Notizie tratte da: Alfio Caruso # Quando la Sicilia fece guerra all’Italia # Longanesi Milano 2014 # pp. 315, 17,60 euro., 25 febbraio 2015
Notizie tratte da: Alfio Caruso, Quando la Sicilia fece guerra all’Italia, Longanesi Milano 2014, pp
Notizie tratte da: Alfio Caruso, Quando la Sicilia fece guerra all’Italia, Longanesi Milano 2014, pp. 315, 17,60 euro.
• Nel 1942, per andare in treno da Roma a Palermo erano previste undici ore, ma si sforava sempre.
• Andrea Finocchiaro Aprile, controllato sempre più strettamente dall’Ovra.
• L’Ovra, l’Opera volontaria per la repressione dell’antifascismo, non era la polizia segreta del regime, ma una branca della stessa polizia con indennità economiche speciali e dove per essere ammessi bisognava essere convinti sostenitori del fascismo.
• Finocchiaro Aprile, amico del capo della polizia Carmine Senise, ma non per questo immune dalle perquisizioni del regime.
• Andrea Finocchiaro Aprile era nato nel 1878 a Lercara Friddi, lo stesso paese di Charles Luciano. Il padre Camillo, volontario a sedici anni con Garibaldi a Mentana, era avvocato e politico: era stato assessore comunale, deputato, ministro di Grazia e giustizia nel governo Fortis e autore, nel 1914, del nuovo codice di procedura penale.
• Andrea Finocchiaro Aprile, dalla lucente capigliatura corvina con perfetta riga laterale.
• Andrea Finocchiaro Aprile si è laureato a Roma, ha esercitato la professione di avvocato, ha insegnato Storia del diritto a Ferrara e a Siena. A trentacinque anni è stato eletto in Parlamento nella circoscrizione di Corleone. È stato segretario con Giolitti e Nitti, ma le sue aspirazioni si sono azzerate con l’ascesa di Mussolini.
• Finocchiaro Aprile, che in un comizio a Termini Imerese aveva definito il fascismo espressione del capitalismo settentrionale ostile alla Sicilia, imputando al duce una scarsa attenzione ai problemi dell’isola e dei suoi abitanti. Dietro le quinte, però, si offriva come intermediario tra il regime e i siciliani.
• Nel novembre del 1939, malgrado il plauso di Finocchiaro Aprile a nome dei comuni siciliani di ascendenza albanese per l’occupazione della stessa Albania, Mussolini gli preferì un ebreo, Giuseppe Dell’Oro, alla direzione generale del Banco di Sicilia.
• Finocchiaro Aprile, che frequentava spesso la residenza a Shamley Green, nel Surrey, di Sir James Rennell, conosciuto ai tempi della Prima guerra mondiale, quando Rennell era l’ambasciatore di Gran Bretagna a Roma.
• Finocchiaro Aprile aveva in testa il progetto si staccare la Sicilia dal resto del Paese e riteneva che per farlo fossero necessarie due condizioni: la sconfitta militare del fascismo e l’appoggio di Stati Uniti e Inghilterra.
• Il duce ha sempre avuto un rapporto complicato con la Sicilia sin dal primo viaggio, nel maggio del 1924.
• Mussolini, a cui rubarono la bombetta nella prefettura di Catania.
• Il secondo viaggio di Mussolini in Sicilia fu nell’estate del 1937.
• Nel gennaio del 1940 era stato fondato l’Ente di colonizzazione del latifondo siciliano.
• Gabellieri e latifondisti, sempre più uniti. I primi appartenevano per tradizione secolare a Cosa nostra e avevano nei secondi il referente privilegiato.
• I capi mafiosi più importanti che campeggiavano tra le fila dei latifondisti: Calogero Vizzini, Peppe Genco Russo, Vanni Sacco, i Nasi di Trapani, i Rimi di Alcamo, i Greco di Palermo. I loro punti di incontro erano le logge, ufficialmente bandite sin dal 1925.
