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 2015  febbraio 24 Martedì calendario

ARTICOLI SULL’OSCAR DI MILENA CANONERO DAI GIORNALI DEL 24/2/2015


SILVIA BIZIO, LA REPUBBLICA -
Quattro Oscar e nove candidature: non solo nel mondo dei costumisti è una leggenda vivente, ma con la sua vittoria per i costumi di Grand Budapest Hotel di Wes Anderson Milena Canonero diventa l’italiana vivente con più candidature e più Oscar vinti. La costumista con le sue creazioni ha segnato la storia del cinema fin dalla sua collaborazione con Stanley Kubrick per Arancia Meccanica nel 1971, quando le ciglia lunghe e i vestiti bianchi di Malcolm McDowell segnarono per sempre l’immaginario cinematografico. Oggi i suoi costumi per il film di Sofia Coppola Marie Antoinette (suo terzo Oscar, dopo Momenti di gloria e Barry Lyndon ) sono in mostra al Palazzo Braschi di Roma. Grand Budapest Hotel è la sua terza collaborazione con Wes Anderson dopo Il treno per Darjeeling e La vita acquatica di Steve Zissou . Ammirata e riverita da colleghi, registi e attori, Milena Canonero è stata anche produttrice e ora regista del documentario La silhouette del tempo vista da Piero Tosi . Ha disegnato i costumi di film come La mia Africa e Il Padrino I-II , Shining , Dick Tracy e Titus , lavorando con registi come Coppola, Polanski, Pollack, Julie Taymor. L’unico cruccio la costante mancanza di tempo. «Non mi sembra mai di avere abbastanza tempo per realizzare tutto quello che voglio fare» dice ridendo.
Nata a Torino in un anno che non rivela, dopo gli studi la Canonero si trasferì in Inghilterra dove Kubrick le diede il primo lavoro proprio per Arancia Meccanica . Timidissima, riservata sulla vita privata (è sposata con l’attore Marshall Bell) ma non risparmia lodi ai suoi registi. In particolare Wes Anderson, cui è andato il suo ringraziamento dopo la vittoria, anche se non ha voluto affrontare la consueta conferenza stampa, limitandosi a un breve commento. «Wes Anderson ha una visione molto creativa e precisa» dice. «Come me dedica molta attenzione ai dettagli, è deciso eppure ti lascia molto spazio, è aperto a commenti e idee. Quando mi ha parlato di Grand Budapest Hotel mi disse che voleva ambientare il film in un fittizio paese nordeuropeo, Zubrowka, più o meno negli anni 30. Naturalmente, tipico di un film di Wes Anderson, il titolo non aveva nulla a che fare con la città di Budapest. Quindi l’aspetto poteva essere originale, con suggerimenti storici, ma allo stesso tempo accurato. Così lo stile delle uniformi dell’hotel sono anni 30 ma ho cercato una gamma di colori che non fosse troppo prevedibile per le uniformi dello staff di un hotel.
Per i costumi di Tilda Swinton invecchiata mi sono ispirata a Klimt».
La ricerca storica per ogni personaggio è sempre molto importante per la Canonero, ma le ispirazioni possono venire dalle fonti più inaspettate: «Per Marie Antoinette Sofia Coppola mi diede una scatola di macaroons ( biscotti, ndr ) di Laduree. Quei colori sono diventati una sorta di guida. Una costumista non è come un disegnatore di moda, libero di disegnare la sua collezione. A volte il regista ti dà più spazio. E devi lavorare molto da vicino con truccatori e parrucchieri per mettere insieme un look totale».
Definisce Stanley Kubrick il suo mentore: «La cosa bella di Stanley è che aveva totale autonomia, non si faceva dettare i tempi da nessuno. Lavorare con lui è stata una delle più grandi esperienze della mia carriera. Mi portava a vedere le location e mi mandava a fare fotografie. Voleva che io capissi cosa cercava». Il grande rimpianto nella sua carriera è aver rifiutato l’offerta di George Lucas per i costumi di Guerre Stellari: «Avevo appena finito Barry Lyndon ed ero esausta, così ho perso quella meravigliosa opportunità. È l’unica cosa che rimpiango di non aver fatto. Da allora credo di aver preso decisioni abbastanza buone, anche per film che non hanno avuto tanto successo. I disegni di Momenti di gloria per esempio hanno ispirato una moda, con vestiti che facevano eco alla sartoria nostalgica inglese. Per me è stato una gran colpo di fortuna».

