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 2015  febbraio 22 Domenica calendario

CHE FINE (NON) HA FATTO EBOLA

Che fine ha fatto Ebola? Non se ne parla più. Me lo domandano molti, sapendo che sono stato in Sierra Leone in autunno, nel centro di Emergency per la cura dei colpiti dal virus. «I casi diminuiscono, e ne mandiamo a casa guariti sempre di più — risponde Gino Strada —. Forse ce la facciamo a fermare questa maledetta epidemia, ma è presto per cantare vittoria».
C’è stato un brusco rallentamento nella diffusione del contagio, con l’inizio del 2015.
I malati confermati, nei rapporti settimanali dell’Oms, sono ormai poche unità in Liberia,
e qualche decina in Guinea e in Sierra Leone.
Però può bastare un funerale tradizionale, celebrato senza precauzioni per avviare una serie infernale di contagi a cascata per l’altissima infettività della salma. E di cerimonie funebri clandestine se ne fanno ancora decine in tutta l’Africa occidentale.
È come quando si sta spegnendo un incendio, ma bisogna essere pronti a soffocare
i nuovi focolai sul nascere. E occorre anche stare attenti che il virus non approfitti del fatto che nei Paesi confinanti sinora risparmiati, dal Senegal al Mali, la sorveglianza è meno attiva.
Il rischio è che si abbassi la guardia troppo presto, appena passata l’ondata di panico irrazionale per le isolate incursioni di Ebola nelle città europee e americane. Non da parte di organizzazioni come Emergency, che era già sul posto da oltre dieci anni, e ci rimarrà;
o come Médecins sans frontières, che è arrivata subito e ha retto per mesi gran parte dello sforzo di resistenza al virus. Tutta la macchina messa in piedi dalla comunità internazionale, dall’Oms alle Nazioni Unite, dall’intervento militare USA alla cooperazione britannica, dopo essersi avviata con grande ritardo (è arrivata all’operatività solo in novembre-dicembre), potrebbe ora frettolosamente avviare lo smantellamento. L’occidente non ha compreso il ruolo che lo sfruttamento neocoloniale ha avuto nel facilitare l’estensione senza precedenti dell’epidemia, per esempio attraverso la costruzione di strade e altre strutture di rapida mobilità, non accompagnate da interventi su fogne, acqua potabile e igiene delle abitazioni. Ora c’è la tentazione di dichiarare lo scampato pericolo senza aver capito che quanto accade in Africa (come in ogni altra parte del globo)
ci riguarda tutti, attraverso i fili invisibili ma robusti che legano ogni parte del mondo
in una rete di cause ed effetti a grande distanza nello spazio e nel tempo. Criminalizzare l’Africa come un continente di untori è l’opposto di quel che serve.