• Lucio Tasca, l’esponente più rappresentativo degli agrari. Cavaliere, apparteneva a una famiglia zeppa di conti e di baroni. Il padre era stato sindaco di Palermo e senatore del Regno. Si è arricchito grazie alle migliorie apportate alle terre aride di Regaleali, sfociate in lussureggianti vigneti, dai quali proviene un famoso vino. L’azienda agricola Villa Tasca d’Almerita è citata quale modello di tecnologia avanzata.
• Tasca, che aveva stampato il libello Elogio del latifondo siciliano.
• Calogero Vizzini era vicino di Lucio Tasca in un appezzamento in provincia di Caltanissetta.
• Don Calò, che aveva già fama di «uomo di rispetto». L’aveva scampata in tre clamorosi processi, dov’era stato accusato di aver imbrogliato lo Stato con un traffico di cavalli rubati e venduti durante la Prima guerra mondiale, di sovrintendere alla «mafia delle miniere di zolfo» e di partecipare alla «mafia dei latifondi».
• Vizzini aveva rappresentato l’Italia nel 1922 alla conferenza di Londra per la creazione di un cartello mondiale dello zolfo. In quell’occasione gli avevano fatto compagnia Guido Donegani, fondatore della Montecatini, e Guido Jung.
• Vizzini, che si atteggiava ad antifascista.
• Tasca e Vizzini diventarono gli immediati interlocutori di Finocchiaro Aprile non appena questi scese dal treno in Sicilia. Lo nominarono presidente dei circoli «Sicilia e Libertà», rifugio di latifondisti e di massoni.
• Il 3 agosto del 1941, quando Mussolini con un telegramma ordinò ai ministeri il trasferimento dalla Sicilia dei dipendenti che vi erano nati. Contro il provvedimento protestarono i giornali di Palermo, Catania e Messina. Questo trasferimento di massa, insieme con il divieto di inviare pacchi di conforto ai prigionieri per non intasare il traffico postale e i trasporti lungo lo Stretto, segnò il definitivo distacco della Sicilia dal fascismo.
• Finocchiaro Aprile aveva spedito al presidente Usa, attraverso il Vaticano, alcune lettere sulla possibilità di una Sicilia indipendente. Non si è mai saputo di una risposta.
• Antonio Canepa, professore all’università di Catania. Il padre Pietro era avvocato e cattedratico; la madre, Teresa Pecoraro, sorella di un leader del Partito popolare di don Sturzo. Nel 1924, studente sedicenne al liceo Pennisi di Acireale, fu l’unico a esprimersi in pubblico e in modo violento contro l’assassinio di Giacomo Matteotti. L’anno dopo compose manifesti contro il regime e contro Mussolini.
• Nel 1930, alla vigilia della laurea in Giurisprudenza, Canepa preparò con pochi amici l’irruzione nello studio privato del duce, la Sala del Mappamondo, a Palazzo Venezia. Ma il cunicolo segreto da utilizzare per l’operazione fu scoperto e murato dai poliziotti addetti alla sicurezza.
• Canepa, che nelle lettere si firmava Mario Turri.
• Il Cis, il Comitato per l’indipendenza siciliana, alla cui presidenza andò Finocchiaro Aprile.
• Franco Grasso, palermitano, uno dei responsabili clandestini del Partito comunista in Sicilia.
• L’inverno e la primavera del 1943 accentuarono l’isolamento della Sicilia: tracollò l’autorità centrale, tutti i poteri furono attribuiti ai generali e agli ammiragli.
• In quel periodo, la razione di pane scese prima a 200 grammi giornalieri, poi a 150.
• La carne era rara. Le bistecche andavano ai militari, poi ai carabinieri, ai vigili urbani, infine ai dirigenti del municipio.
• I prezzi del mercato nero, quasi duplicati: un chilo di pasta 35 lire, lo zucchero 70, l’olio 60, il formaggio 80, il burro 100. La carne toccava anche le 350 lire al chilo.
• Salvatore Aldisio, deputato del Partito popolare dal ’21 al ’25. È considerato il figlioccio di Sturzo, è stato tra i protagonisti della protesta dopo il delitto Matteotti, poi è rientrato in Sicilia a praticare l’avvocatura.
