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 2015  febbraio 27 Venerdì calendario

BERSANI: «IN UN’ORA NON SI FA IL FUTURO DEL PAESE»

Di idee è pieno il cassetto di Pier Luigi Bersani. Un esempio, le liberalizzazioni, su cui sente di avere più di qualcosa da dire. Ma l’ex segretario del Pd scuote la testa e sorride tra l’ironico e lo sconfortato: «Non mi ha mai chiesto un parere nessuno, eh!». Per mesi è rimasto in silenzio, «ma qualcosa sta succedendo». Il suo è un allarme. «La ripresa ci sarà e sarà squilibrata. Oggi le periferie, con una politica della sola comunicazione, le senti solo quando esplodono. Ma, come dice il Papa, la periferia dovrebbe arrivare prima. La cultura cattolico democratica ha dato un grande contributo alla nostra democrazia. L’elezione di Mattarella lo certifica. Ma è in corso un processo di fondo che si sta accelerando e che mette in discussione le forme della nostra democrazia. Di questo è ora di discutere».
Lei ha detto che «siamo al limite». Di che cosa?
«Stiamo entrando in una democrazia ipermaggioritaria, con una leadership comunicativa, partiti liquidi, dove il partito è più uno spazio politico che un soggetto politico e la cancellazione dei corpi intermedi. Ma dove si sono sviluppate queste democrazie, la finanza ha prevalso sull’economia reale. Noi, senza discussione alcuna, stiamo andando verso l’asse Thatcher-Blair. Io preferisco quello Schroeder-Merkel. In Germania c’è pluralismo politico, c’è leadership competente, ci sono partiti strutturati, ci sono corpi intermedi forti e c’è una grande manifattura».
Renzi vi ha invitato a discutere...
«No, guardi, per me ci vuole serietà, lealtà e rispetto. Non è serio pensare di esaurire un tema come il fisco in mezz’ora. Lealtà vuol dire che quando si discute si rispetta l’esito di questa discussione. Il rispetto vuol dire che non puoi mandare una lettera correggendo l’italiano ad alcuni che sono perfino professori universitari. Non ci sto».
La lettera è il punto limite? Allora venerdì lei non ci sarà?
«Ma non ci penso proprio! Perché io mi inchino alle esigenze della comunicazione, ma che gli organismi dirigenti debbano diventare dei figuranti di un film non ci sto. Vogliamo discutere di fisco, del 3 per cento, ma ne discutiamo fino in fondo e quel che si decide si fa».
E di Rai.
«Parliamo delle torri? Sia chiaro che non ce l’ho con Berlusconi. Ma tutti vedono che siamo in un duopolio televisivo con i due polisti legati alla politica. Dobbiamo avere un operatore indipendente. Il modello è Terna, quello del sistema elettrico. Mi aspetto che Antitrust e Agcom dicano che serve un operatore indipendente. Non necessariamente pubblico».
Renzi dice che questo è il mercato.
«No, il mercato è il luogo delle regole, se non ci sono, gliele facciamo».
Perché non avete fatto in passato una legge sul conflitto di interesse?
«C’era Berlusconi. Ha governato dieci anni».
Renzi ci ha fatto il Patto del Nazareno e qualcosa si è mosso...
«Ho sempre detto che quello è stato un errore perché un Paese vive respirando su due polmoni, un centrodestra e un centrosinistra».
Ora che non c’è più, il Pd si ricompatta?
«Ora che il Patto è saltato, non accetterei che si dicesse che bisogna rispettarlo. L’Italicum va cambiato. Produce una Camera di nominati. Non sta in piedi. Il combinato disposto tra norme costituzionali e legge elettorale rompe l’equilibrio democratico. Se è deciso che la riforma della Costituzione non si può modificare, io non accetterò mai di votare questa legge elettorale senza modifiche. Ormai credo si sia vista la mia estrema lealtà verso la ditta, ma i partiti sono uno strumento. Prima viene l’equilibrio democratico. Questo combinato disposto non lo voterò mai».
Cosa crea squilibrio?
«Avremo un Senato di consiglieri regionali, mandati da consiglieri regionali, in un sistema di nominati. Se ci fosse almeno una legge sui partiti che garantisse un percorso de- mocratico...».
Come le primarie del Pd? Ora c’è chi le vorrebbe.
«Quando dicevo di mettere in sicurezza le primarie facendo regole di accesso mi dicevano che non volevo le primarie aperte. E no, bisogna farle ma per bene».
Il governo sta facendo un lavoro di modernizzazione in linea con le sue liberalizzazioni, no?
«Ho fatto la riforma del sistema elettrico, la riforma del commercio, ho liberalizzato le ferrovie e in più ho fatto le lenzuolate. E quindi credo di avere qualche titolo a parlare. Renzi stesso ha detto “non chiamiamole liberalizzazioni”: si fa fatica a dargli torto».
Il Jobs act però ha recepito alcune vostre indicazioni.
«Ci sono luci e ombre. Si è persa un’occasione storica di fare un’operazione di decentramento e partecipazione alla tedesca. Per capirci, si deve leggere il contratto integrativo e di partecipazione fatto alla Ducati dai tedeschi. Cambia il rapporto di forza tra capitale e lavoro».
Senza l’articolo 18?
«Quando sui licenziamenti disciplinari scrivi testualmente “resta ferma l’estraneità di ogni valutazione sulla sproporzione del licenziamento”, stai dicendo che in teoria un lavora- tore può essere licenziato tanto se arriva 5 minuti in ritardo quanto se dà un pugno a un caporeparto. Spero che tremi la penna a chi scrive una cosa così, perché non puoi nello stesso mese fare la legge sull’evasione “proporzionata” e non fare lo stesso per il licenziamento. Penso sia fuori dall’ordinamento costituzionale».