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 2015  febbraio 21 Sabato calendario

“COM’È BELLO SPORCARSI LE MANI”

[Enrico Brignano] –
«A casa non sa quanti ferri ho. Frullino, travettatrice, tornio parallelo, trapano a colonna, fresatrice, compressore... L’ho ereditata da mio padre, la capacità di aggiustare le cose da me. Non per niente a scuola ho frequentato l’istituto tecnico industriale Ipsia Antonio Locatelli a Roma, e lì una delle materie era proprio “aggiustaggio”. Io non butto quasi mai niente: riparo, stucco, vernicio. Se posso, intervengo di persona sulle scenografie teatrali, sulle componenti della scena.
Diciamo che per vocazione sono un attore/manovale, e all’occasione, come stavolta con lo spettacolo Evolushow, mi metto a fare molto volentieri anche l’attore/carrozziere». Enrico Brignano, il comico della parola, l’autore di paradossi logorroici e di epopee lessicali, rivela una doppia identità, un’inclinazione congenita alla concretezza, allo sporcarsi le mani.
Eppure, come showman, ha a disposizione una squadra di tecnici e di macchinisti.
«Come no. Ho un team di maestranze che è come una famiglia, per me. Ma quando ad esempio per Evolushow s’è trattato di capire come avrei dovuto illustrare il mondo visto dallo spazio, m’è venuta subito in mente la più piccola e popolare astronave italiana messa in orbita dal boom economico, la Fiat 500, e così nella messa in cantiere delle prove sono andato da uno sfasciacarrozze di Fabriano, e in quattro e quattr’otto ho comprato l’esemplare di una 500 radiata dal Pubblico Registro Automobilistico, e ho tirato fuori la passione per le auto, per il teatro, e per il lavoro d’officina».
«La macchina l’ho rimessa perfettamente in sesto, perché potesse essere ammirata non in un salone o in un museo ma sui palcoscenici italiani». Parlando parlando, si scopre un sentimento che guida l’artista a diventare manodopera, restauratore, fabbro, meccanico, carrozziere. È un sentimento che s’alimenta dei ricordi familiari di gioventù. «Ho appena raddrizzato e rimesso a nuovo un pulmino Wolkswagen T2 nove posti, sa quel tipo che usavano i figli dei fiori? color verdebianco, del 1973, targa Roma L, e l’ho fatto in omaggio a mio padre. Noi vivevamo a Dragona, alla periferia di Roma, e papà gestiva un negozio di frutta. La notte avevo fatto tardi, a cena con Gigi Proietti dopo aver recitato con lui, e alle 10 di mattina mia madre mi sveglia “Tu’ padre!, corri!, corri!, daje! ha preso fuoco il furgone!”, e io scappo verso Roma da dove papà stava tornando dopo gli acquisti ai Mercati generali, sto senza soldi e lascio la carta d’identità a un ferra- menta per comprare un estintore, e più avanti vado incontro a un mezzo che fuma al centro della strada, coi pompieri appena arrivati ma senza l’attrezzatura per spegnere l’incendio del carburante (ci vuole schiuma o sabbia), e per fortuna il serbatoio era pieno — le bombole se sono semivuote esplodono, altrimenti no — e bastò agire con acqua e shampoo. Mio padre piangeva, devastato dal dolore. Io a 23 anni agganciai il furgone fino a casa. Il mezzo era assolutamente da buttare, e il caso volle che la Piaggio, se gli portavi un camioncino da rottamare, ti dava due milioni che noi usammo come anticipo per prendere un Porter. La cosa bella fu che per la prima volta garantii io il finanziamento, con lo stipendio d’attore. Mi sentii importante, e cominciavo a restituire qualcosa ai miei». Il ricordo affettuoso di Brignano è un fiume di immagini popolari, di lampi di provincia, di riconoscenze domestiche, ed è l’inizio di una saga automobilistica di motori, filtri, tubi, benzina. Un universo meccanico.
«Quando di recente ho ricomprato proprio “quel” furgone, ho voluto tutto uguale. Il restauro è memoria, rigenerazione, ripensamento originale. Ecco perché i collezionisti veri non badano a spese e tempo. Con questa fissa che ho m’è venuta l’idea di una puntata zero di una trasmissione intitolata Bulli & bulloni, la parola “bulli” è l’acronimo tedesco di “bus e lieferwagen”, un prodotto da collocare in una tv tematica. Si tratta di sviluppare una cultura che elegga un ricordo a ispirazione, che costruisca storie attorno a una macchina, all’ingegnere che l’ha costruita, e via dicendo. Già ci sono aziende storiche pronte a sceneggiare il passato restaurando un prototipo dei loro mezzi pionieristici: la Lavazza vuole risfoderare la sua ex macchina-bar Fiat 1100 detta “musone” degli anni ‘50, un’azienda di impianti elettrici di Firenze vuole ripristinare una sua 600 multipla (il primo monovolume della storia automobilistica), la Wolksvagen progetta un evento in Belgio con raduno delle sue T1 Panel (furgone senza vetri) che era in produzione in Brasile fino a tre anni fa...».
Brignano è un vortice: scherza, s’immalinconisce, s’entusiasma, spara un’aneddotica infinita, e improvvisa una specie di spettacolo privato assecondato da un mare di immagini di macchine d’epoca che estrae al volo dal cellulare. «Ora devo tagliare la lamiera di un Ww T1 Samba 21 vetri, un modello introvabile di cui ho comprato la scocca da alcune suore ». Ma al di là della voglia di ricostituire il rapporto papà-furgone, a lei come è nata questa febbre? «Io ho cominciato prendendomi cura delle lucidature, delle cromature, dei ripristini alla 112 di mio fratello, e al pulmino di mio padre. Poi quest’attaccamento non m’è passato più. Però limito quest’amore alle macchine popolari. Le Ferrari sono troppo nobili. Adesso mi piacerebbe una 500 n, la primissima, del 1957, trasformabile in cabrio, 495 di cilindrata. Ma tutta con pezzi originali». Dove accentra queste pratiche? «Ho degli amici a Firenze, due giovani, uno importa pulmini dal Brasile, e l’altro è un bravo meccanico. Vado da loro e m’infilo le scarpe anti-infortunistica, gli occhiali da frullino, i guanti...».
Oltre alla mania per le quattroruote Brignano svela pure un debole per le due ruote. «Il lavoro a teatro è bello, ma appena posso faccio gite in bicicletta. Ne ho dodici. Dalle De Rosa al carbonio fatte a mano da artigiani di Milanino a una mountain bike, a una trekking, a una touring, a una Massimiliano Regal, a due con la pedalata assistita». Non è finita. A volte d’estate gira coi suoi spettacoli guidando un camper. «È per avere la sensazione di essere libero, con un panorama diverso ogni giorno». Abbiamo parlato solo di mezzi di locomozione, e non di palcoscenico... «Mio padre, in borgata, mi consigliava un posto nell’industria, ma poi l’elettromeccanica perse un po’ di colpi, e io nel frattempo per andare a scuola a Roma prendevo da Acilia il trenino 94, e nel primo vagone, dato che ero bravo nelle imitazioni, i compagni mi chiedevano di rifare questo o quel professore, e quei recital sulle rotaie mi fecero venire una voglia di teatro, mi iscrissi al Laboratorio di Gigi Proietti, e da allora accumulo spettacoli, auto, biciclette».
Rodolfo Di Giammarco, la Repubblica 21/2/2015