• Il miracolo di sant’Agata, capace nel 1551 di salvare Catania dai turchi facendo spingere al largo le navi da un vento impetuoso di tramontana.
• Il 10 luglio 1943 le truppe alleate sbarcarono in Sicilia e travolsero le resistenze italo-germaniche, nonostante un contrattacco della divisione Livorno dalle parti di Gela avesse fatto vacillare la 7° armata di Patton. L’8° armata di Montgomery venne bloccata sul fiume Simeto alle porte di Catania, mentre nel settore occidentale la progressione degli statunitensi fu inarrestabile.
• L’opera di Cosa nostra, che agendo dietro le linee spalancò la strada verso Palermo.
• Negli anni Trenta, quando parecchi mafiosi rientrarono dagli Stati Uniti.
• Da Nola, dove si era rifugiato per sfuggire alla sedia elettrica negli Usa, tornò Vito Genovese, oriundo napoletano ma in ascesa verticale dentro la mafia italo-americana, grazie alla protezione di Charlie Luciano, al punto da essere promosso, alla fine degli anni Quaranta, capo dei capi.
• Palermo si arrese il 22 luglio 1943; i tedeschi furono i primi a squagliarsela.
• Nella sede del quotidiano L’Ora, dove Finocchiaro Aprile radunò i rappresentanti dei vecchi partiti moderati. Propose di approvare un comunicato, gli ospiti però rifiutarono. Allora lo consegnò ai due governatori dell’isola: quello militare era Francis Rennell of Rodd; quello civile il tenente colonnello Charles Poletti, oriundo piemontese, ex vicegovernatore di New York. Alle dipendenze di Poletti lavoravano già Vito Genovese e un nipote di Vizzini, l’avanguardia affaristica di Cosa nostra.
• Damiano Lumia, detto Dam, nipote di Vizzini. Fu lui a tradurre il comunicato a Poletti, anche se quest’ultimo se la cavava benissimo con l’italiano.
• Messina fu evacuata dalle divisioni britanniche il 17 agosto del 1943.
• Alcuni prezzi in Sicilia in quel periodo: un paio di scarpe mille lire, un vestito rivoltato 1.200, un vestito di buon tessuto non meno di 4.000 lire.
• Diversi azionisti, cattolici e anche comunisti guardavano con simpatia all’indipendentismo.
• Gli statunitensi, che baciavano in pubblico la bandiera con la Trinacria, concedevano i permessi per i comizi e i camion con cui trasportare i sostenitori, intervenivano per risolvere qualsiasi grana degli indipendentisti con polizia e carabinieri.
• Earl Brennan, diplomatico, da ragazzo studente d’arte in Italia. Definito «Bill the wild» (per il caratteraccio), era stato scelto per guidare il Si (Secret Intelligence) dedito alle operazioni nei territori occupati.
• Poletti, che ormai veniva chiamato «Viceré» e ne era contento: gli avevano spiegato che nell’isola i viceré contavano da sempre più dei re.
• L’80 per cento dei sindaci dei 357 comuni siciliani appartenevano al Cis ed erano appoggiati dagli Stati Uniti. Alcuni nomi: Tasca a Palermo; l’ex onorevole democratico sociale Guarino Amella a Canicattì; Carlo Ardizzoni, formalmente demolaburista, a Catania.
• Con la complicità di Poletti, di Genovese, della Sezione Italia, gli esponenti di Cosa nostra stesero una ragnatela di connivenze. A Racalmuto venne imposto Baldassarre Tinebra, ex socio di Vizzini nella gestione della zolfara Gibillini; Giuseppe Genco Russo, capobastone di Misilmeri, ottenne la sovrintendenza dell’Ente comunale di assistenza; Vincenzo Di Carlo, maestro elementare, elemento di spicco della «famiglia» di Raffadali e fino a poco tempo prima viceresponsabile della Gioventù Littoria, fu nominato direttore dell’ufficio comunale per le sovvenzioni all’agricoltura.
