la Repubblica, 22 febbraio 2015
LE FATE NON ESISTONO E NEANCHE DIO
[Intervista a Richard Dawkins] –
OXFORD
Racconta che da bambino aveva già capito che Babbo Natale era un signore mascherato che si chiamava Sam. Richard Dawkins non si accontenta di essere giunto alla conclusione che Dio non esiste: vuole che lo capiscano tutti. Tiene alta la bandiera dello scetticismo, questo biologo e etologo dell’Università di Oxford, studioso di Charles Darwin, salito alla ribalta quando scrisse, ne Il gene egoista (1976), che non siamo altro che veicoli dei geni, macchine programmate per renderli quasi immortali. Da allora Dawkins è diventato un divulgatore scientifico e saggista di successo, un frequentatore abituale degli studi televisivi e da tempo tiene viva la polemica anche sui social network, dove colpisce e viene colpito. Ritiene che la sua missione sia quella di combattere i dogmi religiosi, le superstizioni e le pseudoscienze. Nel 2006, ha pubblicato L’illusione di Dio , un libro che aspira fin dalla prima pagina a far perdere al lettore la tanta o poca fede che gli è rimasta, un testo impetuoso e ironico che ha la pretesa di smontare uno per uno gli argomenti del cristianesimo e delle altre credenze religiose. Ne Il più grande spettacolo della Terra , 2009, Dawkins spiega lucidamente a qualsiasi profano le prove schiaccianti del fatto che è la selezione naturale che ha modellato e continua a modellare la nostra realtà. E in questo modo attacca il creazionismo, l’idea cioè che il mondo sia stato fatto in sei giorni e che l’uomo abbia convissuto con i dinosauri, argomenti che certi ambienti di destra come il Tea Party cercano di far passare nel sistema scolastico americano. Nello stesso anno il suo attivismo ateo lo portò ad acquistare spazi pubblicitari sugli autobus londinesi con la scritta: “Probabilmente Dio non c’è. Smettila di preoccuparti e goditi la vita”. Oggi, a settantatré anni, Dawkins ha trovato il tempo per guardarsi indietro e affrontare le sue memorie. Nella sua autobiografia, An appetite for wonder, (non ancora uscita in Italia) racconta come è giunto a essere quello che è. L’infanzia in Kenya da una famiglia britannica di funzionari dell’Impero con una tradizione tecnica e scientifica; il ritorno in Inghilterra all’età di otto anni; e poi il racconto della rigida scuola degli anni Cinquanta, del bullismo e della sua balbuzie, del passaggio nelle università di Oxford, decisivo nella sua carriera, e di Berkeley, dove visse l’esplosione del fenomeno hippy.
Ci riceve a casa sua, un imponente edificio tradizionale a Oxford, in un salone pieno di luce dove si può percepire un certo sapore del colonialismo che ha segnato la sua infanzia. Grandi sculture in legno di animali, maschere, tessuti etnici sui divani. Un pianoforte, una tela sul suo leggìo. Libri, qualche cranio sullo scaffale. Due piccoli cani dal pelo molto lungo si rallegrano della visita.
Ha scritto che la religione è al centro di molti conflitti attuali, come in Siria e in Iraq, in Palestina o in Ucraina. E, prima, in Jugoslavia o in Irlanda. Non lotteranno per la terra più che per la loro idea di Dio?
«Non credo che i conflitti siano motivati unicamente e direttamente dalla religione. Per esempio, nell’Irlanda del Nord il conflitto è tra cattolici e protestanti, ma non credo che le persone che mettevano le bombe pensassero al dogma della transustanziazione. La religione mette un’etichetta: in Irlanda del Nord si identificano come cattolici e protestanti benché parlino la stessa lingua e siano dello stesso colore. Ti identifica perfino il nome: se ti chiami Patrick sei sicuramente cattolico, se William sei protestante. Tutto ciò determina la tribù: ci sono due tribù in Irlanda del Nord. Ed è stato così per secoli».
