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 2015  febbraio 25 Mercoledì calendario

PEZZI SULLA GRECIA DI REPUBBLICA DI OGGI



NAZIONALE - 25 febbraio 2015
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ECONOMIA
LA GIORNATA
Sì dell’Eurogruppo ad Atene ma sul piano di riforme molti dubbi da Fmi e Bce
Patrimoniale e Iva, spending review e pensioni posticipate La Merkel: “Non è finita ma almeno il governo torna alla realtà”
ANDREA BONANNI
BRUXELLES .
Ai ministri dell’Eurogruppo sono bastati pochi minuti in teleconferenza per dare il via libera alla lista di riforme presentata dal governo greco e considerata «una valida base di partenza». Poco dopo è arrivato anche il benestare, sia pure con molte riserve, degli altri due creditori di Atene: il Fondo monetario internazionale e la Banca centrale europea. La Grecia ottiene dunque una proroga di quattro mesi del programma di assistenza europeo che le eviterà la bancarotta e l’uscita dall’euro, ammesso che i Parlamenti di Germania, Estonia, Olanda e Finlandia, che si pronunceranno entro la settimana, confermino la scelta dei rispettivi governi. Atene ha tempo fino a giugno per completare le riforme e le correzioni di bilancio che erano state concordate dal precedente governo e che avrebbero dovuto essere chiuse a fine febbraio. Ma non vedrà nuovi finanziamenti fino ad aprile, data entro la quale dovrà ottenere il beneplacito della Troika composta da Commissione, Bce e Fmi su un programma di riforme e di manovre fiscali molto più dettagliato. Da qui a giugno, intanto, il nuovo governo di Alexis Tsipras dovrà cercare di concordare con l’Eurogruppo un terzo programma di salvataggio accompagnato a nuovi finanziamenti, visto che difficilmente per quella data sarà in grado di tornare a finanziarsi sui mercati.
Il ministro greco delle Finanze, Yanis Varoufakis, ha inviato il documento di sei pagine con una prima sommaria lista di misure cinque minuti prima di mezzanotte, ora in cui scadevano i termini dettati dall’Eurogruppo. Il testo fissa le priorità del governo greco in quattro aree, ed era stato minuziosamente concordato con la Commissione e con il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem. La lettera contiene ampie zone di ambiguità, come hanno rilevato sia Mario Draghi, presidente della Bce, sia Christine Lagarde, direttrice del Fmi. Del resto una certa vaghezza è necessaria a Tsipras per conservare il consenso del proprio partito e del Parlamento. Ma il dato politico più rilevante, e che ha indotto i ministri dell’Eurogruppo a concedere la proroga del programma di assistenza, è che il nuovo governo accetta esplicitamente la supervisione dei suoi creditori, si impegna a non prendere misure unilaterali e appare ormai convinto della necessità di lavorare in strettissima cooperazione con la Commissione europea.
«Il governo greco del premier Alexis Tsipras è tornato passo dopo passo alla realtà, ma ci saranno altri negoziati con la Grecia. Il lavoro non è ancora concluso», ha commentato la Cancelliera Angela Merkel parlando ai deputati del suo partito e invitandoli a dare il via libera alla proroga quando il Bundestag sarà chiamato a votarla, venerdì prossimo.
E’ chiaro che il negoziato, da qui ad aprile, sarà duro.
«Sottolineiamo che gli impegni delineati dalle Autorità divergono da quelli esistenti nel programma in diversi settori - scrive Mario Draghi nella lettera all’Eurogruppo - sia chiaro che la base per concludere l’attuale esame, e anche per qualsiasi accordo futuro, saranno gli impegni già esistenti nel quadro del Memorandum of Understanding in corso». Il presidente della Bce sottolinea che Francoforte «dovrà valutare durante l’esame se al posto delle misure non accettate dalle Autorità ci siano altre misure di uguale o migliore qualità in termini di raggiungimento degli obiettivi del programma». Draghi non ha ancora comunicato se e quando la Bce tornerà ad accettare i titoli greci come collaterale per fornire liquidità alle banche del Paese. Severo anche il giudizio della direttrice del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde, secondo cui la lettera di Varoufakis, pur essendo accettabile, «non fornisce una chiara garanzia» della volontà di realizzare «le riforme già concordate». La strada che Atene dovrà percorrere si presenta ancora tutta in salita.
