Diego Gabutti, ItaliaOggi 26/2/2015, 26 febbraio 2015
L’ECONOMIA, DIVENTATA UNA RELIGIONE SENZA ESSERE MAI STATA SCIENZA, HA SVILUPPATO UN SISTEMA DI DOGMI DA FAR INVIDIA ALLA SCUOLE CORANICHE
Ucciso a Parigi, il 7 gennaio scorso, con gli altri disegnatori e collaboratori di Charlie Hebdo, Bernard Maris non era un economista ma un antieconomista, come dimostra la traduzione postuma del suo ultimo libro, Houellebecq economista (Bompiani 2015, pp. 135, 13,00 euro, ebook 5,99 euro). Questo geniale e immaginifico pamphlet sull’opera di Michel Houellebecq (autore di Sottomissione, Bompiani 2015, pp. 252, 17,50 euro, ebook 9,99 euro, un’antiutopia ambientata in una Francia diventata islamica per convinzione e convenienza) mette in graticola «la setta», come «si diceva dai tempi di Luigi XV per prendere in giro gli economisti e i loro ragionamenti complicati»..
Houellebecq economista può sembrare un libro facile, che esattamente come l’economia, una metafisica terribilmente «vuota e noiosa», s’accontenta d’approssimazioni e cerca d’impressionare il lettore con le sue prodezze retoriche. Ma l’economia, da quand’è diventata una religione dopo aver vanamente tentato d’essere una scienza, ha sviluppato un sistema di dogmi e di superstizioni da mettere invidia alle scuole coraniche. Dall’alto dei loro minareti intellettuali, stringendo al petto Premi Nobel assegnati loro da «banchieri autopromossisi donatori del premio eponimo», economisti vestiti di nero guardano con odio e disprezzo gli atei, gli scettici, gli eretici e i negatori dell’economia che là in basso insistono a dire che il re è nudo. Houellebecq — che nei suoi romanzi discute e schernisce i temi e il gergo delle «scienze» economiche salvando «gli economisti dal loro nulla» e donando loro almeno «il tempo che durerà la sua opera», un tempo che da soli non si potrebbero mai guadagnare — non è senza peccato: è un keynesiano. Tifare per la «politica economica» e per lo statalismo dopo le catastrofi del XX secolo (e quelle tuttora in corso) è cosa decisamente da evitare. Ma Keynes, tra tutti gli economisti, forse al pari di Marx nei suoi momenti di grazia, è prima di tutto un moralista. Non è un freddo contabile che fa scorrere le dita sul pallottoliere della realtà biascicando formule magiche. Intellettuale compassionevole, liberale traumatizzato dagli orrori indicibili della Grande guerra, Keynes pensava che l’uomo fosse «un animale ben più complesso e interessante» di quello contemplato dall’economia.
«Nessuno lavora solo per i soldi, nessuno fa i suoi acquisti in base a considerazioni puramente razionali», scrive Maris a proposito d’un romanzo di Houellebecq, La carta e il territorio, Bompiani 2011. «È questa “indeterminatezza fondamentale delle motivazioni dei produttori, come di quelle dei consumatori, a rendere le teorie economiche così azzardate e in fin dei conti così sbagliate”, dice Hélène», un personaggio del romanzo, di professione economista. Quella di Hélène «è una frase sconvolgente», continua Maris. «Tutta la critica radicale di Keynes all’economia ( ) sta nella parola “indeterminazione”. Introducendo l’incertezza radicale in economia, Hélène-Keynes distrugge la disciplina e pensa alla realtà della vita, alle sue passioni, infatuazioni, mimetismi, paure, movimenti di folla che si ritrovano per esempio nei fenomeni di borsa. Houellebecq disserta sul delitto e sull’arte. Ecco delle azioni profondamente umane». Non meno del «lavoro», protagonista indiscusso degli «studi» economici classici. È la voce di questo illuminista, scettico in materia di religione e di pseudoscienze, che gli assassini islamisti, pazzi per Allah, hanno fatto tacere a colpi di kalashnikov, insieme alla voce dei suoi amici, gli umoristi e i vignettisti di Charlie Hebdo, anche se dubito che uno solo di loro, in Medio Oriente e qui, abbia mai letto anche una sola riga di Maris. (E se non sanno chi è Maris, cosa volete che sappiano d’Allah?)
Eppure è nel nome dell’Onnipotente che oggi s’alzano i roghi e si bruciano i libri. Sono le fiamme degli autodafé, e non più i lumi, come nell’Occidente degli ultimi tre secoli, a fare luce nel caos del mondo. Margaret Thatcher, ricorda Maris, diceva che «la società non esiste» ma che «esistono solo individui che scambiano parola, sguardi, soldi, beni, qualsiasi cosa, solo che alla base di tutte queste azioni c’è l’individuo calcolatore e razionale, che soppesa i pro e i contro, i vantaggi e gl’inconvenienti, fino al desiderio d’impiccarsi quando il costo della sua vita diventa troppo alto in rapporto ai magri vantaggi che essa porta con sé». Impiccarsi, ed essere impiccati.
Diego Gabutti, ItaliaOggi 26/2/2015