• Alle 17.17 del 2 settembre 1943, quando un carabiniere, Antonio Mancino, fu ucciso da un contrabbandiere, Turiddu Giuliano. Dalle parti di San Giuseppe Jato, Giuliano, che portava centoventi chili di frumento sulla cavallina, fu fermato a un posto di blocco. Grazia all’aiuto di un altro intrallazzatore (così si chiamava chi praticava il mercato nero), Giuliano riuscì a scappare. Mancino sparò e lo colpì al fianco. Caduto a terra, Giuliano estrasse un piccolo revolver Derringer a quattro colpi che teneva dentro lo scarpone e uccise il carabiniere con un colpo al cuore.
• Turiddu Giuliano, figlio di Turi «l’americano» emigrato a New York con la moglie Maria Lombardo. Turiddu era l’unico dei quattro figli nato a Montelepre (Palermo), nel novembre del 1922.
• Quando Poletti fu spostato in Campania, Finocchiaro Aprile perse uno dei suoi principali alleati. Al suo posto arrivò il colonnello Chapman, molto più attento alle regole e agli equilibri politici.
• Il Mis, il Movimento per l’indipendenza siciliana. La sigla apparve sotto il manifesto del 9 dicembre 1943. Venivano ripetuti i principi generali con la specificazione dell’estrema fedeltà agli Alleati, della scelta repubblicana, della disponibilità a impugnare le armi per il trionfo dell’idea.
• I rappresentanti palermitani del Comitato di liberazione nazionale convocarono, il 16 dicembre 1943, una riunione clandestina. Al termine fu stilato un documento firmato solo da Pci, Psiup e Pri. Era una bordata contro l’indipendentismo e i suoi protettori, cioè gli anglo-americani. Si auspicava la riunione della Sicilia all’Italia e vennero denunciate «le bugie del Mis, il suo carattere reazionario». L’autore del documento era il professore universitario di procedura penale Giuseppe Montalbano, segretario regionale del Pci.
• Quello stesso giorno, nella casa nissena dell’avvocato Giuseppe Alessi, sturziano, si riunirono ventisei democratici cristiani. Tra questi: Bernardo Mattarella, Franco Restivo, Silvio Milazzo, Salvatore Aldisio. L’unico argomento sul quale si pronunciarono fu l’indipendentismo: con l’eccezione di Milazzo e di La Rosa, erano tutti unitari.
• I carabinieri, spregiatamente chiamati «sbirri cu’ giummu».
• Turiddu Giuliano, uno dei duemila banditi che all’inizio del ’44 popolavano le lande siciliane. Cosa nostra puntò subito su di lui.
• Buscetta era l’unico a sostenere la mafiosità di Giuliano: anche se non venne affiliato fu uno strumento totalmente nelle mani dei boss.
• Giuliano e don Genovese si conobbero e l’incontro è documentato da una foto.
• Turiddu era definito un «cristianazzo» perché secondo alcuni era molto alto. In realtà sulla sua carta d’identità risultavano 166 centimetri.
• Don Vito Genovese, alto solo poco più di un metro e mezzo.
• Giuliano aveva atteggiamenti alla Robin Hood: minacciava chi gestiva le assegnazioni giornaliere tra i braccianti, regalava 5 mila lire ai mendicanti che incontrava. In realtà era anche feroce, determinato e senza scrupoli.
• Giuliano, che aveva un occhio di riguardo per Montelepre, il suo borgo natio. Per dimostrare quanto ci tenesse, la corriera che arrivava da Palermo era la sola nella zona a non essere assaltata e rapinata.
• Durante il biennio ’44-’45 in Sicilia si sono consumati 6.300 reati, in gran parte omicidi e rapine.
• Nella relazione di congedo il generale dei carabinieri Giuseppe Pieche informava che nella primavera del ’44 soltanto le classi abbienti avevano avuto di che mangiare. Anche la media borghesia era allo stremo: l’unica fonte di reddito era la vendita dei pochi gioielli sopravanzati e delle suppellettili.