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NAZIONALE - 25 febbraio 2015
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ECONOMIA
Ora la partita più difficile per Tsipras riconquistare la Grecia
ETTORE LIVINI
DAL NOSTRO INVIATO
ATENE .
Alexis Tsipras guadagna quattro mesi di tempo per salvare Atene. E vara un piano di riforme che — dopo l’ok dell’Eurogruppo — affronta ora l’esame più difficile: quello dei greci e di Syriza. Le sei pagine di «ambiguità costruttiva » ( copyright dell’autore Yanis Varoufakis) prive di numeri e cifre approvate dall’ex Troika hanno regalato una giornata da incorniciare ai mercati (+10% la Borsa ellenica) ma non hanno placato i mal di pancia della sinistra nazionale. «I vecchi combattenti come te sanno che in certi casi la forza non basta — ha spiegato Tsipras al compositore Mikis Theodorakis, capofila con l’eroe della Resistenza Manolis Glezos della fronda domestica — . Servono cervello e strategia per non cadere nelle trappole».
Dovrà utilizzarli entrambi nelle prossime ore per convincere il Paese che i “pro” dell’intesa — «nessuno ci detterà più le riforme e abbiamo vincoli meno stretti sull’avanzo primario» — sono di gran lunga superiori ai contro: il ritorno sotto mentite spoglie del memorandum e della Troika e la mezza marcia indietro — obbligata viste le forze in campo — su alcune promesse elettorali. «Siamo partiti da Marx e siamo arrivati a Blair» scherzavano (ma non troppo) ieri alcuni uomini dell’ala più radicale di Syriza. La vera sfida di Tsipras è riuscire a realizzare le ambiziose riforme proposte per liberare le risorse necessarie ad affrontare la crisi umanitaria nazionale: luce gratis ai poveri, la tredicesima per le pensioni più basse, assistenza sanitaria per tutti, ritorno dei contratti collettivi. «Priorità unilaterali da approvare il primo giorno di governo», alla vigilia delle elezioni, relegate oggi in coda agli impegni presi con la Ue, subordinate oltretutto all’ok dei creditori e — come recita lapidaria l’ultima frase del documento — «alla certezza che non avranno alcun effetto sui conti dello Stato ».
LA GUERRA AGLI EVASORI
E’ il capitolo più aggressivo nella lettera di Varoufakis e quello che è piaciuto di più a Bruxelles. Il governo si impegna («con l’aiuto dei partner») al varo di un’anagrafe tributaria hi-tech in grado di passare ai raggi x anche le dichiarazioni passate e a rafforzare l’indipendenza del Segretario generale del Fisco dalla politica. Guerra totale anche a contrabbando tabacco (800 milioni l’anno di entrate in più) e benzina (1,5 miliardi) rendendo obbligatorio il Gps sulle navi per evitare che scarichino carburante fuori dai porti autorizzati. Queste entrate dovrebbero consentire di evitare i tagli alle pensioni e l’aumento dell’Iva annunciati da Samaras.
CONDONO E BUROCRAZIA
Altre risorse arriveranno da un mega condono fiscale in stile Robin Hood. Syriza consentirà di riscadenzare in 100 rate gli arretrati con l’erario, privilegiando le famiglie più povere e penalizzando i grandi evasori. Operazione che dovrebbe garantire 2,5 miliardi di entrate. In arrivo, con gli applausi dell’Eurogruppo, un piano di aste online per tagliare i costi delle forniture dello Stato e una riorganizzazione della pubblica amministrazione per sforbiciare le spese che non vanno in pensioni e salari, «un impressionante 56% del totale». Lotta dura anche contro cartelli e corporazioni.