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STEFANIA ULIVI, CORRIERE DELLA SERA -
«Grazie Wes, questo premio è tuo. Sei stato una grande ispirazione, sei come un direttore d’orchestra, un compositore. Grazie anche per The Life Aquatic e Darjeeling Limited ». Nessuna donna italiana ha ricevuto tante statuette dall’Academy, eppure insieme al suo quarto Oscar, Milena Canonero si è guadagnata ancora una volta la palma della discrezione.
Gli eccessi visionari, la grandiosità e magnificenza la costumista torinese, classe 1946, li riserva agli abiti che disegna. Al Dolby Theatre, in spolverino e pantaloni neri e camicia bianca, ha misurato le parole mentre Wes Anderson e tutta la squadra di The Grand Budapest Hotel faceva tifo da stadio e in Italia rimbalzava l’orgoglio nazionale con commenti di Renzi, della Boldrini e del presidente Mattarella.
Quattro Oscar (il primo nel 1976 con Kubrick per Barry Lyndon , nel 1982 con Momenti di gloria di Hugh Hudson e nel 2007 con Sofia Coppola e il suo Marie Antoinette ) , nove nomination. Studi di arte e storia del costume a Genova e a Londra, interesse per il design. Per il cinema americano è un’istituzione. Il «Canonero touch» ne ha segnato la storia.
Fondamentale l’incontro con Stanley Kubrick grazie a una visita sul set di 2001 Odissea nello spazio . Sue le divise candide, le bretelle, i sospensori e le bombette di Malcom McDowell e i drughi di Arancia meccanica , suoi i vestitini celesti delle gemelline di Shining . E, poi, lo stile coloniale de La mia Africa , la follia visionaria di Dick Tracy , il piccolo mondo antico e criminale del Padrino parte III , Ocean’s Twelve , Carnage , I viceré . Le collaborazioni con il Metropolitan di New York.
Uno stile che non si può sintetizzare se non nell’attenzione per i dettagli. Per questo quando Anderson le ha chiesto di vestire Ralph Fiennes, Tilda Swinton e il personale e gli ospiti di Grand Hotel di Zubrowka ne è stata felice. «Wes sviluppa la mia creatività». E le ha fatto vincere un altro Oscar.
Stefania Ulivi

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FULVIA CAPRARA, LA STAMPA -
Maestri nella realizzazione dei sogni, capaci di dare corpo, colore, forma alle più fantasiose visioni dei registi. Un conto è immaginare un extraterrestre tenero e buffo, un altro è disegnarlo e dargli vita sullo schermo, come fece Carlo Rambaldi con E.T.. Un conto è riscoprire la regina Maria Antonietta in chiave pop, un altro è rappresentarne la modernità inserendo, nella sua collezione di scarpine di raso, un paio di Converse All Star. La costumista del film di Sofia Coppola era Milena Canonero che, anche quella volta, vinse l’Oscar.
La storia degli artigiani italiani a Hollywood si ripete, ed è gloriosa. Anche quando l’Italia non ha un film candidato alla statuetta, c’è sempre uno dei nostri maestri a tenere alta la bandiera. Basta guardare i numeri. Lo scenografo Dante Ferretti , insieme alla compagna di vita e di lavoro Francesca Lo Schiavo, ha vinto 3 Oscar, per Sweeney Todd, per Hugo Cabret, per The Aviator. Di lui Martin Scorsese dice meraviglie e continua a chiamarlo per ogni suo progetto. Il direttore della fotografia Vittorio Storaro ha guadagnato la statuetta per L’ultimo imperatore, Reds e Apocalypse Now.
Il maestro (scomparso) degli effetti speciali Carlo Rambaldi è stato premiato, oltre che per E.T., anche per Alien e King Kong. Il montatore Pietro Scalia per Black Hawk Down e Jfk, il truccatore Manlio Rocchetti per A spasso con Daisy. E questo senza citare l’elenco di riconoscimenti per i musicisti, in testa Ennio Morricone, Oscar alla carriera nel 2007, dopo varie candidature.
Dietro i successi c’è talvolta la scuola dei laboratori di Cinecittà, oppure i corsi del Centro sperimentale, oppure, più spesso, quello speciale talento all’italiana che fa pensare alle botteghe del Rinascimento.