• La riforma agraria varata dal ministro dell’Agricoltura, Fausto Gullo, un avvocato comunista. Prevedeva di incentivare i rifornimenti alimentari pagando meglio i piccoli proprietari, di concedere le terre alle cooperative, di affidare i campi incolti dei feudi ai contadini. I latifondisti videro la riforma come un assalto alla terra, che si tramandava da secoli.
• La manifestazione con Finocchiaro Aprile nel teatro di Regalbuto, oggetto di una violenta contestazione tenuta faticosamente a bada dalle forze dell’ordine. Vennero esplosi colpi di pistola e nella calca il segretario locale del Pci, Santi Milisenna, fu stroncato da un infarto.
• Con l’accordo dei comunisti, il governo Bonomo promosse Aldisio Alto commissario in Sicilia. Il suo compito sarebbe stato quello di ripristinare la forza dello Stato.
• Il comunista Momo Li Causi, un nemico dell’indipendentismo sbarcato in Sicilia. Figlio di un calzolaio di Termini Imerese, nel 1920 si laureò in Economia e commercio a Venezia. Prima nel Psi, nel 1924 passò al Pci, giudicato molto più determinato nell’opposizione al fascismo. Nel 1928 fu condannato a vent’anni di carcere. Tornato in libertà, partecipò alla guerra partigiana, si occupò di giornali clandestini, ebbe un ruolo determinante nell’eliminazione dell’ex ministro della Pubblica istruzione Giovanni Gentile. Per evitargli conseguenze, Togliatti lo spedì a Palermo alla guida delle rivendicazioni contadine.
• Li Causi, zoppo per essersi beccato un colpo di pistola durante un comizio.
• Il bandito Giuliano, disposto a sposare qualsiasi causa gli garantisse privilegi e immunità. La sua banda era composta da quaranta adepti, che agivano a viso scoperto, sicuri dell’impunità.
• Canepa, nel ’42, pubblicò a firma Mario Turri l’insieme di opuscoli dal titolo La Sicilia ai siciliani. L’inizio era quasi la spiegazione teologica dell’indipendentismo.
• Canepa, che girava con una divisa militare statunitense.
• In quegli anni, in Sicilia, il grano diventò la retribuzione più richiesta da chiunque fosse chiamato a fornire una prestazione e il baratto tornò a essere praticato a ogni livello.
• In un anno (1944) risultarono condannate circa 150 mila persone per reati connessi al mercato nero.
• Il prefetto Stella di Messina, in un fonogramma al ministro dell’Interno del 20 dicembre 1944, denunciò che su 2.500 giovani precettati si erano presentate solo 673 reclute.
• Non esisteva una sola causa per la ribellione in Sicilia, ognuno inseguiva la propria: indipendentismo, ammasso, leva obbligatoria, fame, presunti soprusi, difesa del latifondo.
• Li Causi, nel convegno in cui si costituì la federazione siciliana del Pci, lanciò l’autonomia quale unica possibilità di sottrarsi all’influenza straniera, cioè anglo-americana, e di determinare il proprio destino.
• Pietro Nenni, segretario del Psiup ed emblema dell’antifascismo, trovò difficoltà nel parlare in pubblico durante la visita in Sicilia, e rientrò a Roma.
• A Corleone, dove quasi ogni sera squadre di mafiosi, foraggiate dagli indipendentisti, sparavano contro muri, serrande, persiane abbassate, terrorizzando la popolazione.
• La situazione alimentare: un decimo della popolazione viveva con «la minestra del popolo»; la razione di pane è cresciuta a 250 grammi giornalieri, ma la pasta, mezzo chilo, veniva distribuita ogni quindici giorni.
• Canepa, che lavorava per conferire un assetto definitivo all’Evis (Esercito volontario per l’indipendenza della Sicilia).
• Aldisio tempestò Bonomi di relazioni e, al pari del generale Paolo Berardi, comandante dell’esercito in Sicilia, suggerì di mettere fuorilegge il Mis. Il governo optò per la chiusura di tutte le sedi. Gli Stati Uniti dissero no a qualsiasi divisione dell’Italia.
