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 2015  febbraio 22 Domenica calendario

PERCHÉ SERVE LA «BAD BANK»

Il nostro Paese avrà una “bad bank” che rilevi i crediti deteriorati, detti «Non performing loans» (Npl), del sistema bancario? I segnali vengono dal Governatore della Banca d’Italia, dal Ministro dell’economia e dall’Ocse (e da interessanti studi tra cui quelli del Fmi e di Morgan Stanley). Il problema è complesso ma la decisione non dovrebbe trascinarsi perché i Npl incidono sulla erogazione del credito, anche per i tassi.
L’Italia è in ritardo rispetto ad altri Paesi tra cui la Spagna che nel 2012 ristrutturò il suo sistema bancario con un prestito dal Fondo europeo ESM. Il nostro Paese non sembrava allora in quelle condizioni di necessità ma il Governo avrebbe fatto meglio a chiedere(come abbiamo spesso sostenuto) un prestito analogo. Si disse che le nostre banche erano solide. C’era del vero, tant’è che il nostro sistema creditizio si è ricapitalizzato da solo (anche con l’apporto delle Fondazioni Bancarie) mentre i prestiti pubblici, di ammontare limitato comparativamente ad altri Paesi europei, sono stati ottenuti (e restituiti) dalle banche a tassi di interesse alti. Ad oggi l’unico intervento pubblico riguarda il Monte dei Paschi in quanto lo Stato, per effetto del prestito “Monti bond”, riscuoterà in azioni di nuova emissione gli interessi del 2014.
L’ENTITÀ DEI NPL
I Non Performing Loans (Npl)emersi dimostrano invece che si era sottovalutata la durata e la durezza della crisi italiana con insolvenze e fallimenti di imprese, con l’immobiliare molto penalizzato (anche per la tassazione), con famiglie in difficoltà e con contraccolpi sulle garanzie bancarie. Inoltre l’Unione Bancaria e la Vigilanza unica europea, pur necessarie, hanno imposto alla banche criteri severi nella classificazione dei crediti facendo così crescere le partite deteriorate nonché gli assorbimenti di capitale a copertura e il calo degli utili. Ne è seguita la limitazione del credito all’economia reale.
Il problema riguarda vari tipi di NPL che ricomprendono situazioni di diversa gravità. Infatti sul complesso dei prestiti erogati dalle banche i NPL sono circa il 18% (ovvero 320 miliardi) di cui più del 10% sono sofferenze, cioè crediti il cui recupero è altamente improbabile
Su quest’ultima componente, che è di circa 180 miliardi, le Banche dovrebbero aver già accantonato il 55% a copertura delle possibili perdite. Rimangono allora sofferenze nette per circa 80 miliardi (in buona parte, secondo alcuni analisti, garantite da immobili). Da questa entità bisogna partire tenendo conto che è ragionevole ipotizzare la cessione solo di posizioni al di sopra di un certo importo minimo.
PERCHÉ INTERVENIRE
Visco nel recente Forex ha detto chiaramente che «Lo smobilizzo dei crediti deteriorati è cruciale per consentire alle banche di reperire risorse da destinare al finanziamento dell’economia reale» . Non si tratta dunque di rimediare ai rischi eccessivi assunti dalle banche ovvero di emendare errori che le stesse hanno compiuto, ma di adottare un approccio lungimirante attenuando gli effetti della grande crisi che ha coinvolto banche e imprese. Visco (che non parla mai di BB) segnala che l’operazione deve rispettare le regole europee sulla concorrenza e sugli aiuti di stato, coinvolgere le banche nel costo dell’operazione,assicurare che il sostegno pubblico (con agevolazioni fiscali o prestazioni di garanzie) sia remunerato. Non sono condizioni facili da soddisfare specie nell’urgenza del momento che suggerisce di procedere speditamente in quanto un po’ di ripresa economica, con l’associata sperabile attenuazione della crisi immobiliare, potrebbe sviluppare un mercato dei NPL pressoché assente in Italia.
CARATTERISTICHE DELLA BAD BANK
Questa bad bank dovrebbe avere un azionariato pubblico (in passato si è ipotizzato che il Mef acquistasse da IntesaSanPaolo la Sga, Società creata nel 1997 per il recupero crediti del Banco di Napoli) e privato a cominciare dagli istituti di credito cedenti NPL. Lo Stato deve rimanere sotto il 50% del capitale in modo da escludere la bad bank dal debito pubblico e le banche devono rimanere sotto il 20% per deconsolidare la partecipazione. Tolto un punto percentuale alle due partecipazioni limite(Stato e Banche) il resto del capitale della BB (pari al 32%) dovrebbe venire da investitori istituzionali e dal mercato. L’entità del capitale dipende da quella delle sofferenze che la bad bak compererà. Secondo alcuni, se rilevasse 40 miliardi di sofferenze nette (e quindi riducesse della metà l’incidenza delle sofferenze sul portafoglio crediti complessivo), senza considerare ulteriori oneri in capo alle banche cedenti, avrebbe bisogno di capitale tra i 5 e i 6 miliardi e di garanzie dello Stato o della Cassa Depositi e Prestiti sulle sue obbligazioni, nonché facilitazioni fiscali per accedere al mercato e a prestiti della Bce (come è stato nel 2011-12 per le sue aste LTRO).
Qui si apre un problema spinoso. E cioè il fatto che al momento esiste una notevole distanza tra le offerte di acquisto sul mercato italiano (ma forse non è ancora un mercato) e i valori di carico delle banche, anche post recepimento dell’Asset Quality Review appena concluso. Le banche difficilmente possono infatti sopportare perdite ulteriori rispetto a quelle che già hanno contabilizzato, e per questo le garanzie pubbliche in qualità e quantità nella cessione dei Npl saranno cruciali.
I VINCOLI EUROPEI
La misura dell’intervento pubblico dovrà avere il placet della commissione europea con riferimento ai divieti sugli aiuti di Stato. Riteniamo che il Mef e la Banca d’Italia stiano trattando per far capire alla Commissione europea che l’intervento non favorisce le banche ma serve a riattivare il flusso del credito all’economia. Al di la delle interpretazioni giuridico-dogmatiche la sostanza è che diversamente dagli altri Paesi della Eurozona, in Italia le banche hanno resistito con risorse proprie e di mercato. Tra i tanti salvataggi bancari di Stato fatti anche con soldi europei spicca quello spagnolo che ha avuto dal nodo ESM circa 40 miliardi (la cifra delle sofferenze che la bad bank italiana ipotizzata dovrebbe rilevare) tra la fine di 2012 e inizio 2013 a tassi molto buoni e con durata media di 12,5 anni. I governi italiani di allora hanno rinunciato a seguire una via più o meno analoga temendo che ci sarebbe stata imposta la vigilanza della “troika”e condizioni di finanza pubblica molto gravose. Per la Spagna non ci sembra che sia andata così e quindi ci sembra che Madrid sia stata più abile di Roma.
Alberto Quadrio Curzio, Il Sole 24 Ore 22/2/2015