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 2015  febbraio 22 Domenica calendario

LA NUOVA TV HA UN SEGRETO ANTICO

Quante volte abbiamo sentito nominare la parola «palinsesto». Sappiamo che è la sequenza di tutto ciò che viene trasmesso in televisione, un carnet di ballo dei programmi, ma anche una grande scacchiera su cui ogni canale gioca la sua partita: gli obiettivi sono conquistare gli ascolti, mantenere la propria identità di rete e battere la concorrenza.
Finalmente è uscito un libro che affronta in maniera approfondita e sistematica tutti i temi legati alle strategie palinsestuali: gli strumenti e le regole del buon programmatore, le logiche che sottostanno alla sua composizione, la storia della loro definizione e applicazione, gli sviluppi più recenti. Lo ha scritto Luca Barra, docente di Economia e marketing dei media presso l’Università Cattolica di Milano, e si chiama Palinsesto. Storia e tecnica della programmazione televisiva (Editori Laterza).
Il termine palinsesto in origine indicava il codice di pergamena su cui, raschiata la prima scrittura, si vergava un nuovo testo (dal greco palìmpsestos , «raschiato di nuovo»). Il termine divenne famoso quando il filologo Angelo Mai (1782-1854) trovò tra i palinsesti della Biblioteca Vaticana testi di Frontone e Cicerone. Un funzionario colto della Rai (un tempo ne esistevano) chiamò palinsesti i fogli — sovrapposti gli uni agli altri — che scandivano la programmazione trimestrale. Il palinsesto è il prospetto o quadro d’insieme delle trasmissioni programmate da una rete per un dato periodo (giorno, settimana, mese, trimestre), con titoli dei programmi, caratteristiche tecniche, durata, orari di messa in onda. Scopo del palinsesto è individuare le condizioni ottimali perché si realizzi l’appuntamento, il rendez-vous tra spettatore e rete. O almeno, così dovrebbe essere.

