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 2015  febbraio 23 Lunedì calendario

L’ANTICO VIZIO ITALIANO DEL CREDITO CLIENTELARE

C’era una volta la foresta pietrificata. Il sistema degli assetti proprietari delle banche uscì dal controllo pubblico con la crisi finanziaria del ’92. Le fondazioni di origine bancaria, eredi di quel vecchio mondo fatto di giunte locali azioniste degli istituti e padrone del credito, ha continuato a evolvere con la legge voluta nel 1998 da Carlo Azeglio Ciampi. Quella riforma doveva impedire alle fondazioni di controllare le banche, ma fu smontata nell’Italia degli estenuanti ricorsi all’ennesimo grado di giudizio. Ciò che è successo negli ultimi anni, mesi e anche negli ultimi giorni fa rimpiangere che l’incanto per liberare la foresta pietrificata non abbia funzionato fino in fondo. Da Siena, alle Marche, Ferrara, a Genova, passando per Spoleto oltre agli esempi solo in parte diversi di popolari come Veneto Banca o Etruria – si moltiplicano casi con troppi punti in comune. Le costanti sono visibili a occhio nudo. Ci sono quasi sempre élite locali per le quali le fedeltà interne, il credito concesso sulla base di un’amicizia, il controllo in una cerchia ristretta sulle poltrone e sui bilanci, fanno premio su tutto. Questi valori dei circoli chiusi troppo spesso hanno prevalso sulla logica economica, sul buon senso, sull’interesse collettivo, sulla trasparenza, sull’obbligo di tutelare patrimoni delle comunità locali creati nei secoli e destinati a chi deve ancora nascere. A volte hanno prevalso anche sulla legge civile e penale del Paese. Tra le fondazioni non mancano gestioni molto più lungimiranti. Ma sistemi come Siena, Genova o Spoleto non potevano andare avanti, e infatti sono al tramonto con una certa Italia che non lascia solo rimpianti. Tre mesi e mezzo fa Giuseppe Guzzetti, presidente dell’Acri, ha segnalato che è pronto a concordare con Pier Carlo Padoan un’ulteriore riforma. Quella offerta dal ministro dell’Economia non è un’ennesima legge, ma un «atto negoziale» concordato con l’Acri. L’obiettivo è mettere vincoli più stringenti. Le fondazioni non potranno più concentrare quote abnormi del capitale in una singola banca, con il rischio di perdere tutto se quella banca tracolla. Non dovranno esporsi su titoli tossici cucinati per loro dalle multinazionali della City. Non dovranno indebitarsi per sottoscrivere aumenti di capitale. I tecnici del Tesoro e quelli di Guzzetti, a quanto sembra, ora sono al lavoro per mettere a punto l’accordo. Arriverà tardi per proteggere patrimoni antichi e importanti come quelli di Siena, Genova, Ferrara, Macerata, Pesaro, Jesi, Fano o Spoleto. Ma in provincia e non solo molte fondazioni continuano a concentrare anche troppo il rischio d’investimento su singole banche. Queste ultime diventeranno più contendibili e dovranno aggregarsi fra loro. Dopo la riforma delle popolari qualcosa si muove nel mondo del credito in Italia. Sempre che fra Guzzetti e Padoan l’accordo, annunciato da tempo, prima o poi arrivi davvero.
Federico Fubini, Affari&Finanza – la Repubblica 23/2/2015