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 2015  febbraio 26 Giovedì calendario

AIUTATEMI, IL PREMIO STREGA NON LO VOGLIO

Gentile direttore Marco Travaglio, mi rivolgo al Fatto perché so che è la mia ultima speranza. Ieri ho scritto al Mattino di Napoli, il giornale della mia città, per spiegare che l’avventura nel mondo dei premi letterari è u’azione che non mi appartiene. Roberto Saviano mi ha voluto tirare in ballo, in questa corsa verso l’ignoto e mi chiede di “sparigliare le carte” con il mio romanzo, L’amica geniale. Il mio editore ha smentito l’autenticità della mia lettera di ieri. Si dice “indignato” per quello che loro hanno ritenuto un falso. Il mio editore, che ringrazio per la fiducia accordatami quando ero ancora solo un nome e un cognome e non una celebrità letteraria internazionale, mi sta inchiodando in un ruolo e in un’immagine che non sono le mie.
Io mi sento ormai in una gabbia dorata, impossibilitata a muovermi, imbavagliata dalle mie stesse parole, ingessata in un ruolo di autrice fantasma che era la mia difesa e sta diventando invece la mia prigione. La mia casa editrice ha divulgato una nota dove chiarisce perentoriamente che “ogni comunicazione di Elena Ferrante passa dalla casa editrice, come è sempre stato e come continuerà a essere in futuro”. Stanno cercando di tagliarmi i ponti con il mondo esterno. E lo fanno senza chiedermi il permesso. Anche allo Strega mi hanno candidato senza chiedermi il permesso. Anche Saviano lo ha fatto. L’ho già detto: facciano pure, è inutile chiedermi il permesso, perché io appartengo ai miei lettori. Ma è giusto che i miei lettori sappiano il mio vero pensiero. Non posso accettare che ogni mia comunicazione debba passare dalla mia casa editrice.
Io le scrivo perché voglio sia chiaro che io, Elena Ferrante, non volevo essere candidata allo Strega ed è mia intenzione prendere le distanze da questo mondo di salotti e Amici della Domenica , che per quanto mi sforzi, non riesco a sentire mio. Come ho già scritto altrove, reputo il premio Strega uno dei tanti tavoli del nostro disgraziato paese che svelano gambe divorate dai tarli. L’ho detto e lo ripeto: non ho mai avuto in mente, proprio come la mia Lila, un cambio di identità, meno ancora il sogno di rifarmi una vita. Il mio proposito è stato sempre un altro: scrivere volatilizzandomi; disperdere ogni mia cellula per ogni rigo lasciato al lettore. Non mi interessa la Cinquina, né la vittoria, né tantomeno di sparigliare le carte, perché lo Strega è irreformabile, con o senza la mia partecipazione.
Non si può cambiare perché è lo specchio di questo Paese, che amo, ma dal quale mi sono ritirata formalmente 23 anni fa, quando ho deciso di trincerarmi dietro il mio nome. È da 23 anni che io non esisto e comunico con il mondo esterno solo scrivendo lettere. Io non sono un’entità materiale, ma anche io ho un’anima e un cuore e dei pensieri, che voglio avere le libertà di poter condividere con il mondo. Se ci pensate, sono lo specchio perfetto dei nostri tempi. Anzi, io ho precorso i tempi. Oggi basta avere un profilo su Facebook per crearsi un’identità virtuale, dove ognuno non è quello che è, ma quello che comunica. Anche io non sono io, ma sono solo l’illusione che voglio dare ai miei lettori. Nessuno conosce il mio volto, nessuno sa neppure se sono uomo o donna. Dietro al mio nome e cognome potrebbe celarsi anche un collettivo di scrittori. Io potrei essere un nuovo Wu Ming. Io potrei avere più di una identità e nessuno potrà mai dire se io sono io oppure no. Finché io, Elena Ferrante, non deciderò di svelare la mia identità. Ebbene io per il momento ho scelto di essere solo Elena Ferrante. E con le nuove regole potrei perfino vincere lo Strega, contro il mio volere. Anche Emile Ajar aveva vinto il premio Goncourt e nessuno sapeva chi fosse. Era Romain Gary, ma si è saputo solo alla sua morte. Chissà che con me non succeda lo stesso. E quindi, da buona napoletana, tocco ferro e spero che passino tanti anni, prima che la mia identità sia rivelata. In fondo non è tutta una finzione? Non siamo tutti delle controfigure di noi stessi? Dei pagliacci prestati al ruolo nel quale abbiamo deciso di calarci. In fondo, se io sono fatta solo di parole, chiunque può appropriarsene. Le mie parole appartengono ai miei lettori. Per questo, caro direttore, la prego di divulgarle.

*testo raccolto per caso da Caterina Soffici