Lei era di fede anglicana e molto religioso quando aveva tredici anni. Poi che è successo? È stato Darwin?
«Già a nove anni mi ero reso conto che esistevano diverse religioni: il buddismo, l’islam, l’induismo, il politeismo dei greci, dei vichinghi... Ogni bambino pensava che solo la sua fosse quella vera. Io invece ero pronto per essere antireligioso. Non so perché rimasi cristiano, sarà stata l’influenza della scuola. Ma, effettivamente, sono stati Darwin e il darwinismo a salvarmi da tutto ciò. Avevo quindici anni quando avvenne».
Perché ritiene necessario mobilitarsi contro la religione?
«Sento l’assenza di qualsiasi ragione per credere in Dio o nelle fate. Come scienziato, la bellezza del mondo e dell’Universo mi commuove. Come educatore, mi sembra perverso educare i bambini a delle falsità quando la verità è così bella».
Non può essere dogmatico e intollerante anche l’ateismo?
«Devi sempre argomentare la tua causa, non mettere a tacere la gente. Abbiamo accettato per secoli che non si potesse criticare la religione e che si facesse sembrare intollerante l’ateismo, ma non lo è».
Nei suoi libri si dice contrario al modo in cui molte famiglie inculcano spiegazioni magiche ai propri figli: “Perché gli adulti coltivano la credulità dei bambini? È davvero un errore pazzesco proporre ai bambini che credono a Babbo Natale un piccolo e semplice gioco di domande e risposte che li faccia pensare? Quanti camini dovrebbe visitare in una notte?”.
«Non si tratta di dirgli che Babbo Natale non esiste, ma di stimolare l’abitudine di porsi delle domande con spirito critico».
Si rende conto che è un atteggiamento impopolare, vero?
«Ogni volta che propongo questo discorso mi mandano via a calci dicendo che voglio interferire nella magia dell’infanzia».
Lei è anche un accanito utente di Twitter (@RichardDawkins), dove ha suscitato diverse polemiche.
«Twitter è un posto strano perché c’è molta gente che urla. Se cammini per strada, un ubriaco o uno scemo ti possono insultare. Su internet hai un moltiplicatore di questo effetto. Bisogna avere la corazza».
Si è pentito di qualche tweet?
«Sì, perché è molto facile che vengano interpretati male».
Uno dei suoi tweet ha scatenato una bufera: “Lo stupro subìto da uno che conosci è brutto. Quello subìto da uno sconosciuto col coltello è peggio. Se pensi che questa sia un’apologia del primo, vattene e impara a pensare”.
«Credo che sia stupido negare che vi siano diversi gradi nei delitti sessuali. C’è gente che per ragioni emotive vuole che tutti i crimini siano considerati dello stesso livello. È come pensare che il furto di un portafoglio sia pari alla rapina a mano armata in una banca. Sono tutti e due dei delitti, ma uno è più grave dell’altro. Non le pare?».
Mi sembra che qualsiasi violenza abbia conseguenze gravi a lungo termine.
«Lo penso anch’io».
E mi è difficile pensare a una violenza moderata o una violenza lieve.
«Non si tratta di questo. È in compagnia di molti stupidi su Twitter. Quando uno dice che una cosa è peggiore di un’altra, non la sta approvando».
Dawkins ha inoltre offeso molti, con i suoi “cinguettii”, quando qualcuno gli chiese consiglio su che cosa fare se il figlio che aspettava avesse avuto la sindrome di Down. «Abortisca e ci riprovi. Sarebbe immorale metterlo al mondo se ha scelta», rispose.
Crede davvero che l’aborto sia un obbligo morale nel caso della sindrome di Down?