PRIVATIZZAZIONI E LAVORO
Qui iniziano i guai sul fronte interno. Atene si impegna a non fa- re retromarcia sulle privatizzazioni già avviate, come quella del Pireo e degli aeroporti. E valuterà quelle successive in base «all’interesse nazionale». Panagiotis Lafazanis, ministro e leader dell’opposizione interna, ha contestato duramente ieri in Consiglio dei ministri questo punto. Molte polemiche ci sono anche in tema di lavoro. Il documento approvato in Europa prevede in modo vago «un approccio creativo» per reintrodurre i contratti collettivi e — molto gradualmente — lo stipendio minimo. Ma solo con l’ok dei creditori.
PENSIONI E CORRUZIONE
La lotta alla corruzione sarà una «priorità nazionale». Atene si impegna a rivedere il finanziamento pubblico ai partiti, a tagliare i legami tra economia e politica obbligando ad esempio gli oligarchi a pagare frequenze e tasse. Il documento non fa per ora riferimento ai privilegi fiscali di armatori e Chiesa ortodossa. Verrà abolita l’immunità parlamentare. Malumori suscita invece il delicatissimo problema delle pensioni, che Samaras, per dire, non aveva voluto affrontare. Syriza promette di legarle ai contributi versati e, soprattutto, di eliminare i privilegi. Letto in controluce, salterà la possibilità di prepensionamento per molte categorie. Tasto delicatissimo per la pax sociale nazionale.
LE MISURE UMANITARIE
E’ di gran lunga il capitolo più delicato. «Dobbiamo affrontare le emergenze sociali causate dalla crisi — dice il documento nella parte finale — . Cose basilari come cibo, casa, energia e salute. Valuteremo la possibilità di uno stipendio minimo garantito nazionale». Peccato che la solidarietà alla “tedesca” abbia precisi vincoli contabili. «Dobbiamo intervenire essendo certi che la crisi umanitaria non abbia conseguenze sulla solidità del bilancio dello Stato». I soldi, insomma, si spendono solo se ci sono. E visto che Atene è senza un euro, gli interventi per tamponare la tragedia sociale saranno costretti a rimanere in lista d’attesa.
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Appello di Schaeuble ai democristiani tedeschi “Approvate l’accordo”
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
ANDREA TARQUINI
BERLINO . «Onorevoli, deputati, legislatori della grande coalizione, vi prego di accettare la piattaforma di negoziato con la Grecia, a nome della cancelliera, del vicecancelliere e del governo tutto». Poche parole, come è nel suo stile. Tra e-mail e cinguettii twitter a raffica, il potente ministro delle Finanze federale, Wolfgang Schaeuble, ha insolitamente pregato i deputati conservatori (CduCsu), rivolgendosi indirettamente anche a quelli socialdemocratici, di autorizzare il governo Merkel a dire sì all’accordo tra Eurogruppo e governo greco. Atmosfera insolita a Berlino: il governo che più di ogni altro ha alzato il tono contro Atene adesso teme di perdere il controllo degli umori del paese, e chiede al Bundestag di dire sì venerdì prossimo al salvataggio della Grecia .
«Sono fiducioso in un ampio sostegno del Parlamento alla proposta del governo», si è affrettato a dire il segretario parlamentare della CduCsu, Michael Grosse-Broemer, commentando a caldo l’appello di Schaeuble. Scenario inatteso: i falchi diventano colombe perché temono che i superfalchi li scavalchino. «Si tratta di un programma già approvato, sono fondi in ogni caso già assegnati alla Grecia», aggiungono i portavoce.
A creare confusione è stato anche un “giallo” a metà giornata. Tutto è nato da una presunta dichiarazione del portavoce di Schaeuble, secondo cui «la lettera di Atene non conduce a soluzioni sostanziali, va nella direzione di un finanziamento-ponte, ma senza rispondere piena- mente alle richieste del programma, e non rispetta i criteri concordati all’Eurogruppo». Insomma parole di bocciatura. Contraddette poche ore dopo: «Il portavoce del ministro delle finanze non si è oggi pronunciato sulla lista di riforme presentata dal governo greco. Da Berlino, quindi, non c’è alcuna bocciatura in merito. Il riferimento alla bocciatura espressa dal portavoce era contenuto in un articolo pubblicato dal Guardian di giovedì scorso».
