Tino Oldani, ItaliaOggi 25/2/2015, 25 febbraio 2015
CON LA NOMINA DI BARNIER A SUO CONSIGLIERE PER DIFESA E SICUREZZA, JUNCKER HA COMMISSARIATO LA MOGHERINI
Pochi giorni fa il presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, ha nominato il francese Michel Barnier suo consigliere speciale per la difesa e la sicurezza. Un incarico nuovo di zecca, mai esistito finora, che viene interpretato dai più come un commissariamento di Lady Pesc, Federica Mogherini, che ricopre l’incarico altisonante di «Alto rappresentante dell’Ue per gli affari esteri e la politica di sicurezza». Questo sulla carta. Ma, nei fatti, d’ora in poi, la Mogherini non conterà più nulla in materia di sicurezza. Quanto al resto (la politica estera Ue), la sua irrilevanza politica ne risulterà ancor più amplificata.
Il direttore di ItaliaOggi, Pierluigi Magnaschi, ha già descritto in modo magistrale questa assoluta irrilevanza, due settimane fa, quando in un editoriale ha fatto notare che Angela Merkel e François Hollande non si sono neppure degnati di informare Lady Pesc della loro missione negoziale sulla crisi Ucraina, volta ad evitare un’escalation che avrebbe portato a una vera e propria guerra ai confini dell’Europa. A quella prima umiliazione, se ne aggiunge ora una seconda, non meno grave, se si considera che, nel frattempo, è esplosa la questione della Libia, dove il sommarsi di terrorismo, caos politico e sbarchi incontrollati dei migranti in Sicilia pone all’Unione europea problemi molto seri sul piano della difesa e della sicurezza. Ma anche qui, per quanto la Mogherini vada ripetendo sui giornali e in tv che lei «fa gioco di squadra», il suo ruolo di Lady Pesc risulta di fatto svuotato dalle nuove competenze affidate a Barnier, guarda caso un ex ministro degli Esteri.
A differenza della Mogherini, che è stata catapultata a Bruxelles da Matteo Renzi senza una precedente esperienza europea e con pochi mesi di Farnesina alle spalle, Michel Barnier, classe 1951, non è uno sconosciuto nei palazzi che contano a Bruxelles. Per due volte è stato commissario europeo, prima con Romano Prodi come responsabile degli Affari regionali (1999-2004), poi con Manuel Barroso come responsabile del Mercato interno e dei servizi finanziari (2009-2014). Nell’intervallo tra i due incarichi, è stato più volte ministro in Francia (Esteri e Agricoltura), nonché esponente di primo piano dell’Ump (il partito di Nicolas Sarkozy) e del Partito popolare europeo (Ppe), lo stesso della Merkel e di Juncker.
Scoprire ora che Juncker e Barnier sono amici e sodali, fa quasi sorridere se si pensa che solo un anno fa erano i due maggiori rivali in corsa, all’interno del Ppe, per la nomina del candidato popolare a guidare la nuova Commissione Ue. Alla fine, nel congresso di Dublino, grazie all’appoggio di Angela Merkel, vinse Juncker, che batté Barnier con 382 voti a favore, contro 245 del rivale. I due erano però amici, e tali sono rimasti, non solo sul piano politico.
Quando ha nominato i 28 commissari del suo esecutivo, tutti indicati dai rispettivi governi nazionali, Juncker non poteva fare altro che insediare il socialista Pierre Moscovici per la Francia. Ma, da democristiano di lungo corso, il presidente della Commissione Ue ha saputo attendere il momento propizio per far tornare a Bruxelles l’amico Barnier, togliendolo così da una sgradevole quanto imbarazzante situazione politica personale, in quanto sconfitto all’interno dell’Ump come candidato per le elezioni regionali (Rhone-Alpes-Auvergne). Proprio così: un politico francese fresco di trombatura è stato più che sufficiente per commissariare «l’Alto rappresentante» Mogherini.
Sul piano formale, Juncker ha giocato come il gatto con il topo. Venerdì 17 dicembre, subito dopo avere annunciato la nomina del suo nuovo consigliere, ha dichiarato: «Michel Barnier ha una vasta esperienza nel campo della difesa e della sicurezza. È l’uomo giusto per dare consigli a me e all’Alto rappresentante nonché vicepresidente, Federica Mogherini, in queste importanti materie per il futuro dell’Europa». Sulla carta, Lady Pesc rimane un gradino sopra Barnier. Ma a Bruxelles sono tutti convinti che d’ora in poi, più che gioco di squadra, farà molta panchina.
L’Italia paga così il prezzo di una nomina sbagliata. Chi ha visto domenica sera l’intervista della Mogherini a Fabio Fazio su Raitre ha potuto constatarne l’inconsistenza: oltre a ripetere, come una Serracchiani qualunque, gli slogan di Renzi sull’Europa, ha sciorinato un campionario di banalità tipiche di chi ha frequentato, non la diplomazia, ma le scuole di partito. Nel Pd basta saper scegliere la corrente giusta per fare carriera, e la Mogherini le ha attraversate tutte: prima dalemiana e terzomondista, poi veltroniana, franceschiniana, bersaniana, infine con Renzi. Il marito Matteo Rebeschi, amico e consigliere di Walter Veltroni in Campidoglio, pare sia stato decisivo per la sua rapida ascesa politica.
La Mogherini, quando era con Bersani, disse che «Renzi ha bisogno di studiare un bel po’ la politica estera, non arriva alla sufficienza» (28 novembre 2013). Tre mesi dopo aveva già cambiato corrente, stava con Renzi, che la insediò alla Farnesina. A Roma può sembrare normale. Ma a Bruxelles sanno ancora distinguere le chiacchiere da bar dalle doti diplomatiche, l’arrivismo dall’autorevolezza.
Tino Oldani, ItaliaOggi 25/2/2015