Per anni le nostre abitudini casalinghe sono state regolate dal palinsesto. Persino la cena veniva a coincidere con il tg, giusto per condividere le notizie della giornata a tavola. Per anni il nostro rapporto con la tv è stato regolato da una specie di orario dei treni: a volte impreciso, a volte ballerino, ma pur sempre orario. Se mancavi l’appuntamento il programma era perduto, difficile riprenderlo. Adesso le cose stanno cambiando, in maniera radicale. Con le tecnologie digitali, tanto per essere spicci, ognuno si costruisce il palinsesto che vuole. Molta tv si vede in modalità streaming e le abitudini di consumo si sono personalizzate: ogni membro di una famiglia decide di vedere il programma che più gli aggrada, magari seduto a letto con in mano un tablet.
E pur tuttavia, finché la tv generalista sarà egemone, il palinsesto è più vivo che mai, sia come «prodotto» che come «processo». Scrive Barra: «Con il palinsesto, il mezzo televisivo da una parte addomestica, e in qualche modo direziona, il flusso dell’emissione e della visione televisiva; e dall’altra gioca con le temporalità sociali, ora inseguendole e ora invece dettandone il ritmo, instaurando ritualità, abitudini, ripetizioni. Quell’oggetto, difficile da definire e persino da chiamare, si rivela denso di implicazioni, cruciale e sempre presente. Ma ancora non basta. Il termine rappresenta infatti la sintesi di pulsioni e direzioni contrastanti, o persino opposte».
Quante volte, per esempio, abbiamo sentito parlare di controprogrammazione? Ebbene, per molto tempo gli strumenti della «guerra dei palinsesti» sono stati quelli codificati dalla televisione americana: da un lato la controprogrammazione («counter programming»), la collocazione su una rete di un programma destinato a un target diverso da quello della rete concorrente, con una proposta alternativa e differente; e dall’altro l’ antiprogrammazione («competitive programming»), l’inserimento su una rete di un programma destinato allo stesso target del competitor, andando così allo scontro (e costringendo lo spettatore a scegliere da che parte stare). E ancora il traino , o trascinamento verticale («lead in» o «lead out»), un legame tra due programmi consecutivi, di cui uno più forte che porta il suo ascolto su quello debole; il blocking , che consiste nel disporre i programmi nel palinsesto verticale — quello della giornata — in modo che il pubblico sia trascinato da un programma all’altro restando sulla stessa rete; la striscia («stripping»), che posiziona lo stesso programma nella medesima fascia oraria di diversi giorni della settimana, per fidelizzare l’audience; e molte altre tattiche e strategie ancora, in una ridefinizione continua e in uno scontro sempre aperto…
Il palinsesto «sincronizzato» della tv generalista, lo ripetiamo, possiede una grande forza. Ha un impatto unitario sul pubblico e, insieme, si offre come atto creativo. Fa di ogni spettacolo un evento, su cui anche la stampa e gli altri media possono imbastire una critica o un dibattito. È così che in tutti questi anni la tv generalista ha dettato l’agenda agli altri media.
Adesso le cose si sono fatte più complicate, specie da quando la digitalizzazione ha creato il fenomeno della convergenza e le reti, come le piattaforme e le offerte, si sono moltiplicate. La tv digitale rappresenta anche una forma di «liberazione» dal palinsesto, di consumo liberato dai limiti e dai vincoli temporali scanditi dalla «griglia». Eppure, come scrive Barra: «La complessa sfida della tv contemporanea è quella di ricostruire un flusso sempre più disperso, di offrire appuntamenti di visione e “scelte facili”, di mantenere la centralità accettando il mutato campo di gioco. Le strade per riuscirci sono molte, anche se non sempre facili da percorrere, e puntano proprio sulle funzioni che tuttora rendono necessaria — e importante — la sequenza ordinata dei programmi. Lungi dall’abbandonare il palinsesto, il piccolo schermo deve piuttosto farne un punto di forza, un tratto distintivo e caratteristico, forse persino il suo “specifico” in un mondo digitale».
Leggere le tecniche, la storia e le storie dei palinsesti in Italia non è materia riservata solo agli addetti ai lavori (per loro questo libro dovrebbe diventare un breviario); questo libro è per tutti. Sono in molti quelli che parlano di tv, giustamente. Ma conoscere qualche nozione sull’elemento più importante della grammatica televisiva aiuterebbe non poco a dare consistenza ai discorsi che s’intrecciano su quella fatale ossessione collettiva che è la tv.

“In nome del figlio” è il nuovo film di Francesca Archibugi che rispolvera il meglio della commedia all’italiana. Una commedia capace di raccontare l’oggi. Paolo (Alessandro Gassman) è un agente immobiliare rampante e burlone che sta per diventare padre per la prima volta. Una sera viene invitato a cena a casa della sorella Betta (Valeria Golino), sposata con Sandro, professore universitario precario frustrato eTtwitter-dipendente (Luigi Lo Cascio). Una coppia di intellettuali radical chic in piena crisi coniugale. Con loro c’è Claudio (Rocco Papaleo) un amico d’infanzia di Betta ed eccentrico musicista. La moglie di Paolo, Simona (Micaela Ramazzotti), bellissima di periferia con ambizioni letterarie dopo aver pubblicato un romanzo erotico best seller, è in ritardo. In attesa dell’arrivo della moglie, Paolo decide di animare la serata rivelando il nome che intende dare a suo figlio: Benito. Una scelta talmente controversa che diventa la scintilla che scatena un falò comico e trasforma la cena in un disastro.
Così, tra le accoglienti mura di un appartamento che trasuda cultura con i suoi 5.000 libri, Paolo difende la sua scelta sollevando pungenti domande su pregiudizi e atteggiamenti culturali di un Paese dove le ibridazioni tra destra e sinistra continuano a dominare la scena politica italiana. Il film è un remake del grande successo francese, teatrale e cinematografico, Cena tra amici (Le Prénom) di Alexandre de la Patellière.