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 2015  febbraio 23 Lunedì calendario

LIBERTÀ DI STAMPA QUANDO IL CARCERE È PERFINO MEGLIO DELLE SUPER MULTE

Ammettiamo pure che sia sbagliata per eccesso la classifica annuale di Reporter sans Frontières che fa precipitare l’Italia di 23 posizioni, collocandola addirittura al settantatreesimo posto nel mondo per libertà di stampa, sotto la Moldavia e sopra il Nicaragua. Ma prima di dire che la classifica è “la più bislacca, arbitraria, infondata e comica del mondo”, come ha fatto Pierluigi Battista sul “ Corriere della Sera”, qualche più articolata considerazione sullo stato della libertà di stampa nel nostro paese andrebbe fatta, soprattutto in prossimità del varo della nuova legge sulla diffamazione all’esame della Camera. Solo nell’ultima settimana, per dire, sono da registrare due notizie piuttosto allarmanti: la procura di Catania ha accusato di concorso esterno in associazione mafiosa l’editore e direttore del quotidiano “La Sicilia”, mentre “Il Fatto Quotidiano” ha pubblicato copia di una lettera del consigliere d’amministrazione della Rai Antonio Verro (da lui smentita) inviata nel 2010 a Berlusconi con l’indicazione delle strategie da attuare per sabotare otto trasmissioni giornalistiche sgradite all’allora presidente del Consiglio, tra cui quelle condotte da Santoro, Floris, Annunziata e Gabanelli. Eppure, mediamente, il giornalismo italiano non si segnala per particolare aggressività verso la politica o la finanza, se si pensa ad esempio che nessuno dei grandi scandali emersi continuamente negli ultimi anni, dalla Cricca della Protezione civile, fino all’Expo di Milano, al Mose e a Mafia Capitale è venuto alla luce in seguito a inchieste giornalistiche, ma solo per le indagini della magistratura. Ammesso che il settantatreesimo posto sia arbitrariamente ingeneroso, la legge in discussione alla Camera rischia adesso di trascinarci probabilmente ancora più giù nella classifica di Reporter sans Frontierès. Nata con il sacrosanto scopo di abolire il carcere previsto attualmente dalla normativa per i giornalisti accusati di diffamazione (ma nessuno per fortuna è mai finito dietro le sbarre) il disegno di legge introduce alcune norme che possono indurre a una censura subdola: sanzioni pecuniarie fino a 50 mila euro, non commisurate al reddito del giornalista, diritto di rettifica senza possibilità di replica, introduzione di un diritto all’oblio che consente la rimozione di notizie sgradite a richiesta del potente di turno, privando tra l’altro i futuri storici di fonti essenziali, ulteriori restrizioni nella pubblicazione di intercettazioni telefoniche. Ma soprattutto nulla di significativo è previsto per frenare le querele e le citazioni per danni intimidatorie, che servono a tenere sotto scacco per anni giornalisti che umanamente a un certo punto possono essere costretti ad autocensurarsi. A parte i cinquanta casi di aggressioni fisiche e incendi dolosi di cui giornalisti sono stati vittime nel 2014, le cause più o meno pretestuose per diffamazione sono aumentate l’anno scorso del 50 per cento, su iniziativa soprattutto di esponenti politici. Ai deputati che stanno esaminando il testo occorrerà far sapere, ad esempio, che su una materia analoga è appena intervenuta la Corte di Strasburgo, contestando la violazione dell’articolo 10 della convenzione sulla libertà di espressione per la sanzione di 1.200 euro inflitta a un giornalista rumeno, giudicata eccessiva in quanto quattro volte superiore allo stipendio medio in Romania. E al presidente del Consiglio e segretario del Pd Matteo Renzi, che piuttosto che una censura subdola, meglio perfino il carcere.
Alberto Statera, Affari&Finanza – la Repubblica 23/2/2015