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GLORIA SATTA, IL MESSAGGERO -
Poker di Oscar, un record. E il trionfo del grande artigianato italiano, della creatività, della fantasia capaci d’imporsi sui budget stellari e gli effetti speciali made in Hollywood. Ma chi si aspettava lacrime, reazioni a caldo, confessioni autobiografiche da Milena Canonero è rimasto deluso. La celebre costumista, classe 1946, origini torinesi e residenza a Los Angeles da molti anni, sposata con l’attore Marshall Bell, è una persona talmente schiva da fuggire come la peste i giornalisti, le telecamere, le dichiarazioni pubbliche.
Dopo la premiazione, ha disertato (caso raro, forse unico nella storia dell’Oscar) l’incontro con la stampa internazionale. Ha affidato le sue emozioni al discorso pronunciato sul palco del Dolby Theatre stringendo la quarta statuetta della sua carriera, vinta per i coloratissimi abiti (realizzati con stoffe italiane, di un’azienda di Prato) di Grand Budapest Hotel, la favola onirica firmata da Wes Anderson. Milena, elegantissima in pantaloni neri di pailettes e gioielli Damiani, si è rivolta con un filo di voce al regista che appariva più commosso di lei. «Grazie, grazie, grazie a tutti. Voglio dividere questo premio con te, Wes. Sei stato un direttore d’orchestra, un compositore, una fonte continua di ispirazione. Se non fosse stato per te, non sarei riuscita a fare il lavoro che ho fatto».
LE REAZIONI
Per la costumista-fenomeno hanno parlato le istituzioni italiane. Il premier Renzi ha esultato via social. «E quattro. Con Canonero hanno vinto la grazia, l’eleganza e il talento italiani», ha twittato all’alba. Il presidente della Repubblica Mattarella ha dichiarato: «Un riconoscimento che costituisce un motivo d’orgoglio». Mentre la presidente della Camera, Laura Boldrini, ha rilevato che Milena è «la donna italiana con più Oscar»: un record ancora più rilevante se si pensa che l’Academy in 87 anni di storia si è distinto per la sua misoginia, avendo mandato in finale solo quattro registe donne (e una sola, Kathryn Bigelow, ha vinto la statuetta). Per il ministro Franceschini il quarto Oscar di Milena è «un’altra conferma della forza e della creatività del cinema italiano». Per Riccardo Tozzi, presidente dell’Anica, «è un esempio per tutti».
Nata a Torino, Canonero ha studiato a Genova e si è poi trasferita a Londra. È là che parte in grande stile: i primi lavori sono con il regista Hugh Hudson, che le affida i costumi di uno spot pubblicitario, poi con Stanley Kubrick con il quale firma Arancia meccanica. Sarà il film Barry Lyndon, nel 1976, a regalarle il primo Oscar. Il secondo verrà nel 1982 grazie ai costumi di Momenti di gloria, il terzo nel 2007 per i fastosi abiti di Marie Antoinette (attualmente sono esposti alla grande mostra sui costumisti italiani di Palazzo Braschi, a Roma). Minuta, eleganza minimalista, capelli corti, Canonero ha vissuto la marantona pre-Oscar immersa nel lavoro. Ha fatto una rapida apparizione alla festa in suo onore organizzata dall’Istituto di Cultura italiana di Los Angeles ma ha disertato l’omaggio di Swarowski alle costumiste candidate. Ha preferito passare le giornate collegata via Skype con le sue assistenti per dare gli ultimi ritocchi alla “trasformazione” del negozio parigino di Prada. «Ho molta ansia, anche se faccio questo lavoro da tanti anni ogni volta è un’incongnita», ha detto. La trepidazione è finita e Milena è entrata nella leggenda.