Flavio Pompetti, Il Messaggero 21/2/2015, 21 febbraio 2015
L’ERA DELLE FOTO TAROCCATE
Dream On: Sogna. Sulle note del celebre brano degli Aerosmith, la ditta californiana di software Adobe ha appena creato un video di un solo minuto per celebrare il primo quarto di secolo di Photoshop. È una compilation di decine di immagini inviate dai suoi clienti da tutto il mondo che si intrecciano e si dissolvono in una fantastica sequenza di falsi. Tutto il video è creato a tavolino, al punto che i pochi fotogrammi che riprendono paesaggi e persone vere sono a primo sguardo indistinguibili dai loro cloni costruiti con la tecnica dell’animazione. A 25 anni dalla nascita, il programma di ritocco fotografico più famoso del mondo può vantarsi di aver ridefinito la linea di confine tra realtà e finzione, e di aver innescato un dibattito febbrile che oltre le facili polemiche, in fondo ha restituito più spessore sia all’una che all’altra.
IL DIZIONARIO
Photoshop è oggi un neologismo accettato dal dizionario Webster, la bibbia della linguistica storica americana, che lo definisce come un verbo: «Alterare un immagine digitale in modo da distorcere la realtà, con la chiara volontà di ingannare». I veri artisti del settore infatti firmano i loro lavori con dettagli invisibili ma rivelatori della finzione, come il pelo della zampa di un leone, in una famosa copertina che ritrae la star Oprah Winfrey tranquillamente sdraiata al suo fianco. Un occhio attento vede che la mano di Oprah poggiata sulla zampa del felino non comprime affatto il pelo che la ricopre.
Il fenomeno del ritocco è però molto più antico della nascita della foto digitale. È stato praticato per decenni dai fotografi che modificavano a mano i ritratti per abbellire i propri clienti. Nel 1930 George Hurrell lo portò per la prima volta ad Hollywood, alterando i volti di Jean Harlow e Clark Gable, Bette Davis e James Cagney. Nacquero allora le prime polemiche sull’uso dell’immagine falsificata a scopi commerciali.
La prima applicazione del Photoshop di era moderna, dopo il suo debutto nel 1990, era invece paradossalmente una critica del fenomeno della falsificazione. L’art director Lee Swillingham lo usò immediatamente per alterare le immagini delle star che apparivano sulla sua rivista The Face in modo tanto irreale da fugare ogni dubbio sull’autenticità. Creò donne con colli da giraffa e visi di un perfetto ovale, sulla falsariga delle immagini manieriste. Il suo era un atto di sfida contro le prime supermodel che affioravano in quegli anni, e la cui bellezza sfiorava una perfezione estetica quasi offensiva per le donne che erano chiamate ad imitarla.
I fratelli Thomas e John Koll che crearono il programma per Adobe (ma quante coppie di figli punteggiano la storia di Internet!) non avevano idea della portata rivoluzionaria che avrebbe avuto. La prima versione permetteva solo di allungare e accorciare le linee, offuscarle o renderle più nette. Solo qualche anno dopo la tecnica della stratificazione (immagini sovrapposte per modificare sostanzialmente i confini di quelle sottostanti), ha aperto la porta alla manipolazione totale.
IL PUBBLICO
Il gran pubblico si rese conto di quanto stava avvenendo nel 2003, quando l’attrice australiana Kate Winslett denunciò pubblicamente il mensile di moda GQ per avere reinventato il suo corpo per una foto di copertina. A fine decennio la rassegna «Le cento donne più belle» di People aveva già la subcategoria delle «undici senza ritocchi». Poi sono venute le immagini di modelle che avevano accidentalmente perso in fase di stampa un braccio o un naso, fino alla donna con tre seni che millantava di averne uno trapiantato tra i due naturali. Con il passare degli anni le immagini artificiali si sono al tal punto insinuate a fianco e in sovrapposizione a quelle reali, che ormai non c’è più un film che non passi in fase di montaggio sotto le macchine che creano effetti speciali, per modificare il profilo di una natica, o assottigliare i fianchi di un attore.
Siamo così giunti all’apparizione quasi contemporanea negli ultimi giorni di due immagini che Adobe avrebbe sicuramente pagato per festeggiare il compleanno di Photoshop, e che invece sono assolutamente gratuite e piene di significato: da una parte il volto di Beyoncè, la regina del ritocco permanente e dalla pelle di porcellana, che per qualche ora è apparso in Internet in un vecchio scatto de L’Oreal in una versione “nature” piena di umanissimi pori, con grande scandalo dei suoi fan. Dall’altra quella dell’ex supermodel Cindy Crawford, determinata a difendere il suo corpo tonico e rugoso da cinquantenne, contro l’imperativo mediatico della sinuosità permanente, e che si esibisce con orgoglio senza alcun beneficio grafico.