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 2015  gennaio 26 Lunedì calendario

CANNAVARO: «IN CINA IMPARO POI RITORNO E VINCO UN ALTRO MONDIALE»

Andrea, dieci anni, ieri ha visto il papà per la prima volta in diretta via internet, vincere la sua prima partita da allenatore con il Guangzhou Evergrande in Cina. Alla fine ha realizzato un suo minivideo col genitore che gesticolava scrivendogli «Papà perché ti sei arrabbiato?», e a Fabio Cannavaro è scappato da ridere. Da un paio di mesi vive la sua full immersion cinese fra i campi di allenamento e il residence dove vive. È Guangzhou, ma potrebbe essere una qualsiasi metropoli occidentale. Nel senso che Fabio di essere a 10 mila chilometri da casa quasi non si è accorto. «Non ho ancora avuto il tempo di rendermi conto della realtà che mi circonda. Nel senso che, come ho già fatto a Dubai, a me piace conoscere e capire la cultura locale, araba o cinese che sia. Anzi vi dico una cosa in più: io qui spero di portarci l’anno prossimo la famiglia, perché voglio cominciare a parlare cinese e vorrei avessero questo bagaglio anche i miei figli. Qui c’è un mondo in grande espansione: capirne e rispettarne i valori significa dialogare. Non voglio passare da qui come se fosse una panchina qualunque. Per questo mi sono buttato dentro il lavoro con grande entusiasmo. Le uniche concessioni sono le cene con mister Lippi. Ma anche in quel caso è lavoro».
Marcello Lippi, con tutto quello che ha vinto pure in Cina, non rischia di essere un’ombra pesante?
«Ho una tale stima e rispetto di lui che ancora fatico a dargli del tu. Per me è un consigliere eccezionale, un privilegio averlo come dirigente. Tra l’altro non è mai invadente, piuttosto sono sempre io a chiedergli qualche consiglio. Cose che magari da giocatore prima curavo meno e adesso diventano fondamentali. Perché se nel calcio prendono piede nuovi strumenti tecnologici, Mister Lippi ha l’occhiometro : uno strumento umano capace di leggere ogni sfumatura e superiore a qualsiasi tecnologia. La differenza in campo non la fanno gli schemi, ma la capacità di leggere le condizioni della squadra e degli avversari. Questo distingue un grande allenatore da uno normale».
E Fabio Cannavaro che allenatore è?
«Cerco di curare ogni particolare. In allenamento il tempo non basta mai. Per esempio la posizione del corpo di un giocatore, un difensore che difende solo frontalmente o un attaccante che resta troppo spalle alla porta. Come modulo sono ripartito dal 4-3-3 che la squadra già applicava con varianti 4-3-1-2 e 4-2-3-1. Dipende dagli uomini a disposizione, ora sto cercando di inserire i neo acquisti brasiliani Goulart e Alan».
Avete perso la Supercoppa cinese ai rigori e ieri vi siete rifatti battendo il Seoul 1-0 in Champions asiatica.
«I rigori tanto mi hanno dato, ma anche tolto. Come allenatore guardo alla prestazione: 15 tiri in porta, una partita all’attacco e il portiere avversario premiato come migliore in campo. I progressi si sono visti ieri: avremmo meritato di vincere più largo, i 50mila che hanno riempito lo stadio erano entusiasti. Lavorando miglioreremo, però non sono stato fortunatissimo. Prendete il girone di Champions: affronteremo il Western Sidney Wanderers campione in carica, lo stesso Seoul che arrivò in finale l’anno prima perdendo contro il Guangzhou, e i quotati giapponesi del Kashima Antlers. E poi qui si è vinto tanto, e il rischio è l’assuefazione. Io porto in dote la mia fame di successi. Vi assicuro che ne ho tanta, anche se qualcosa ho già vinto...».
L’errore che può commettere un giovane tecnico?
«Pensare che i giocatori debbano “vedere” come te. Una lettura approfondita della partita, quella che ti consente anche di capire prima cosa può fare l’avversario, viene dalla conoscenza e dall’esperienza. Devi aiutarli a crescere, per costruire la loro lettura. Perché poi le partite si decidono proprio nei particolari».
In giro per l’Oriente ha conosciuto l’imprenditore Bee Taechaoubol: che idea si è fatto?
«Come organizzatore è strepitoso, a Bangkok ha realizzato un evento calcistico davvero eccellente. In quella occasione mi disse “Mi piacerebbe comprare il Milan”, e io gli risposi, in un momento nel quale De Laurentiis sembrava potesse lasciare, “Perché non il Napoli?”. Ritengo abbia un interesse reale e rappresenti anche un gruppo più grande. Di più non so».
Dall’Italia non arrivano buone notizie: lei, sua moglie e suo fratello Paolo condannati per violazione di sigilli della villa di Posillipo, allora sequestrata.
«Le sentenze vanno accettate e faremo appello. Dico soltanto che all’epoca io con la mia famiglia vivevo a Dubai e Paolo, nominato curatore, era in ritiro con il Napoli. Sono sereno e convinto che il tempo sarà galantuomo».
Com’è l’Italia vista dalla Cina?
«Mi rafforza la convinzione che è meglio starne lontani, calcisticamente. Che pena vedere il mio Parma ridotto così: negli anni Novanta è stato un orgoglio italiano a livello internazionale, con grandi campioni. Ora è sull’orlo del fallimento e ancora stanno lì a rinfacciarsi e scaricare responsabilità. Intanto il nostro movimento scivola, scivola sempre più indietro e nessuno fa qualcosa o si mette in gioco. Pensano soltanto a difendere poltrone. Soltanto da noi gli stadi non si possono ristrutturare. E poi le scuole calcio: non si insegna più. Hanno fatto perdere la gioia ai ragazzini di giocare perché si pensa a importare da fuori i talenti, compromettendone anche la crescita educativa lontani dalle famiglie».
La candidatura all’Olimpiade del 2024: opportunità o buco nell’acqua?
«Una grande opportunità di rilancio per un Paese che ha storia e potenzialità. L’ho detto anche al presidente Malagò facendo un esempio concreto. Quando ero ragazzino a Napoli c’erano tre campi di calcio: l’Italsider, Marianella e Soccavo. Ora non esistono più nemmeno quelli. Servono assolutamente strutture, e un’Olimpiade consente di realizzarne, per poi renderle fruibili alla comunità».
Cannavaro ambasciatore in Oriente della candidatura italiana.
«Ce ne sono altri più bravi. Io ora devo pensare alla squadra. E a chi scrive che qui guadagno cifre assurde, rispondo che mi interessa solo crescere e fare esperienza. Poi torno... e vinco un altro Mondiale».