• L’esercito di Mario Turri, che arrivò a cinquanta unità. I campi scuola erano a mezza montagna, da Messina a Siracusa. Mangiavano un solo pasto al giorno, composto da pastasciutta, salame, formaggio, pane, vino e pere. In assenza di Canepa il comando era nelle mani del ventiduenne Carmelo Rosano.
• Il 17 giugno 1945, alle 8 del mattino, a tre chilometri da Randazzo, Canepa e altri cinque che lo accompagnavano, con il motofurgone carico di armi, incapparono in un posto di blocco dei carabinieri. Iniziò una sparatoria. A bordo del motofurgone Canepa e Rosano furono investiti dalla deflagrazione di una bomba a mano che il professore teneva nei pantaloni. Pippo Amato riuscì a scappare; Canepa morì quasi subito, Rosano la sera in ospedale.
• Armando Romano, anche lui nel gruppo di Canepa, perse conoscenza e fu creduto morto. Fu ficcato in una bara insieme agli altri e condotto al cimitero di Giarre. Lo salvò il custode, che quando sollevò i coperchi per far aerare le salme s’accorse che Romano respirava ancora.
• Concetto Gallo, trentadue anni, figlio dell’avvocato Gallo Poggi, una moglie ricca, Concetta Gueli, un figlio di sei anni battezzato Salvatore ma chiamato Sonny, all’americana. Fu lui il successore di Canepa.
• Gallo, che suggerì di siglare l’alleanza con i banditi: a ovest Giuliano, a est i niscemesi, che prendevano il nome dal loro paese di origine, Niscemi.
• Nonostante l’opposizione di Nino Varvaro, il vertice del Mis ratificò l’apertura ai banditi.
• Gallo, che assunse l’identità di Secondo Turri, si attribuì la qualifica di comandante assoluto, decise di aver bisogno di una milizia personale e fondò la Gris (Gioventù rivoluzionaria per l’indipendenza siciliana), accantonando l’Evis di Canepa.
• Da una villa del Ragusano, mai identificata con precisione, iniziarono le trasmissioni a onde corte di Radio Sicilia Libertà.
• Il 1° settembre del 1945, Aldisio nominò la commissione incaricata di studiare in tempi brevi le norme per l’attuazione dell’autonomia, cioè lo statuto speciale della regione siciliana.
• Ferruccio Parri, il nuovo presidente del Consiglio, ex giornalista del Corriere della Sera ed ex insegnante di lettere al liceo classico milanese Parini. Era stato alla guida del Cnl.
• La sera del 3 ottobre del 1945, quando una ventina di poliziotti bloccò Finocchiaro Aprile e Varvaro a Palermo, all’uscita da un locale. Li caricarono su un’auto e li condussero al molo, dove furono trasferiti con una piccola nave da guerra al confino di Ponza. Furono liberati a marzo.
• L’Ispettorato generale di pubblica sicurezza, istituito con il compito di sconfiggere il banditismo. Fu affidato a un poliziotto che aveva domandato di andare in pensione, Ettore Messana.
• L’Ispettorato era dotato di oltre mille agenti (760 carabinieri, 360 poliziotti) e di rilevanti fondi da gestire in totale autonomia.
• A Montelepre, dove per tre mesi vigeva il coprifuoco (dalle cinque del pomeriggio alle cinque del mattino).
• Fra un assalto e l’altro Giuliano trovò il tempo di fondare il Masca (Movimento per l’annessione della Sicilia alla confederazione americana).
• Per cinque domeniche tra marzo e aprile del ’46 si votava per le amministrative.
• Turiddu e i suoi banditi, che passarono ai sequestri di persona. Spesso le persone da rapire erano indicate da Cosa nostra, che poi pretendeva una fetta del riscatto.
• Nel 1947 il governo annunciò che il banditismo in Sicilia era stato estirpato: 1.200 banditi arrestati, 850 denunciati, 30 uccisi.
• Il principe Giovanni Francesco Alliata, appena approdato da Rio de Janeiro, dov’erano nato, figlio di un ministro plenipotenziario, e dove aveva trascorso la giovinezza. Si aggiunse all’ala reazionaria del Mis.
