Daniele Manca, Corriere della Sera 26/2/2015, 26 febbraio 2015
IL CONFLITTO D’INTERESSI CHE ACCECA NOI E LE TV
L’operazione Mediaset-Rai Way è scivolosa secondo molti osservatori e piena di sfaccettature non sempre visibili che rivelano aspetti a volte poco edificanti del nostro Paese. Dal punto di vista industriale è una di quelle idee che dovrebbero spingere a fare il più presto possibile.
Si tratta di creare un’infrastruttura tecnologica che permetta a chi vuole offrire servizi televisivi di disporre di una rete per farsi concorrenza sul terreno dei prodotti, della qualità e dei prezzi. Un campione nazionale, di quelli che in altri Paesi sono così scontati da essere definiti dalla teoria economica dei «monopoli naturali» come i binari delle ferrovie.
Finiremo invece per discutere di quello che è ritenuto l’ingombrante azionista che controlla Mediaset: Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia. Un nome che non può non provocare reazioni. Una per tutte, quella dell’ex leader del Pd Pier Luigi Bersani: dopo Mondadori-Rcs ora mi aspetto che il Milan compri l’Inter.
Come è accaduto negli ultimi venti anni, possiamo stare certi che le disquisizioni più o meno accalorate attorno a tutto ciò che anche lontanamente riguarda le tv sono pronte ad avvitarsi sull’eccesso di potere dell’ex premier. È lecito quanto doveroso farlo in una democrazia: si parla di potenziali conflitti di interessi. Peccato che nessun partito, e segnatamente quelli che oggi sembrano più preoccupati del potere di un imprenditore che fa politica, abbia voluto mai affrontarlo in questi anni e in questi mesi se non tramite appassionate dichiarazioni.
Curiosamente sono le stesse forze altrettanto preoccupate del fatto che il premier voglia arrivare a una riforma della Rai. E che, ancor più curiosamente, invece di preoccuparsi di che cosa mettere dentro un possibile riassetto della tv pubblica, sono pronte a dividersi se esso vada fatto per decreto o con un disegno di legge. Per l’ennesima volta mostriamo di essere un Paese molto attento alle forme, pronto a legiferare più per poter dire «abbiamo fatto la legge» che non per incidere sulla realtà.
Chiedersi se Mediaset possa o meno fare l’offerta lo dimostra. Tra società quotate, l’offerta pubblica di acquisto è la strada trasparente e di legge per poter agire nell’ambito delle aziende che sono in Borsa. Un’operazione di mercato alla luce del sole, della quale possano beneficiare soci di maggioranza o di minoranza. Sempre che si voglia o meno fare.
Il governo ha confermato ieri che esiste un decreto di Palazzo Chigi del 2014 nel quale si affermava il fatto che il socio pubblico non doveva scendere sotto il 51% di Rai Way (pur non dicendo se quella sia ancora oggi la volontà del governo). La generosità dell’offerta (oltre il 50% superiore al prezzo di collocamento della società, il 22% rispetto ai prezzi attuali) è subordinata a ottenere la maggioranza. Si vedrà come intenderanno muoversi ora i vertici di Rai e Mediaset.
Apparentemente sono stati accontentati quelli che volevano bloccare l’espansionismo Fininvest. Ma evitando così la domanda industriale: ha senso che ci sia un operatore unico che possieda le torri trasmissive (non si sta discutendo delle tv) sull’esempio di altri Paesi? E se così fosse, perché la Rai non fa una contro offerta a Mediaset? Ma in questo caso la politica dovrebbe fare un salto di qualità che probabilmente non ha voglia (o capacità?) di fare.
La scelta del controllo pubblico su una parte della rete (magari anche con duplicazioni) quali equilibri o poteri garantisce? Se la Francia – governata oggi dai socialisti – e la Spagna – dai conservatori – hanno scelto l’operatore unico privato, perché lo hanno fatto? Tanto più che il governo sta per procedere a privatizzazioni che non possono scontare sul mercato la diffidenza nei confronti delle imprese non pubbliche.
Anche in questa vicenda i partiti stanno mostrando diffidenza e scarsa fiducia nelle istituzioni da loro stessi create e regolate. Esiste un Antitrust che dovrebbe garantire il rispetto di una corretta concorrenza, una Consob che controlla la Borsa e tutela il risparmio, un’Agcom posta a vigilare sul settore televisivo. Sono loro che dovrebbero garantire il cittadino sul corretto svolgimento delle attività economiche secondo le regole stabilite dal parlamento.
Bisognerebbe dibattere di fatti, opportunità, investimenti, visioni di lungo periodo, di come l’Italia possa reggere la competizione in Europa e nel mondo. Certo, discussioni e confronti più difficili di un talk show televisivo dove, con poca fatica, ci si può dividere sul fatto che Berlusconi stia diventando o meno troppo potente.