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 2015  febbraio 24 Martedì calendario

Oscar • «Al suo ottantasettesimo anno, l’Oscar va dove è spesso andato. Verso i film (meglio gli attori) colpiti da malattia più o meno terminale

Oscar • «Al suo ottantasettesimo anno, l’Oscar va dove è spesso andato. Verso i film (meglio gli attori) colpiti da malattia più o meno terminale. Verso le opere che più o meno direttamente parlano dell’Olocausto. Verso le pellicole che sollevano simpatie decisamente freudiane nelle giurie degli Academy Awards. Giurie che come molti sanno sono formate da «vecchi» del mestiere (attori, registi, sceneggiatori spesso bolliti) che vanno invariabilmente in brodo di giuggiole quando vedono un bollito sullo schermo» [Giorgio Carbone, Lib 24/2/2015]. • Gli Oscar 2015 hanno visto trionfare Birdman. Il film di Alejandro Gonzalez Iñarritu si è portato a casa quattro statuette: miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura originale e miglior fotografia. Il regista: «Indosso le mutande di Michael Keaton, proprio quelle del film. Sono strette e puzzano, ma ho vinto, quindi mi hanno portato fortuna!». • Birdman in breve: Riggan Thomson (Michael Keaton) è un attore di Hollywood in una fase discendente della sua carriera, dopo i successi ottenuti recitando nel ruolo di Birdman, un supereroe con un costume da uccello che può volare. Per slegare la sua immagine da quella di film mediocri ma di grande successo, Thomson adatta un racconto di Raymond Carver per una rappresentazione teatrale, nella quale recita da protagonista. Il film racconta le difficoltà nel trovare un cast, i costi di produzione, lo scetticismo della critica nei confronti dell’operazione e i tormenti di Thomson, ossessionato dal suo vecchio personaggio [ilPost 24/2/2015]. • Il regista messicano Alejandro Gonzalez Iñarritu:«Vogliono che sia io a parlare e sono quello che parla l’inglese peggio di tutti. Magari il prossimo anno il governo cambierà le regole per l’immigrazione per i messicani come me che non potranno più entrare all’Academy» [Rep 22/2/2015] • «Chi ha dato a questi figli di... la green card?» (così Sean Penn ha annunciato l’Oscar al miglior film). • Dopo Argo e dopo The Artist, per la terza volta in quattro anni i membri della Academy hanno scelto di premiare un film che parla di loro stessi, un film sulla cultura delle celebrità e che si prende gioco di quegli stessi improbabili supereroi sui quali ormai poggia l’industria del cinema americana [Lorenzo Soria, Sta 22/2/2015]. • Il film di Alejandro González Iñárritu aveva tutti i requisiti: il tono solenne, la sfacciata e compiaciuta dimostrazione di bravura del regista, il ripescaggio di una vecchia gloria appannata come Michael Keaton, quel prendersi sul serio e con una certa pesantezza che, a ben pensarci, è la quintessenza dello spirito degli Oscar [Comingsoon.it 23/2/2015]. Il premio per la migliore sceneggiatura originale a Nicolás Giacobone, Alexander Dinelaris, e Alejandro Gonzales Inarritu mentre a Emmanuel Lubezki è andato quello per la migliore fotografia. • Migliori attori protagonisti sono stati Eddie Redmayne per La teoria del tutto e Julianne Moore per Still Alice. Il premio per i costumi è andato alla torinese Milena Canonero [vedi] per Grand Budapest Hotel: «Grazie Wes, questo premio è tuo. Sei stato una grande ispirazione, sei come un direttore d’orchestra, un compositore. Grazie anche per The Life Aquatic e Darjeeling Limited». Stefania Ulivi: «Al Dolby Theatre, in spolverino e pantaloni neri e camicia bianca, ha misurato le parole mentre Wes Anderson e tutta la squadra di The Grand Budapest Hotel faceva tifo da stadio e in Italia rimbalzava l’orgoglio nazionale con commenti di Renzi, della Boldrini e del presidente Mattarella». Il film di Anderson si è aggiudicato altre tre