell’80%. Assieme a Unicredit , tra i grandi gruppi che si sono insediati nel quartiere figurano Nike, Google e Samsung, oltre a importanti maison di moda.
Il fondo sovrano del Qatar, nuovo proprietario della zona più all’avanguardia di Milano, è stato creato nel 2005 per gestire le immense rendite petrolifere dell’emirato e ad oggi il suo patrimonio supera i 60 miliardi di dollari ed è composto soprattutto da asset immobiliari. Era il maggio del 2010 quando il fondo partì con una campagna acquisti mondiale e comprò il celebre magazzino londinese Harrods dall’egiziano Mohamed Al-Fayed. Nell’ottobre dello stesso anno partecipò alla cordata che rilevò la casa di produzione cinematografica Miramax dalla Walt Disney. «E con l’operazione di ieri (venerdì 27 febbraio, ndr)», ha spiegato Catella, «l’Italia diventa il secondo Paese europeo dopo l’Inghilterra in cui il fondo sovrano del Qatar è maggiormente presente». Il portafoglio del Qatar in Italia comprende infatti anche gli hotel di lusso della Costa Smeralda (pagati oltre 650 milioni), il Four Seasons di Firenze, l’Hotel Gallia di Milano, gli uffici milanesi di Credit Suisse e le agenzie italiane di Deutsche Bank . L’emirato ha inoltre creato con Cassa Depositi e Prestiti la joint venture IQ Made in Italy Venture ed è proprietario della maison di moda Valentino.
Tornando all’operazione di venerdì 27, l’ultimo lotto di sviluppo del progetto, ossia Porta Nuova Isola, è stato consegnato alla città il 17 ottobre scorso. Ora mancano solo il grande parco, che sarà completato al più tardi nel 2016, e l’edificio non residenziale progettato dall’architetto Mario Cucinella che affiancherà l’Unicredit Pavilion, il nuovo spazio polifunzionale dell’istituto di credito. L’operazione immobiliare mirava a riqualificare un’area centrale di Milano, ma poco sfruttata e in parte abbandonata dopo la dismissione delle funzioni ferroviarie che l’avevano caratterizzata fino agli anni 60, riconnettendo e dando nuova vita ai tre quartieri Garibaldi, Varesine e Isola. Al rilancio della zona ci ha così pensato Hines Italia, che nel maggio 2005 ha portato a termine l’acquisizione delle aree, garantendo negli anni appalti a fornitori e costruttori per 1,2 miliardi, pari al 10% del fatturato annuo dell’intero settore delle costruzioni in Lombardia. Ora che la maxi-operazione è conclusa, Hines Italia potrà concentrarsi sulla gara per l’acquisto di Palazzo Broggi, ex edificio Unicredit in Piazza Cordusio a Milano, attualmente proprietà di Idea Fimit. Ma a questo proposito Catella ora chiede certezza sulla volontà di vendere e regole chiare per la gara, dopo il rinvio all’ultimo minuto del termine per la presentazione delle offerte (Hines, in cordata con il fondo sovrano di Abu Dhabi, se la gioca con il tandem Prelios -London&Regional).