Federico Fubini, la Repubblica 21/2/2015, 21 febbraio 2015
RIFORME, FLESSIBILITÀ E MAXI-ACQUISTI BCE COSÌ L’EUROPA VUOL LASCIARSI LA CRISI ALLE SPALLE
ROMA.
ovviamente i piani di emergenza c’erano eccome, anche all’interno della Banca centrale europea. Come già nel 2012, quando lo scenario di uscita della Grecia era stato battezzato in segreto «Plan Z» - il piano Zeta - i cassetti più reconditi di tutte le grandi capitali erano pieni di carte. Pagine e pagine di appunti su come rispondere in caso di amputazione dell’euro restavano a portata di mano.
A Francoforte qualcuno aveva pensato di concentrare i colpi del bazooka nei prossimi mesi, non appena la banca centrale lancerà gli acquisti, già decisi, sui titoli di Stato europei. Se la Grecia avesse rifiutato ogni accordo e si fosse avviata verso l’uscita dall’euro, la priorità diventava reagire: fermare l’effetto di contagio prima che raggiungesse altre economie deboli. In quel caso l’ipotesi più praticabile per la Bce sarebbe stata il lancio di interventi non semplicemente da 60 miliardi al mese, come deliberato il 22 gennaio, ma magari da cento o duecento miliardi al mese. Nel frattempo i comitati tecnici nel sistema delle banche centrali si erano già chiesti come avrebbero potuto funzionare i vincoli e i divieti all’uscita di capitali dalla Grecia o al ritiro di risparmi dalla banche del Paese.
Inevitabilmente a questa saga non mancheranno altre nottate con il fiato sospeso. La prossima arriverà forse a giugno, quando il primo prestito transitorio alla Grecia di Alexis Tsipras andrà rinnovato. Ma i piani di emergenza per ora restano nei cassetti, e per una volta questo scampato pericolo appare perfettamente coerente con le tendenze di fondo che da qualche tempo stanno spingendo l’area euro verso acque più sicure. Mentre i «piani Zeta» sull’euro in frantumi venivano rispolverati, in questi mesi non tutto è andato per il peggio. Una seconda occhiata dietro la polvere del caso greco rivela che le grandi linee di un compromesso di fondo fra i principali Paesi e istituzioni dell’unione monetaria stanno emergendo sempre più chiaramente. Tutti i principali attori dell’euro hanno fretta di mettersi alle spalle la scia di terremoti finanziari partita più di cinque anni fa. Gli sherpa, i banchieri centrali, i ministri, i commissari europei e i manager dei fondi speculativi stanno tutti smettendo di guardare l’Europa attraverso gli occhiali del 2012, l’anno del «Plan Z». Ciascuno, anche nelle diffidenze che restano, è pronto a concedere qualcosa pur di voltare pagina in modo che la crisi non diventi la condizione cronica dell’euro.
Ciascuno ha contribuito qualcosa. La Bundesbank, il governo e l’opinione pubblica in Germania hanno digerito ciò che meno di un anno fa sembrava loro inconcepibile: un piano di acquisti di titoli di Stato che ora porterà la Bce a comportarsi in modo simile alla Federal Reserve o alla Banca del Giappone. La deflazione resta una minaccia in Europa - il calo dei prezzi ha raggiunto lo 0,6% in ritmo annuale in Italia - ma nei prossimi anni l’Eurotower potrà continuare a intervenire fino a quando non l’avrà sradicata. Il rischio legato a quegli interventi verrà segregato quasi tutto nei bilanci delle banche centrali nazionali, non sarà messo in comune in Europa, ma ora la Bce può agire. Già solo questa sua libertà ha imposto sui mercati una calma quasi totale nel pieno della crisi greca delle ultime settimane.
Nel frattempo anche i grandi Paesi considerati più in ritardo nell’adeguarsi alla realtà dell’euro, Italia e Francia, stanno reagendo. Le loro riforme sono solo dei primi passi, ma compiuti sotto gli occhi di tutti in Europa. Proprio ieri il governo di Matteo Renzi ha varato un nuovo modello di contratto di lavoro e un ciclo liberalizzazioni abbastanza decise da toccare gli interessi delle compagnie di assicurazione. A Parigi il premier Manuel Valls in settimana è arrivato al punto da aggirare il parlamento, pur di imporre un pacchetto di apertura dei mercati dei servizi. Restano dubbi sulla sua capacità di proseguire, ma non sulla volontà di sciogliere i nodi che frenano l’economia francese. Berlino si sta prendendo nota.
Anche a Bruxelles le grandi linee di un compromesso sono visibili. L’Italia, il più grande Paese indebitato, a differenza di un anno fa, accetta di rispettare i limiti di deficit prescritti dall’unione monetaria. Nel frattempo però la nuova Commissione europea di Jean-Claude Juncker ha concesso una dose di flessibilità che permette al governo di non ricadere in una procedura europea.
Tutto è più facile ora che un euro più debole e i tassi bassissimi grazie alla Bce, insieme al crollo del prezzo del petrolio, mettono Eurolandia in una traiettoria di ripresa. Certo questa resta un’Europa principalmente tedesca, votata a contrarre i consumi delle famiglie e gli investimenti per gonfiare il surplus delle esportazioni verso il resto del mondo, verso quota 250 miliardi di euro. La Cina è un’economia piccola e aperta, al confronto. E la Grecia ieri ha subito l’umiliazione di versi sottrarre anche i 10,9 miliardi di euro di fondi europei destinati a rafforzare le banche. La legge tedesca e la diffidenza che essa tradisce possono essere di una durezza che impressiona. Ma se c’è un punto su cui la Germania è d’accordo con tutti, è che è il momento di dare all’euro la chance di una vita normale. Ora o mai più.
Federico Fubini, la Repubblica 21/2/2015