«Ho detto che personalmente mi sembrava immorale metterlo al mondo. Non che fosse una regola universale, ma lo è per me e per il novanta per cento delle donne in quelle circostanze. Muoiono molto giovani, hanno terribili malattie, deficienza mentale. Credo che quando il feto non sia sufficientemente sviluppato e non abbia un sistema nervoso, sia meglio abortire. Mi hanno bombardato su Twitter inviandomi fotografie di bambini Down e dicendomi: lei vuole uccidere mio figlio. Ovviamente non voglio uccidere il figlio di nessuno, ma fermare la possibilità che vengano al mondo altri bambini come lui quando non sono che degli embrioni».
Troverebbe preoccupante la clonazione degli esseri umani?
«Uno scenario come quello de Il mondo nuovo di Aldous Huxley, con quelle catene di produzione di migliaia di copie di esseri umani identici creati per fare i giardinieri o qualsiasi altro lavoro, mi fa orrore, perché io sono un prodotto del Ventesimo secolo ed è qualcosa di molto lontano dal mondo a cui sono abituato, dai miei valori. Se qualcuno volesse clonarmi, mi interesserebbe molto, mi incuriosirebbe molto, ma non vorrei che il mio clone fosse il primo, perché sarebbe vittima di una spaventosa pubblicità».
In un programma televisivo le hanno proposto un esperimento che non è poi stato possibile realizzare. Volevano isolare il suo genoma e seppellirlo nella tomba di famiglia, davanti alle telecamere, affinché qualcuno lo ritrovasse e lo resuscitasse tra un migliaio di anni. Era un pretesto per discutere sulla clonazione, e così le hanno chiesto se il suo clone del futuro sarebbe stato lei stesso.
«No che non sarei stato io. È come chiedere a due gemelli identici se sono due persone o se uno è una persona e l’altro uno zombie. Un’altra cosa che mi volevano chiedere era di scrivere dei consigli per il mio clone, affinché, visto che avrebbe avuto i miei stessi geni, non commettesse i miei stessi errori».
Lei si interroga sul concetto di identità personale, dato che le cellule che abbiamo non sono le stesse che c’erano quando siamo nati. Allora ne siamo solo la memoria.
«È una domanda interessante per la filosofia. Immagini di poter fare una replica perfetta del suo corpo, non un clone in senso genetico, ma una copia di ogni atomo. Non è possibile farlo scientificamente, ma possiamo farlo filosoficamente. Probabilmente la replica avrebbe il suo corpo, i suoi ricordi, gli stessi pensieri. Ma una volta lì, comincerebbero a separarsi, avrebbero nuove esperienze e allora, quale sei? Sono questioni a cui non si può rispondere in maniera sperimentale ma sono filosoficamente affascinanti».
Stephen Hawking sostiene che la filosofia è morta, perché adesso è la scienza che dà le risposte.
«Non credo che la filosofia sia morta, ma certamente ha perso terreno».
Lei ha scritto che la Seconda guerra mondiale non sarebbe scoppiata se il padre di Hitler avesse starnutito in quel momento. E che in un altro secolo lei sarebbe stato un chierico. Siamo casuali fino a questo punto? È scettico o ateo solo per un caso?
«La realtà dipende da particolari molto piccoli. Sappiamo che tutti i mammiferi vengono da un individuo esistito all’epoca dei dinosauri. Se quel piccolo mammifero fosse morto prima di riprodursi, forse i mammiferi ci sarebbero lo stesso, ma sarebbero completamente diversi. Forse quel mammifero sopravvisse per uno starnuto del dinosauro. Rispetto all’esempio di Hitler, ognuno di noi deve la sua esistenza al fatto che tra milioni di spermatozoi ce n’è stato uno che ha fertilizzato l’ovulo. Il più leggero movimento mentre i suoi nonni copulavano, se un cane, abbaiando, gli avesse fatto perdere la concentrazione, avrebbe prodotto un risultato diverso. Per questo dico che uno starnuto qualche anno prima ci avrebbe risparmiato la guerra. E nessuno di noi esisterebbe oggi se non fosse esistito Adolf Hitler».
(Traduzione di Luis E. Moriones)
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Ricardo De Querol, la Repubblica 22/2/2015