• Il 15 maggio 1946 il re Umberto firmò il decreto luogotenenziale di attuazione dello Statuto speciale siciliano. Il consiglio dei Ministri lo aveva approvato in mattinata con il voto contrario di Nenni, del liberale Cattani e del demolaburista Gasparotto.
• Alla Sicilia venne riconosciuto il potere di battere moneta, di avere un’alta corte di giustizia, di arruolare una polizia regionale, di decidere in materia fiscale, di trattenere la gran parte delle tasse, di appropriarsi di tutti gli edifici pubblici, a esclusione delle caserme, di partecipare alle sedute del governo con il proprio presidente, cui era assegnata la carica di ministro.
• Il 2 giugno 1946, quando vinse la Repubblica con il 54 per cento dei consensi. I Savoia trionfarono in sette regioni, la Sicilia era una di queste con il 64,7 per cento.
• Nelle contemporanee elezioni per la Costituente la Dc registrò oltre il 35 per cento, ma Psiup e Pci sfiorarono insieme il 40 per cento con i socialisti avanti di quasi due punti.
• Il Mis, che in Sicilia raccolse soltanto l’8 per cento, poco più di 166 mila voti.
• I quattro esponenti del Mis eletti: Finocchiaro Aprile, Varvaro, Gallo e Castrogiovanni. Rimasero fuori quelli dell’ala reazionario-monarchica.
• Il 28 dicembre 1946 Giuliano, seguendo le dritte di Cosa nostra, assaltò il furgone del Banco di Sicilia a Palermo. Questo aveva appena lasciato l’agenzia 3 in via Amari quando a un incrocio si materializzò Giuliano con una decina dei suoi, mitra spianati. Portarono via i sacchi con gli stipendi e con le tredicesime dei dipendenti. Il colpo fruttò 20 milioni di lire.
• Con la crisi dell’indipendentismo i latifondisti si rivolsero alla mafia per contrastare l’arrembaggio dei comunisti.
• La Dc, chiamata dagli elettori siciliani il «partito du signuruzzu».
• Lo scrittore siciliano Vitaliano Brancati, che in un articolo sul Tempo di Roma, nel gennaio del 1947, descrisse in maniera calzante gli indipendentisti, suddividendoli in otto categorie:
1. I ricchi, che non volevano pagare per una guerra provocata secondo loro dalle industrie del Nord;
2. I lavoratori e i tecnici, che avevano sempre sognato di diventare italo-americani;
3. La piccola borghesia spaventata dal dopoguerra;
4. I contadini piccoli proprietari, che temevano il comunismo;
5. Gli stanchi del servizio militare;
6. Gli imperialisti irriducibili;
7. I sacerdoti che speravano di riconquistare i privilegi;
8. Una schiera di scontenti minori.
• Nel gennaio del ’47, Varvaro creò il Misdr (Movimento per l’indipendenza della Sicilia democratico-repubblicano). Era la risposta alle posizioni monarchico-reazionarie incarnate dai Tasca, dai Carcaci e dai pochi latifondisti non ancora transitati sotto le bandiere della Dc.
• Il 1° maggio 1947 a Portella della Ginestra, quando i banditi guidati da Giuliano spararono sui comunisti. Lì era programmata una grande festa del lavoro con la partecipazione di molte famiglie. I morti furono 11, tra i quali diversi bambini; 56 feriti, 27 gravi; 29 i quadrupedi abbattuti.
• Giuliano, che chiese al giornalista americano Mike Stern di consegnare una lettera al presidente degli Stati Uniti Truman, in cui sosteneva la causa dell’indipendentismo della Sicilia.
• A Palermo era sbarcato anche Frank Gigliotti, di origine calabrese, reverendo in una chiesa metodista della California. Era un massone di simpatie repubblicane. Scopo del suo viaggio era incontrare Giuliano, arruolarlo e coinvolgerlo nella crociata anticomunista con la promessa di soldi e, un domani, di un asilo negli Usa.
