Alex Saragosa, il Venerdì 27/2/2015, 27 febbraio 2015
COSÌ UN GINECOLOGO DI PAVIA INVENTÒ IL PARTO CESAREO
Chi ha inventato il cesareo? Quelli che seguono la serie televisiva The Knick, ambientata in un ospedale della New York del 1900, pensano che siano stati gli americani, visto che il protagonista, il chirurgo John Thackery, impiega ben sei puntate per riuscire a trovare un modo di salvare madre e figlio in caso di gravidanza problematica. «Ma è un falso storico» avverte il medico e storico della medicina Paolo Mazzarello, dell’Università di Pavia. «A riuscire in questa impresa per primo fu il professore di ostetricia Edoardo Porro, che nel 1876 all’Ospedale San Matteo di Pavia creò una procedura ancora oggi usata in alcuni casi. Se Thackery l’avesse seguita, avrebbe salvato le sue pazienti fin dalla prima puntata…».
Sul tema Mazzarello ha scritto il saggio E si salvò anche la madre (Bollati Boringhieri, pp. 196, euro 16), in cui ricostruisce non solo la storia del cesareo ma anche l’agghiacciante panorama dell’ostetricia di fine Ottocento.
«Prima di Porro il cesareo c’era, ma serviva solo per salvare il bambino dopo la morte della madre. Tentare questa procedura sulla madre viva significava infatti la sua morte quasi certa, per le emorragie o le infezioni provocate dalla vasta ferita dell’utero. Tanto più che gli ospedali del XIX secolo erano luoghi pericolosi, da evitare a ogni costo: ci finivano solo i poveri o quelli in condizioni disperate. I reparti maternità, in particolare, erano pieni di madri nubili, che ci si vergognava di far partorire a casa. Fra di loro era altissima la mortalità per febbre puerperale. Già dal 1849 il medico ungherese Ignàc Semmelweis aveva scoperto, a Vienna, che questa setticemia era causata dalle mani non lavate dei medici, ma la febbre puerperale, per le imperfette procedure igieniche, faceva ancora strage ai tempi di Porro. Però, nubili a parte, le donne costrette ad andare a partorire in ospedale erano tante: per il diffuso rachitismo erano infatti comuni le deformazioni del bacino che rendevano impossibile il parto naturale, condannando la madre, in assenza di interventi chirurgici, a una morte atroce. In quei casi il medico doveva scegliere se salvare la donna o il piccolo».
A salvare entrambi riuscì appunto Porro, grazie all’intuizione di far seguire al parto cesareo la rimozione dell’utero, eliminando così la causa di emorragia e infezione. La donna rimaneva sterile, ma sopravviveva. «In seguito sono state elaborate tecniche di cesareo che preservano l’utero, rendendo questo intervento molto comune. Anzi, troppo: in Italia sono cesarei il 36,7 per cento dei parti, contro una media europea del 26 per cento, mentre l’Oms raccomanda di non superare il 18». E l’abuso dei cesarei, oltre a costare caro alla sanità pubblica, non ha risolto il problema combattuto da Porro: quello della mortalità materna. Un rapporto dell’Istituto superiore di sanità del 2012 ha infatti rivelato, esaminando dati specifici di cinque regioni campione, che il tasso di mortalità materna in Italia non è di 4 casi su 100 mila parti, come si credeva basandosi sui soli certificati di morte, ma di 11,8, oltre il doppio della media dell’Europa occidentale. E i cesarei presentano un rischio di morte triplo rispetto a quello dei parti naturali.