statuette. • Durante la serata anche un’altra italiana ha avuto il suo riconoscimento: Virna Lisi, scomparsa poche settimane fa, è stata ricordata in “In Memoriam”, la tradizionale rubrica che ricorda agli Oscar gli scomparsi durante l’anno. Insieme a lei anche Anita Ekberg. Ma è stato dimenticato Franco Rosi, regista scomparso il 10 gennaio scorso. Ricordati invece, tra gli altri, Robin Williams, Rod Taylor, Alain Resnais, Gabriel Garcia Marquez, Laurent Bacall, Michey Rooney, Paul Mazursky [Sta 22/2]. • Eddie Redmayne, con l’interpretazione dell’astrofisico Stephen Hawking (in La teoria del tutto) si consacra con il premio per il miglior attore, battendo una concorrenza agguerritissima che ancora una volta deve piegarsi alla legge del “più ti trasfiguri, più vinci“. La sua esultanza è entusiasta [Wired.it 22/2/2015]. • Con l’Oscar a Eddie Redmayne per La teoria del tutto, l’Academy conferma il debole - vagamente morboso e perverso - per le storie di disabilità, deformità e malattia [Comingsoon.it 23/2/2015]. Anche Julianne Moore riceve il suo primo Oscar per la sua sensibile e misurata interpretazione di una donna malata di Alzheimer precoce in Still Alice. Pare che la malattia abbia colpito il cuore dell’Academy of Motion Picture Arts and Sciences. Giovanna Grassi: «Molte sono state le confessioni in diretta tra lacrime e sorrisi, tra i lustrini e la fatica di abiti ingombranti. Una notte segnata «da una emozione incontenibile, che ti annebbia la mente e ti paralizza il corpo», dice Eddie Redmayne. Mentre in platea l’impassibile Clint Eastwood accanto alla sua compagna e all’American Sniper Bradley Cooper (scortato dalla mamma) assistono alla sconfitta del film campione d’incassi nel mondo. Al cecchino patriottico di Clint Eastwood (che partiva con il vantaggio di ben sei nomination) va solo un premio di consolazione, quello per il montaggio sonoro di Alan Robert Murray e Bub Asman. • Poi ci sono state tre statuette per Whiplash, tra cui quella per J.K. Simmons come non protagonista. Migliore attrice non protagonista è emersa invece Patricia Arquette, unico Oscar per Boyhood, il film di Richard Linklater girato nell’arco di 12 anni che secondo i pronostici avrebbe dovuto essere il grande rivale di Birdman [Lorenzo Soria, Sta 22/2/2015]. Paolo Mereghetti: «Mi dispiace che Boyhood non sia stato ricompensato per quello che è, un film coraggioso e originalissimo. Ma queste sono riflessioni dalla periferia dell’Impero. A Hollywood, al centro dell’Impero, hanno colpito di più l’ingresso sul palco di Julie Andrews dopo che Lady Gaga aveva cantato un medley da Tutti insieme appassionatamente» [Cds 24/2/2015] Due parole per dire di che parla Boyhood, sennò non si capisce • Passerà alla storia di questa edizione, sicuramente, il discorso di accettazione del premio di Patricia Arquette, con il quale ricorda a tutti i presenti come anche a Hollywood dovrebbe essere arrivato il momento della parità salariale con J. Lo e Meryl Streep che, dalla platea incitano la collega al grido di «You Go Girl» [Wired.it 22/2/2015]. • Ieri a Washington i repubblicani, consapevoli che la miglior difesa è l’attacco, anziché prendersela con Patricia Arquette, hanno accusato sui loro siti Hillary Clinton che, quando è stata un membro del Senato (dal 2002 al 2008), ha pagato le donne del suo staff molto meno degli uomini: 40.800 dollari l’anno contro 56.500, una differenza del 28 per cento [Gaggi, Cds 24/2/2015]. • Sembrava un congresso politico, più che un premio cinematografico. E in fondo va bene così, perché se l’arte non si mescola con la vita e la società, perde significato [Massimo Gaggi, Sta 24/2/2015]. • «Il mio movimento è per dire che siamo di più dei nostri vestiti. Gli abiti sono fantastici e amiamo gli stilisti che li realizzano, ma vogliamo parlare anche del nostro lavoro e della