L’alleanza con la Spd, commentano ambienti politici governativi, è ancora una volta la carta più forte in mano a Merkel e Schaeuble per frenare gli euroscettici. La Grosse Koalition, in realtà, conta in teoria su 504 dei 631 deputati del Bundestag, quindi l’appello di Schaeuble suona assolutamente singolare. Ma l’umore nella base democristiana è pessimo: «i nostri non ne possono più di continuare a promettere soldi a un pozzo senza fondo», dicono gli uominichiave della Csu bavarese in Parlamento, e aggiungono una frase inquietante: «Non chiedeteci quanti e quali Paesi secondo noi faranno parte dell’eurozona tra cinque anni, l’euro è una valuta giovane, inutile speculare su scenari futuri». Insomma nessuna scommessa sulla tenuta dei partner monetari di oggi per il futuro della valuta comune.
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LA STAMPA
PEZZO DI STEFANO LEPRI
Non somiglia affatto al programma elettorale di Alexis Tsipras il documento greco approvato ieri dall’Eurogruppo; ma è anche assai vago. Conferma che venerdì scorso si è siglato un compromesso politico. In prospettiva, può darsi che risulti un compromesso sbagliato: ancora troppo rigore, per contentare i tedeschi, non abbastanza riforme, perché in Grecia a chiunque sono difficili.
Molto è affidato a quanto sapranno lavorare insieme le autorità europee e un governo greco ancora con le spalle al muro perché ancora privo di finanziamenti certi almeno per due mesi. Un rischio importante è indicato da Mario Draghi nella lettera che la Bce ha inviato ieri all’Eurogruppo: a vecchie pratiche di malgoverno ad Atene non se ne devono sostituire di nuove.
La Bce invita a definire subito i termini di alcune promesse che Tsipras intende mantenere. Se si annuncia che non saranno sfrattate le famiglie non in grado di pagare le rate del mutuo, occorre chiarire che si interverrà sulle morosità preesistenti, altrimenti molti cominceranno a non pagare adesso; così come la rateizzazione-condono dei debiti fiscali non dovrà applicarsi a chi evade ora.
La Grecia ha appunto bisogno di legalità e di regole chiare; non di estendere l’illegalità ad altri.
Finora i controllori esteri avevano insistito fino in fondo sui «tagli» (a spesa pubblica e retribuzioni) di un programma di austerità troppo rapido, lasciando correre sul resto, salvo qualche schematismo dottrinario su meno Stato. Era una forma di cinismo da parte dei Paesi creditori.

Ora in diversi casi il governo greco chiede aiuto esterno, ad esempio per mettere in piedi una anagrafe tributaria o per riorganizzare la sanità. Sarà più facile superare le resistenze ideologiche dell’ala dura di Sriza se si offriranno soluzioni pragmatiche, invece di schematismi. Occorre saper spiegare ai cittadini che si dà spazio al mercato per far funzionare meglio, non per il vantaggio di qualcuno.
Sulle privatizzazioni appunto, come lamenta il Fmi, l’intesa è tutt’altro che chiara. La Grecia finora ha saputo solo offrire la scelta tra aziende pubbliche inefficienti e clientelari e cessioni a gruppi oligarchici, spesso a prezzo di favore. Nel testo di ieri la preferenza per la prima soluzione è scomparsa, come pure il riferimento ambiguo all’«interesse nazionale»; per il resto, chissà.
Non ci saranno nuove strette al bilancio. Ma non è possibile stabilire, ad esempio, se aumenterà l’aliquota Iva o no. Per compensare le annunciate erogazioni ai più poveri si sarebbe potuto intervenire sulla esenzione fiscale per le proprietà della Chiesa ortodossa o sulle ingenti spese militari: lo impedisce l’accordo di governo con il partitino di destra Anel.
Neppure si sa che cosa avverrà dei privilegi fiscali dell’industria armatoriale, potenza finora intoccabile anche data la minaccia di trasferirsi altrove. Il classico della sinistra pura e dura, l’imposta patrimoniale, è escluso perché lo Stato non è in grado di conoscerne le basi imponibili.