• Gigliotti, che si muoveva per conto dell’American Committee for Italian Democracy.
• Alla fine del 1947 Giuliano aveva ammazzato 80 carabinieri e 40 tra poliziotti e soldati.
• Ciro Verdiani, capo dell’Ispettorato generale in Sicilia. A lui spettava il compito di liberarsi di Giuliano. Nell’autunno del ’45 Verdiani era a Dongo a indagare sull’esecuzione di Mussolini, della Petacci e sulla scomparsa dell’oro, delle banconote e dei buoni del tesoro che il duce aveva portato con sé nell’ultimo viaggio, il cosiddetto «tesoro di Dongo».
• Verdiani, che in un rapporto di quattro pagine inviato il 25 dicembre 1945 a De Gasperi accusava il Pci sia dell’uccisione di Mussolini e della Petacci, sia del trafugamento del tesoro.
• Il 26 agosto 1949 l’Ispettorato generale venne sciolto e nacque il Corpo forze repressione banditismo (Cfrb). A comandarlo Ugo Luca; Verdiani fu trasferito alla direzione dell’Ispettorato frontiere.
• Luca, soprannominato «Lawrence di Libia» per essersi occupato di spionaggio in Turchia, Grecia e Libia.
• Antonio Perenze, capitano dei carabinieri, braccio destro di Luca. Era estroverso e gioviale, amante della buona tavola, attentissimo alla cura dei baffetti.
• Tra fine dicembre del ’49 e inizio gennaio del ’50 uscì su Oggi una lunga intervista in tre puntate fatta da Jacopo Rizza a Giuliano. Con lui anche l’operatore Ivo Meldolesi e il fotografo Italo D’Ambrosio.
• La verità di Giuliano sul 1° maggio 1947: il bandito ammise le proprie responsabilità, pur parlando di tragico errore, ma non svelò i nomi dei mandanti.
• Alle tre del mattino del 5 luglio 1950 il bandito Turiddu Giuliano fu ucciso, mentre si trovava nella casa dell’avvocato Di Maria, a Castelvetrano.
• Così si svolsero i fatti: alla mezzanotte del 4 luglio 1950, una Fiat 1100 nera dei carabinieri si fermò accanto al monumento dei Caduti in piazza Matteotti, a Castelvetrano. Ne scese Gaspare Pisciotta, braccio destro di Giuliano, che si diresse verso la casa in cui alloggiava il bandito. Giuliano lo accolse male, perché gli avevano riferito che Pisciotta era d’accordo con il colonnello Luca. Alla fine i due chiarirono e andarono a dormire. Pisciotta russava. Dopo le tre si sentirono due colpi di pistola calibro 9, che uccisero Giuliano. Passando davanti alla porta della camera da letto di Di Maria, Pisciotta urlò: «Avvocato, sparano», poi corse fuori da Perenze.
• L’ultima cena del bandito Giuliano: formaggio, olive nere, pane, vino bianco.
• La versione che iniziò a circolare sulla morte di Giuliano fu che il bandito era stato ucciso durante un tentativo di fuga dai carabinieri guidati da Antonio Perenze, che rispondeva al colonnello Luca.
• Furono due giornalisti dell’Europeo, Tommaso Besozzi e Nicola Adelfi, a smontare in una settimana l’imbroglio sulla morte di Giuliano: indicarono il luogo in cui il bandito era stato ammazzato, il letto al primo piano di casa Di Maria, e il suo killer, Pisciotta; accusarono i carabinieri di essere intervenuti a omicidio consumato, di aver trasferito il cadavere in cortile e di essersi presi ogni merito.
• Giuliano era stato autore di quasi 400 delitti, fra i quali un centinaio di carabinieri, poliziotti, soldati; oltre 150 i tentati omicidi; 37 i sequestri di persona; quasi 90 i conflitti a fuoco.
• «Banditi, mafia e carabinieri eravamo tutti una cosa sola come la Santissima Trinità: Padre, Figlio e Spirito Santo» (Pisciotta in tribunale quando gli venne dato l’ergastolo).