felicità che proviamo nello stare qui. Anche questo è eccitante per noi» (Reese Witherspoon che, stufa dei i reporter che chiedono solo di abiti e gioielli, ha creato l’hashtag #AskHerMore, chiedetele di più). • Secondo Vanity Fair le più chic sul red carpet erano: « Gwyneth Paltrow, romantica ma moderna, Lupita Nyong’o - di perle vestita - ed Emma Stone, che punta su un colore difficile, ma gettonatissimo quest’anno, come il giallo. Risultando meravigliosa». • Selvaggia Lucarelli: «Scarlett Johansson s’è presentata sul red carpet con un abito a sirena verde di Versace e una pettinatura rasata ai lati da sirena della polizia perché pareva un hooligan del Feyenoord. Jared Leto, in completo lilla e scarpa ortopedica per piede equino, ha polverizzato un’immagine da sex symbol coltivata per anni con cura e caparbietà. La modella ex di Ronaldo Irina Shayk ha infilato dal collo un collant nero velato e s’è presentata alla cerimonia così, sostanzialmente nuda e sorridente, segno che l’addio di Ronaldo l’ha preso bene quanto la ritenzione idrica il giorno in cui scatta per Sport Illustrated. Melanie Griffith era con la figlia Dakota, protagonista di Cinquanta sfumature di grigio. A chi ha notato la sua aria un po’ mesta e le ha domandato se avesse visto il film sado-maso con sua figlia, ha risposto: «No, ma ho visto l’ultimo spot del mio ex travestito da mugnaio e quello si che è masochismo”». • Il conduttore Neal Patrick Harris che dopo aver citato una famosa scena di Birdman è finito in mutande sul palco. • Oprah Winfrey ed Emma Stone non hanno vinto niente, così si consolano con una meravigliosa statuetta in formato Lego giallo. • L’Academy era stata molto criticata per avere dato solo due candidature a Selma, il film di Ava DuVernay su Martin Luther King, e per avere in particolare ignorato la sua regista. Quasi a voler compensare, la cerimonia ha avuto un numero molto elevato di presentatori di colore, tra gli altri Eddie Murphy, Oprah Winfrey, Viola Davis e Chiwetel Ejiofor. E quando il rapper e poeta Common e John Legend hanno cantato la canzone Glory l’intera sala si è alzata in piedi, Leonardo DiCaprio era in lacrime. «La lotta per la libertà e per la giustizia va avanti», ha detto il cantante che ha anche ricordato che «viviamo nel paese con più gente incarcerata del mondo» [Lorenzo Soria, Sta 22/2/2015]. • The Imitation Game, con Benedict Cumberbatch nella parte del matematico britannico Alan Turing, quello che decifrò i codici radio nazisti e che poi, condannato per omosessualità, scelse il suicidio, ha avuto un solo Oscar, per la migliore sceneggiatura. E siccome agli Oscar i tempi sono lunghi, Cumberbatch preferisce attaccarsi alla fiaschetta, mentre vanno in scena premiazioni e ringraziamenti. «A 16 anni ho cercato di uccidermi, perché mi sentivo strano, diverso e fuori posto. E ora sono qui. Perciò vorrei che questo momento fosse dedicato a quella ragazza là fuori che si sente strana, diversa, e pensa di non appartenere a nulla. Sì, hai un posto, te lo giuro. Resta strana, diversa, e quando sarà il tuo turno di salire su questo palco, passa il messaggio al prossimo» (Graham Moore, l’autore gay di The Imitation Game). • Strane scelte invece per gli altri premi. Perfetti quelli ai non protagonisti, ovvi fino alla noia quelli ai due “grandi malati” Julianne Moore e Eddie Redmayne, ma si sa che vincono sempre le interpretazioni più vistose. Perfetto il quarto Oscar a Milena Canonero per i rutilanti costumi di Grand Budapest Hotel. Svogliato e conservatore l’Oscar allo script non originale per The Imitation Game, il classico lavoro “ben fatto”. Criminoso infine trascurare, nel cinema d’animazione, un capolavoro come Storia della principessa splendente di Isao Takahata per premiare il superficiale Big Hero 6 della Disney [Fabrizio Ferzetti, Mess 24/2/2015]