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 2015  febbraio 25 Mercoledì calendario

PERISCOPIO

Charlie Hebdo, Laura Boldrini: «Bisogna fare satira in modo sostenibile». Solo su carta riciclata. Spinoza. Il Fatto.

Landini ha aperto la finestra, ha dato un’occhiata alla sinistra radicale e l’ha rinchiusa. Jena. La Stampa.

Aldo Busi su «Mondazzoli» (Mondadori più Rizzoli): «Scandaloso è il prezzo. La Rizzoli vale meno». Il Fatto.

Non c’è niente da fare. L’idea della folla in canottiera che sputa nelle fontane deve piacere moltissimo in Campidoglio. Fateci caso. Ovunque spariscono le macchine, arriva l’orrore. Un esempio per tutti, piazza Navona. Era un salotto. La domenica ci si trovava per un cappuccino, al sole. Un paradiso. I miei figli hanno imparato ad andare in bicicletta sull’immensa spianata (c’era un meraviglioso ciclista che noleggiava e aggiustava...), era un luogo tranquillo e amato. Ora è il ricettacolo di ogni ambulante senza arte né parte: improbabili pittori, pupazzi imbiancati, mostri e accattoni di ogni genere. Levi le auto, arrivano le fisarmoniche, gli scippatori, i venditori di fiori inutili, si viene assaliti da falsari di borse e di ogni genere di prodotto. Barbara Palombelli, scrittrice. il Foglio.

Mettiamocelo in testa: corrotti, corruttori e grandi evasori non si fermano davanti agli auspici, agli editoriali, ai discorsi del Presidente della Repubblica. Non si fermano per senso civico. Non si fermano perché sentono i rimorsi di coscienza. Si fermano solo se capiscono che, se li pescano, finiscono dentro. E ci stanno. Così accade in Germania, in Gran Bretagna e negli Stati Uniti. Antiche democrazie, non satrapie mediorientali. Beppe Severgnini. Sette.

Siamo animali fatti per danzare. Kurt Vonnegut, scrittore, Quando siete felici fateci caso. Minimum Fax .

Ruota della fortuna a parte, la maggiore verità sul fenomeno Renzi l’ha scritta uno che lo odia. Un italianista e barone universitario (Asor Rosa, ndr) che si è lamentato perché i pellegrini radunati per i funerali di Giovanni Paolo II gli pisciavano sotto casa a Borgo Pio, caso estremo di relazione incongrua tra scrittori e popolo. Uno che è da sempre il cocco dell’opinionismo delle tricoteuses, che voleva chiamare i carabinieri per sloggiare il Cav. eletto alla guida del governo, che ardeva di passione contro gli americani in Iraq, sia la prima sia la seconda volta, che fa battaglie ecologiche per difendere il suo poderino a Monticchiello, uno che stava con Miloš evic, che adorava gli operai come dura razza pagana, che teorizzava l’esistenza addirittura di «due società » nel 1977 (gli untorelli indiani sono anche loro finiti notai metropolitani, formidabile quell’anno), uno che varò una rivista teorica postoperaista, Laboratorio politico, la cui tristezza mio zio Franco ribattezzò «Obitorio politico». Scrisse, il barone, su un quotidiano comunista che il vero guaio con Renzi era l’avvento alla guida della sinistra di un competitore, forse scrisse competitor, non ricordo bene. Gli era insopportabile la scomparsa del nemico politico e ideologico. Giuliano Ferrara, The Royal Baby. Rizzoli.

Italiano com’era, e per di più fascista, Malaparte non riuscì a librarsi, come avrebbe voluto, nell’alto dei cieli della grande cultura europea, che sfi orò più volte, agitando le pagine dei suoi libri come ali. Non raggiunse mai le vette alle quali mirava, neppure col suo libro più memorabile, Tecnica del colpo di stato, pubblicato in prima edizione a Parigi nel 1931, che, con decenni d’anticipo sulla moderna fi losofi a politica, disse tutto quel che c’era da dire sul modello di civiltà che le trincee della Grande guerra avevano regalato al mondo: avventurieri, psicopatici e terroristi che prendevano il potere con un assalto alla baionetta o un lancio di bombe a mano. Diego Gabutti. Sette.

«Novità: pane burro e marmellata». Cartello su un bar del centro a Varese.

«Non so quanto gli uomini della Chiesa siano disposti a rinunciare a una fetta di potere. Pochi sentono il problema. Del resto tanti sono anziani, hanno passato la vita a vedere donne che fanno le serve. Per questo è fondamentale che ci siano donne a insegnare nei seminari: così i futuri preti non le vedranno solo a lavare piatti o calzini, si faranno un’idea diversa. Lucetta Scaraffi a, storica, responsabile dell’inserto femminile dell’Osservatore romano (Gian Guido Vecchi). Corsera.

Quando mia figlia studia a casa con le sue compagne, mi ritiro, discreta; mi basta, da lontano, sentirne la voce, e le risate. Allora ringrazio Dio di avermela data. Ma, mia madre, come ha fatto, come ha potuto, senza quella figlia che le morì giovane, continuare a vivere? Non lo so capire. Ma mi pare di saperle, ora, di nuovo insieme. Certamente è così. Altrimenti, vuoto sarebbe, e inutile, il Paradiso. Marina Corradi. Tempi.

La prima e unica volta che cenai con Katia Ricciarelli, anni fa, lei mi elargì un giudizio inaspettato e molto terragno sull’ex marito Pippo Baudo: «Xe un gambo de sedano ». Che fra i contadini della Serenissima equivale a «lòngo e sciào», detto con perfida indulgenza dell’uomo che abbia la sua dote migliore nella statura ragguardevole. Katia Ricciarelli (Stefano Lorenzetto). Panorama. Le mani sulla città è stato un affresco sul degrado della politica italiana. Ricordo le riunioni dei consigli comunali a cui assistemmo, a Napoli, io e La Capria per documentarci. Mio padre, fotografo dilettante, che durante le riprese spunta dai calcinacci di un palazzo abbattuto in Via Marittima con la sua Rollerfl ex in mano. Carlo Fermariello, un dirigente del Pci locale, meraviglioso interprete di se stesso nel film. Persuadere il partito ad autorizzarlo fu un’impresa: «I nostri iscritti non fanno gli attori». Poi cenai con Amendola. Pragmatico, risolse il problema: «Basta con queste manie borghesi, può essere molto utile anche al partito. Fermariello reciti». Malcom Pagani e Fabrizio Corallo. Il Fatto.

Doveva essere intorno alla mezzanotte, l’ora in cui «va la ronda del piacer». Le coppie apparivano accaldate, eccitate dal vino. Ed ecco che, dietro una tenda, nonna Mora scopre la nipote Carlotta (fresca sposa) appiccicata al marito di un’altra; e lo bacia! Il colmo della sorpresa sta nel fatto che il fedifrago è un uomo pio, dirigente dell’Azione Cattolica. Per di più, ha un cognome pesante da portare: Piovàn, che, in veneto, vuol dire parroco. Nantas Salvalaggio, Rio dei pensieri. Mondadori. 1980.

Mi sacrifico troppo per me per sacrifi carmi per gli altri. Roberto Gervaso. il Messaggero.

Paolo Siepi, ItaliaOggi 25/2/2015