Andrea Pira, MilanoFinanza 25/2/2015, 25 febbraio 2015
LE MULTINAZIONALI SE NE VANNO
Se la Cina è stata a lungo considerata la fabbrica del mondo, Dongguan è a sua volta la fabbrica della Cina. La città del Guangdong rischia tuttavia di perdere questo status. A cavallo del Capodanno cinese centinaia di stabilimenti hanno chiuso i battenti o hanno fermato la produzione.
E a Wenzhou, nella provincia del Zhejiang, dove tra le altre sono diffuse le fabbriche di scarpe, la scena è simile, lancia l’allarme la stampa locale La situazione è tale da spingere il settimanale economico-finanziario Caijing a domandarsi se l’industria manifatturiera cinese, capace di superare la crisi del 2008, riuscirà ad attraversare indenne anche il 2015. Qualche analista parla di crisi esistenziale. La Cina non è più la patria della produzione a basso costo. Da una parte risente della concorrenza dei Paesi del Sudest asiatico, come il Vietnam. Dall’altra deve fronteggiare le iniziative europee e statunitensi volte a riportare a casa le produzioni a maggior contenuto di tecnologia. Lo stesso governo, come sottolineato da McKinsey, si concentra maggiormente sulla creazione di posti di lavoro di qualità e sull’innovazione. A gennaio l’indice manifatturiero ufficiale è sceso ai minimi da 28 mesi, attestandosi a 49,8 punti, sotto la soglia dei 50 che segna lo spartiacque tra espansione e recessione, e in discesa dello 0,3 rispetto a dicembre. Male anche il dato calcolato da Hsbc, fermo a 49,7. Le difficoltà che attraversa il settore emergono anche dal dato sulle esportazioni diffuso a inizio febbraio dall’Amministrazione nazionale per le dogane. L’export, tra i principali motori della crescita cinese così come conosciuta finora, è calato del 3,2% su base annua. Sulle chiusure a ridosso di Capodanno pesano fattori legati al calendario. Chunjie è infatti il periodo dell’anno in cui si ha il picco dei salari e dei pagamenti ai fornitori. A destare attenzione è però soprattutto il comportamento di grandi marchi internazionali. Nei giorni precedenti il passaggio all’anno nuovo il produttore nipponico di orologi Citzen ha fermato la produzione nella provincia del Guangdong. La decisione ha provocato la dura reazione degli operai e spinto il governo locale a interessarsi alla vicenda, cercando una mediazione con l’azienda affinché garantisse compensazioni per quanti sono rimasti senza lavoro. Ma come riporta sempre Caijing, sono diversi i big del Sol Levante che pensano di tornare nell’Arcipelago per rilanciare le basi manifatturiere, anche con l’intento di sfruttare lo yen debole. L’elenco comprende Daikin, Panasonic, Tdk. Uniqlo è invece uno di quei marchi che guarda a sud. Così come ha fatto Microsoft con la scelta di migrare verso il Vietnam e spostare lì la produzione di smartphone. Questo esodo delle fabbriche straniere rischia inoltre di aggravare in parte la fuoriuscita di capitali, in parte motivata dall’incoraggiamento del governo affinché le imprese cinesi investano all’estero. L’esecutivo tuttavia sembra ottimista. I cambiamenti in atto rientrano nella trasformazione del modello di sviluppo, non più basato soltanto sul volume del pil, ma che tenga conto anche della qualità della crescita economica. L’innovazione sarà il perno delle riforme strutturali, è il messaggio che arriva dal Consiglio di Stato, cioè il governo di Pechino.
Andrea Pira, MilanoFinanza 25/2/2015