Ma proprio nelle sue parole limate e generiche la lista di ieri inventa un linguaggio comune tra sinistra greca e tecnocrati europei. Assomiglia a un corposo programma riformista: realizzarne un terzo sarebbe già gran cosa. Chissà quanto sarà traumatica per un partito estremo che era cresciuto accorpando tutt’altro, sindacati sconfitti, ceti medi in rivolta contro prebende perdute, transfughi politici dotati di pacchetti di voti.
La sfida di rifare la Grecia è importante per tutti, non solo per chi la governa. Si è deciso di farla restare nell’euro, si deve ora saper collaborare per renderla più europea. Alla chiusura dei 4 mesi ora concordati, se saranno iniziate efficaci riforme si dovrà compensarle con obiettivi di bilancio meno soffocanti.

FASSINA DICE CHE SAREBBE MEGLIO USCIRE DALL’EURO
FRANCESCA SCHIANCHI
Stefano Fassina, deputato Pd ed ex viceministro dell’Economia, la convince il piano greco?
«Il piano contiene riforme strutturali che affrontano punti importanti, credo che si possa trovare il consenso dei partner europei. Ma il punto è un altro».
Quale?
«Questo accordo, o anche uno più spinto verso le proposte greche, temo non sia sufficiente a risollevare la situazione. Sono stati lasciati cadere punti sistemici come la conferenza sul debito o quello che è stato enfaticamente chiamato new deal per gli investimenti, e le altre misure non sono adeguate a dare una svolta alla situazione greca».
Qual è allora la via d’uscita?
«Dati i vincoli politici che abbiamo riscontrato in queste settimane a Bruxelles e a Berlino, temo che sia molto complicata una svolta dentro l’euro per la Grecia».
Intende dire che Atene dovrebbe uscire dall’euro?
«Se vuole sopravvivere, e se la sinistra greca vuole sopravvivere, dati i vincoli politici che vi sono oggi nell’Eurozona, temo che per la Grecia non vi sia altra possibilità che uscire».
Ma quali sarebbero le conseguenze? C’è chi descrive scenari apocalittici…
«E’ evidente che non sarebbe una passeggiata, ma credo che l’Apocalisse in Grecia sia già arrivata… La linea proposta porterà inevitabilmente tra qualche mese a dover ristrutturare il debito, quest’accordo serve solo a prendere tempo. E’ ovvio che ci sarebbero costi di breve periodo che possono essere elevati, ma lungo la strada che è stata impostata non ci sono soluzioni: l’impatto arriverà e, temo, in condizioni peggiori di quelle di ora».
E non ci sarebbe il rischio di un effetto domino su altri Paesi?
«I rischi sono tanti, ma l’Eurozona arriva al naufragio lungo la rotta che sta percorrendo. Non è che stiamo percorrendo una rotta lenta e faticosa ma alla fine arriveremo alla Terra promessa: no, con questa rotta stiamo andando al naufragio».
Scusi ma uscire dall’euro non è la ricetta della Lega?
«Innanzitutto, stiamo parlando della Grecia, con le sue condizioni e le sue difficoltà. Dopodiché, a un certo punto c’è il buon senso oltre alla politica: se uno continua su una strada che lo porta alla deflazione e all’impennata dei debiti pubblici, si deve rendere conto che è su una strada non più sostenibile. Non è un problema di destra o sinistra: è un problema di prenderne atto».
Potrebbe succedere che anche l’Italia si debba porre il problema di uscire dall’euro?
«Questo problema se lo devono porre tutti, anche la Germania, la Francia, la Spagna... Vede, è male impostata la discussione se abbia vinto Tsipras o l’Europa: al contrario di quello che ha detto il ministro Padoan, in questa partita hanno perso tutti. Le correzioni necessarie a far funzionare l’euro sono politicamente impossibili: vogliamo dirci questa amara verità o vogliamo far finta che con un’altra operazione di precarizzazione del lavoro riusciamo a far ripartire l’economia?».