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 2015  febbraio 22 Domenica calendario

IL BODYBUILDER E IL CALCIATORE I RAGAZZI DELLA PORTA ACCANTO DIVENTATI JIHADISTI IN SIRIA

«Il sogno di ogni ragazzo è di avere un addome ben scolpito, in modo da potersi togliere la maglietta in spiaggia e farsi guardare», diceva due anni fa, in un video pubblicato su YouTube, Islam Yaken, ventiduenne egiziano cresciuto nel quartiere cairota borghese di Heliopolis, laureato in legge e amante dei party e delle ragazze. Poi, procedeva ad esibirsi davanti alla telecamera, usando il tappeto della preghiera come materassino per gli addominali. Lo scorso dicembre, si era diffusa la notizia che Yaken si sarebbe fatto saltare in aria a Kobane, al confine turco-siriano, dopo essersi arruolato nell’Isis, anche se secondo altre fonti sarebbe ancora vivo. Era diventato subito popolare sui social media: lo chiamavano il «jihadista hipster» per via degli occhiali con la montatura trendy, spessa e nera, e la chioma riccia incontrollata. Un «ragazzo normale» proprio come il suo migliore amico e compagno di università Mahmoud Al Ghandour, 24 anni: appassionato di calcio, arbitro di serie B, che pubblicava su YouTube video in cui cantava o recitava. Tutto questo prima di iniziare «una nuova fase» come scrisse nel 2013 su Facebook. Secondo Al Arabiya, all’inizio ha seguito Yaken in Siria, e ora combatterebbe in Iraq per il Califfato.
E’ forse più facile capire il cammino che porta alla jihad a partire dalla povertà e dalla mancanza di opportunità — citate nel suo recente discorso anche dal presidente americano Barack Obama — piuttosto che immaginare come due laureati con la propensione per i selfie a torso nudo possano trasformarsi in mujahedin pronti a morire per lo Stato Islamico. Ma le storie degli egiziani Yaken e Ghandour non sono l’eccezione, notava nei giorni scorsi Peter Bergen, vicepresidente del think tank «New America Foundation» sulla Cnn. Pur riconoscendo che nei recenti attentati a Parigi e Copenaghen gli attentatori provenivano dai margini della società, Bergen elenca una serie di ricerche post-11 settembre che dimostrano che «il terrorismo islamico è soprattutto un’impresa della classe media». E’ il caso di Bin Laden, del suo successore (chirurgo) Al Zawahiri, dell’attentatore delle Torri Gemelle Mohammed Atta (figlio di un avvocato egiziano e dottorando in Germania) ma anche di due terzi dei miliziani qaedisti esaminati in uno studio dello psichiatra della Cia Marc Sageman (e Gilles Kepel giunse a conclusioni simili in una ricerca su 300 militanti egiziani negli anni 80). Dati che invitano a tenere in conto anche ragioni diverse oltre alla povertà, osservava il New York Times in un recente articolo su Yaken. Il suo sogno di diventare personal trainer in una palestra era sbocciato all’indomani della rivoluzione che ha rovesciato Mubarak nel 2011, ma si è scontrato con le difficoltà economiche e il subbuglio politico nel Paese, con il senso di colpa per i rapporti con le ragazze, con la morte di un amico che lo ha portato ad avvicinarsi a predicatori salafiti. In Siria, lontano da tentazioni occidentali la vita sembrava più facile: kalashnikov e videogiochi. Ora Ghandour viene segnalato in Iraq. A dicembre aveva annunciato su Facebook: «Vado a Roma». Forse immagina di arrivarci con le armate dell’Isis.